Alla fine riforma fu. La Sicilia, rispetto il resto d’Italia si conferma non soltanto laboratorio politico, anticipando scelte ed alleanze dei partiti politici su scala nazionale, ma anche, a questo punto, laboratorio tecnico amministrativo. Rispetto ai proclami del prof. Monti, infatti, il Presidente Crocetta, con il sostegno del Movimento Cinque Stelle, ha scritto una pagina importante della nostra storia con la abrogazione delle province. Dopo l’entusiasmo iniziale che soddisfaceva le richieste della gente di ridurre drasticamente e razionalizzare le spese della pubblica amministrazione, iniziano adesso le riflessioni che dovranno condurre ad una legge regionale da approvare entro il 31 dicembre che dovrà disciplinare dettagliatamente il progetto di abolizione e di inevitabile sostituzione. Le riflessioni non le sta avviando soltanto la classe politica siciliana chiamata a votare il provvedimento, ma soprattutto studiosi, intellettuali e osservatori politici.
Molto modestamente noi vorremmo soltanto riportare lo stato dell’arte e lasciare ai nostri lettori le considerazioni. Lo Statuto della Regione siciliana fu approvato, è bene ricordarlo, ben due anni prima dell’approvazione della nostra Costituzione ed ha una fortissima caratterizzazione federalista al punto da prevedere all’art. 15 l’istituzione dei liberi consorzi. E’ quindi di tutta evidenza che essi richiedono una struttura democratica e, così come recita lo Statuto stesso “il massimo della autonomia amministrativa”. Con la legge sulla soppressione delle province, altro non si è fatto che riprendere ciò che era stato già scritto dai padri statuenti della nostra Carta Regionale, commettendo però, a mio avviso, un errore che speriamo possa esser al più presto corretto. Si sta infatti dando vita, almeno da quelle che sembrano le attuali intenzioni, a una sorta di consorzi tra enti locali che non sono per nulla liberi e neanche democratici, nel senso che la rappresentanza degli stessi non è scelta dal popolo attraverso l’istituto democratico delle elezioni. Temo inoltre che dietro l’angolo di nasconda un altro pericolo gravissimo che ci riconduca all’adagio di gattopardesca memoria che più di tutti rappresenta l’indole del popolo siciliano “cambiare tutto per non cambiare nulla”. Rischiamo infatti che alle 9 attuali province si sostituisca un numero non preventivabile di consorzi, si parla di circa 25, con conseguente, logica, lievitazione dei costi piuttosto che riduzione degli stessi. Inoltre dobbiamo anche tenere pesante che le province esistono da tempo immemore in tutti gli ordinamenti degli stati europei occidentali come la Germania, la Francia, la Spagna e la Gran Bretagna. Questo dato dovrebbe farci riflettere. Siamo talmente più bravi di loro nel risolvere i problemi del funzionamento ed economizzazione delle spese pubbliche di loro? Inoltre le Province siciliane sono già sul piede di guerra. All’indomani del via libera da parte dell’Assemblea regionale siciliana al Ddl che ne prevede l’eliminazione l’Urps (Unione regionale province siciliane) annuncia la presentazione di una memoria al commissario dello Stato, il prefetto Carmelo Aronica, per evidenziare i profili di incostituzionalità del provvedimento, che sostituisce gli enti con liberi consorzi di Comuni e città metropolitane. Ma c’è di più. L’urps chiederà anche l’intervento del ministro per gli Affari regionali perché, spiega, “se non siamo nella Repubblica delle banane la Costituzione va rispettata anche qui in Sicilia”.
Ai posteri l’ardua sentenza. E’ proprio il caso di dirlo.
Enzo Scarso