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MARIA MONISTERI CASCHETTO ELETTA PRESIDENTE DELLA CONAD SCHERMA MODICA

Ancora una volta la Conad Scherma Modica si distingue.
La società infatti  cambia il vertice e, nella sua storia che rasenta oramai il 30esimo anno di attività, vede il terzo presidente che succede ad Antonio Cartia, in carica dal 1985 al 1998, ed a Giovanni Savarino, in carica sino al 27 febbraio 2013.
Fin qui tutto normale, se non fosse che ad essere eletta al vertice del sodalizio modicano è una donna.
Si tratta di Maria Monisteri Caschetto, avvicinatasi alla scherma in quanto mamma di una giovane atleta e, da subito, pienamente coinvolta nella “grande famiglia della scherma Modica”
“Quando mi è stato proposto – ha detto la neo Presidente – devo dire che sono rimasta un po’ perplessa. Poi ho riflettuto sulla valenza sociale e sulla capacità di veicolare i valori dello sport e della vita. A quel punto mi sono detta: e perché no?. E’ stato un onore sapere poi che il Maestro Scarso, con la sua esperienza, mi valutava all’altezza del ruolo! Adesso mi adopererò, nonostante le mille difficoltà, per mantenere inalterato il grande clima di famiglia che, a mio avviso, rappresenta l’humus perfetto per far crescere uomini e atleti. E poi ho una grande eredità da dover portare avanti!”
In effetti, il “baffo” dell’oramai ex Presidente Giovanni Savarino, ha sempre sorriso quando ricordava le frasi che gli venivano rivolte quando venne eletto. “Mi dicevano che sarei stato il Presidente del calo, dopo tutti i risultati che si erano raggiunti prima della mia elezione. E invece in questi anni ne abbiamo vissute di emozioni, tra cui l’oro olimpico di Giorgio Avola che segue il bronzo ai Mondiali di Catania e il titolo europeo 2011”.
Per Maria Monisteri Caschetto, quindi, c’è la speranza che il trend di crescita venga confermato, almeno sul piano dei risultati.
Sa anche che non sarà una “donna sola al comando”, ma anzi, avrà con sé, come vice, un’altra donna: Pina Belluardo. Un duo in “rosa” che caratterizzerà la gestione della società che vede quali componenti del Consiglio Direttivo anche Giorgio Giannone, Antonio Vindigni, Pierluigi Rosa, Marcello Di Rosa e Carmelo Criscione. Nel Collegio dei Revisori dei Conti sono stati eletti Angelo Buscema, Rosario Vicari e Tonino Di Raimondo, mentre Collegio dei Probiviri sarà composto da Giovanni Savarino, Antonio Glorioso e Vincenzo Portelli.
L’ormai ex Presidente Savarino è stato nominato Presidente onorario assieme ad Antonio Cartia, mentre sono stati nominati Soci Onorari dal neo eletto Consiglio Direttivo la Conad Sicilia e il Comune di Modica.

 




PROVINCE: E RIFORMA FU

Alla fine riforma fu. La Sicilia, rispetto il resto d’Italia si conferma non soltanto laboratorio politico, anticipando scelte ed alleanze dei partiti politici su scala nazionale, ma anche, a questo punto, laboratorio tecnico amministrativo. Rispetto ai proclami del prof. Monti, infatti, il Presidente Crocetta, con il sostegno del Movimento Cinque Stelle, ha scritto una pagina importante della nostra storia con la abrogazione delle province. Dopo l’entusiasmo iniziale che soddisfaceva le richieste della gente di ridurre drasticamente e razionalizzare le spese della pubblica amministrazione, iniziano adesso le riflessioni che dovranno condurre ad una legge regionale da approvare entro il 31 dicembre che dovrà disciplinare dettagliatamente il progetto di abolizione e di inevitabile sostituzione. Le riflessioni non le sta avviando soltanto la classe politica siciliana chiamata a votare il provvedimento, ma soprattutto studiosi, intellettuali e osservatori politici.
Molto modestamente noi vorremmo soltanto riportare lo stato dell’arte e lasciare ai nostri lettori le considerazioni. Lo Statuto della Regione siciliana fu approvato, è bene ricordarlo, ben due anni prima dell’approvazione della nostra Costituzione ed ha una fortissima caratterizzazione federalista al punto da prevedere all’art. 15 l’istituzione dei liberi consorzi. E’ quindi di tutta evidenza che essi richiedono una struttura democratica e, così come recita lo Statuto stesso “il massimo della autonomia amministrativa”. Con la legge sulla soppressione delle province, altro non si è fatto che riprendere ciò che era stato già scritto dai padri statuenti della nostra Carta Regionale, commettendo però, a mio avviso, un errore che speriamo possa esser al più presto corretto. Si sta infatti dando vita, almeno da quelle che sembrano le attuali intenzioni, a una sorta di consorzi tra enti locali che non sono per nulla liberi e neanche democratici, nel senso che la rappresentanza degli stessi non è scelta dal popolo attraverso l’istituto democratico delle elezioni. Temo inoltre che dietro l’angolo di nasconda un altro pericolo gravissimo che ci riconduca all’adagio di gattopardesca memoria che più di tutti rappresenta l’indole del popolo siciliano “cambiare tutto per non cambiare nulla”. Rischiamo infatti che alle 9 attuali province si sostituisca un numero non preventivabile di consorzi, si parla di circa 25, con conseguente, logica, lievitazione dei costi piuttosto che riduzione degli stessi. Inoltre dobbiamo anche tenere pesante che le province esistono da tempo immemore in tutti gli ordinamenti degli stati europei occidentali come la Germania, la Francia, la Spagna e la Gran Bretagna. Questo dato dovrebbe farci riflettere. Siamo talmente più bravi di loro nel risolvere i problemi del funzionamento ed economizzazione delle spese pubbliche di loro? Inoltre le Province siciliane sono già sul piede di guerra. All’indomani del via libera da parte dell’Assemblea regionale siciliana al Ddl che ne prevede l’eliminazione l’Urps (Unione regionale province siciliane) annuncia la presentazione di una memoria al commissario dello Stato, il prefetto Carmelo Aronica, per evidenziare i profili di incostituzionalità del provvedimento, che sostituisce gli enti con liberi consorzi di Comuni e città metropolitane. Ma c’è di più. L’urps chiederà anche l’intervento del ministro per gli Affari regionali perché, spiega, “se non siamo nella Repubblica delle banane la Costituzione va rispettata anche qui in Sicilia”.
Ai posteri l’ardua sentenza. E’ proprio il caso di dirlo.

Enzo Scarso




LA MODICA DI ENZO BELLUARDO




FRANCESCO, UN PAPA CHE È ENTRATO NEL CUORE DI TUTTI

Quando alle ore 20.22 del 13 marzo Papa Francesco, preceduto dalla Croce, si è affacciato dalla Loggia della Benedizione della Basilica Vaticana per salutare il popolo e impartire la Benedizione Apostolica “Urbi et Orbi” le migliaia di persone, fedeli e non, che si trovavano a piazza San Pietro sono rimaste stupite. Il successore di Pietro prima della Benedizione si è rivolto ai fedeli e ha detto: “Fratelli e sorelle, buonasera!”. Poi ha proseguito: “Voi sapete che il dovere del Conclave era di dare un Vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli Cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo… ma siamo qui… Vi ringrazio dell’accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo Vescovo: grazie! E prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro Vescovo emerito, Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca”. Mai nella storia della Chiesa universale un pontefice si è avvicinato alla gente come Francesco. Con semplicità ha recitato insieme ai fedeli presenti in Piazza San Pietro il Padre Nostro, l’Ave Maria e il Gloria al Padre, poi ha aggiunto: “E adesso, cominciamo questo cammino: vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza. Vi auguro che questo cammino di Chiesa, che oggi cominciamo e nel quale mi aiuterà il mio cardinale vicario, qui presente, sia fruttuoso per l’evangelizzazione di questa città tanto bella!”. Quella di Papa Francesco è l’immagine di un vescovo, di un sacerdote, di un uomo che prima di fare il capo di Stato, è pastore e custodisce le sue “pecore”.  Prima di ogni altra cosa proprio il 13 marzo sera si è rivolto nuovamente ai fedeli dicendo: “Vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la Benedizione per il suo Vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me. Adesso darò la Benedizione a voi e a tutto il mondo, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà. Fratelli e sorelle, vi lascio. Grazie tante dell’accoglienza. Pregate per me e a presto! Ci vediamo presto: domani voglio andare a pregare la Madonna, perché custodisca tutta Roma. Buona notte e buon riposo!”. Un Papa che già dal giorno dopo ha scompaginato ogni protocollo, a partire dalla richiesta di andare con una delle automobili del parco auto dello Stato della Citta del Vaticano e non la mitica SCV1. Un Papa che non ha indossato come di rito le scarpe rosse, ma ha proseguito a calzare quelle nere da vescovo e che ha deciso di tenere al collo la stessa croce di ferro indossata anche da arcivescovo di Buenos Aires. Un Papa che ha deciso di mettere al dito l’Anello del Pescatore (su cui è raffigurata l’immagine di San Pietro con le chiavi, che sta a significare l’anello che autentica la fede e il compito affidato a Pietro di confermare i suoi fratelli. Viene detto “del Pescatore”, perché Pietro è l’Apostolo pescatore che, avendo avuto fede nella parola di Gesù, dalla barca ha tratto a terra le reti della pesca miracolosa) non d’oro ma di argento. Insomma un pontefice che fa respirare un’aria diversa dentro e fuori le mura leonine.  Un Papa che nel giorno d’inizio del suo pontificato il 19 marzo, solennità di San Giuseppe, in piedi, sorridente, nella sua veste bianca, al suo passaggio ha benedetto e salutato la folla fino a quando non ha detto all’autista di fermare la jeep. A questo punto è sceso ed è andato a salutare un disabile: Cesare Cicconi, malato di Sla da quando aveva 8 mesi. Lo ha accarezzato e benedetto.

Vincenzo Grienti




LE RICETTE DELLA STREGA (a cura di Adele Susino)

Funghi marinati

Ingredienti
1 kg di funghi freschi: pleurotus e cardoncelli, un abbondante mazzo di prezzemolo, menta, mentuccia, origano fresco, timo, 1 o 2 spicchi d’aglio, 1 peperoncino, q.b. di sale, olio d’oliva

 Preparazione
Pulire e affettare i funghi, sbollentarli in acqua e aceto bianco (metà e metà), farli scolare bene.
Preparare un pesto con le erbe aromatiche, l’aglio e il peperoncino frullando il tutto, aggiustare di sale, aggiungere l’olio e versare sui funghi ben scolati, mescolare e far riposare almeno un’ora prima di servire.




LA MODERNA AGORA’

Internet è un crogiolo di vita: dalle notizie più strane alle balle spaziali, ma anche un cassetto dal quale emergono verità che l’informazione ufficiale ha sempre tentato di tenere nascoste. E’ il mezzo più evoluto che la tecnologa abbia messo a disposizione dell’uomo di oggi, che gli permette di conoscere e comunicare come mai in passato. E’ un po’ come vivere in una grande città, dove s’incontrano degli amici, si consulta la biblioteca, si va al cinema, si ascoltano concerti e si va in piazza, ma non si va in piazza per incontrare gli amici e decidere insieme a loro dove passare la serata, si va in piazza come anticamente si andava nell’agorà, il luogo in cui si discuteva, ci si confrontava, si faceva politica.
Anche il linguaggio su internet ha i suoi termini particolari, com’è normale che sia, per questo stupisce, e stupisce piacevolmente, incontrare su un social network tanto frequentato dai giovani qual è face-book discussioni e addirittura gruppi che difendono la lingua italiana.
E’ questo un argomento che abbiamo affrontato altre volte in passato e sul quale ci piace tornare anche oggi che La Pagina è cambiata trasferendosi sul web. Forse per confermare che è sempre la stessa, forse per riaffermare un principio che ci sta a cuore. Leggere su face-book di un gruppo costituito a difesa del congiuntivo o di una pagina dedicata a “conoscere la differenza tra HO (verbo avere) e O (con-giunzione)” o ancora a “basta parole straniere, sì a un italiano chiaro” arriva a commuoverci. Non è chiusura a tutto ciò che è straniero la nostra, tutt’altro! Crediamo nell’enorme importanza, per crescere, dell’interazione fra le culture, riteniamo sia fondamentale conoscere le lingue straniere ma non, come troppo spesso succede oggi, per sfoggiarne qualche parola qua e là per darsi un tono, quanto piuttosto per approfondirle, comprenderne la bellezza e, attraverso di esse, aprirci verso gli altri, verso le altre culture. Mai però rinnegando la nostra. Siamo profondamente convinti che solo attraverso il rispetto per la nostra lingua e la nostra cultura sia possibile, anzi facile, accostarsi alle altre culture con il rispetto necessario e capire e non sentirsi diversi.
E’ vero che l’inglese (o, per esser più precisi, l’americano) sta diventando un po’ la lingua comune del nostro pianeta, quella che ci consente di comunicare più o meno a qualsiasi latitudine, quindi non si può fare a meno di studiarlo e cercare di parlarlo il meglio possibile, ma dobbiamo convincerci che questa conoscenza rappresenta un’opportunità o un’utilità che ci consente di muoverci agevolmente in un mondo divenuto sempre più piccolo mentre lo sfoggio di qualche parola buttata qua e là in un italiano impoverito e bistrattato non sottolinea la nostra cultura, semmai svela la nostra ignoranza.
Non dimostra conoscenza delle lingue pronunciare “midia” anziché “media”, ma solo che s’ignora che “media” è una parola italiana, non inglese, tanto che gli anglosassoni colti pronunciano “media”! O parlare di “forums” dimostra solo che non si sa che “forum” è una parola latina (al plurale, volendo proprio farlo, diventerebbe “fora”) e che a questa parola, quando è al plurale, gli stessi americani non aggiungono la “s”. Quanto alle parole veramente straniere, la nostra grammatica insegna che, se inglobate nella lingua italiana, restano invariate sia nel genere che nel numero.
L’italiano è una lingua bellissima, della quale dobbiamo essere fieri, non dobbiamo permettere che venga svilita. Tutte le lingue sono lingue bellissime e devono essere custodite, protette. Sono una ricchezza della quale nessuno si deve privare, fanno parte delle nostre radici che nessuno deve mai rinnegare, ma piuttosto far conoscere e condividere.




LA SPERANZA

Dopo il successo del M5S alle ultime elezioni, la situazione politica italiana sembra trovarsi in una fase di stallo e pare chiaro che i partiti stiano dando la colpa e addossando la responsabilità dello sfascio del Paese alla vittoria di Grillo e del MoVimento, senza però effettivamente affermare che la vera colpa va ricercata nelle modalità di conduzione della politica italiana in questi ultimi 20 anni, una politica corrotta e corruttibile – per ultimo il Governo Monti -, una politica della quale noi cittadini siamo tutti stanchi e stufi. Per tale motivo circa 8 milioni di cittadini italiani hanno votato e sostenuto il M5S alle ultime elezioni, perché il nostro slogan “MANDIAMOLI TUTTI A CASA”, non è il solito specchietto per le allodole o promessa pre-elettorale, ma il grido di cittadini indignati che non vogliono più abbassare la testa; ciò spiega la mancata fiducia al PD da parte del M5S e il rifiuto ad accordarsi con altri partiti, rispettando il sopracitato punto essenziale del nostro programma.
E’ importante chiarire alcuni punti: in primis la fiducia.
A differenza di come ci vorrebbero far credere i giornalisti, non è un mero atto formale, ma un atto di corresponsabilità politica, di fronte al Paese e agli elettori.
La nostra Carta Costituzionale all’art 94 specifica, infatti, i due requisiti fondamentali della fiducia: deve essere motivata e deve essere votata per appello nominale (ogni componente si assume la responsabilità politica del voto di fronte al Paese). La fiducia non si dà e non si toglie come si sale e si scende dal tram, come si cambiano un paio di scarpe, questo sì, sarebbe da irresponsabili.
Oggi la fiducia al PD è improponibile perché negli 8 punti del loro programma mancano i nodi cruciali quali la riduzione dei costi della politica, l’eliminazione del finanziamento pubblico dei partiti, le indennità parlamentari sproporzionate, i rimborsi elettorali anche a chi è stato sconfitto. All’avvio della XVII legislatura, il M5S ha chiuso le porte a qualunque accordo con il PD.
Supponiamo, per assurdo, che il PD presentasse un programma di Governo in cui ricalca tutto quello che vuole fare Grillo. Dico “per assurdo” perché, a quel punto, tanto varrebbe avere direttamente un Governo a Cinque Stelle. Supponiamo anche che i 162 parlamentari pentastellati, colti da raptus o irretiti dalle reiterate richieste di “responsabilità”, dopo il discorso parlamentare di Bersani (senza conoscere i contenuti del quale non ha senso neppure interrogarsi sulle intenzioni dei cinque stelle, visto che prima si ufficializza una proposta e solo dopo la si può votare), votassero per questa benedetta fiducia. Dal giorno dopo, il Partito Democratico avrebbe l’aiuto per iniziare la sua azione di Governo. Ma poniamoci una domanda: rispetterebbe l’indirizzo politico dichiarato per ottenere la fiducia? Questo è il problema.
E’ chiaro che parliamo dello stesso partito che fa “parlamentarie” per definire liste di candidature in cui antidemocraticamente impone veterani vietati dallo statuto, come la Bindi e la Finocchiaro. Parliamo dello stesso partito le cui ingerenze nelle fondazioni bancarie hanno portato alla situazione che sappiamo di Monte Dei Paschi e che non ha mai pubblicato l’elenco dei mutui ottenuti dai suoi dirigenti, funzionari, parlamentari.
Un partito che accusa gli altri di non essere democratici, ma che di democratico – visto l’establishment che non molla le redini – non ha poi molto. Un partito che insiste per governare perché sa benissimo che, se si tornasse alle urne, tutta la sua dirigenza verrebbe rasa al suolo e si farebbero avanti nuove leve. In qualsiasi altro stato Europeo, il leader del partito che partiva come già vittorioso e che invece ha subito uno smacco elettorale senza precedenti, avrebbe dovuto coerentemente rimettere il mandato e invece Bersani se ne guarda bene! Ed è per questo che fa lanciare appelli su appelli a una
presunta responsabilità, sia manipolando petizioni altrui e presentandole come se fossero della base del Movimento Cinque Stelle (Viola Tesi, esponente del Partito Pirata), sia lanciando i suoi intellettuali su Repubblica.
La verità è che, con tutta probabilità, il Partito Democratico continuerebbe a fare quello che ha sempre fatto, ovvero i suoi interessi speculari e complementari a quelli del centrodestra, con la sola differenza che a permettergli di farlo, questa volta, sarebbe stato il Movimento Cinque Stelle, con il viatico del suo voto di fiducia. Cosa accadrebbe infatti dei punti condivisi con i parlamentari del Movimento? Si arenerebbero nelle sabbie mobili dei ministeri, dove Berlusconi stesso sosteneva che non si può spostare neanche una pianta.
Qualsiasi governo si formi, non sarà stabile. Al Senato della Repubblica non c’è una maggioranza dello stesso colore politico di quella che, grazie al Porcellum, domina la Camera. Questo è fuor di discussione. Per questo si naviga a vista e si circoscrive il programma d’indirizzo politico a un piccolo numero di leggi o riforme necessarie e facili: la legge elettorale, gli sprechi e i costi della politica, la legge sui rimborsi elettorali e poco altro. Addirittura – sospetto per non consegnare il Paese a Grillo – il Pd vorrebbe anche solo la legge elettorale e poi al voto.
Domanda: visto che l’orizzonte politico è questo, è proprio necessario un Governo per realizzarlo? Ovviamente la risposta è no. Sono cose che potremmo fare anche io e voi.
O, se proprio non si riesce a fare pace con l’idea che le leggi, in una Repubblica parlamentare, le fa il Parlamento senza problemi (e ci mancherebbe altro!), visto che i punti essenziali sono punti condivisi dai Cinque Stelle, si potrebbe affidare il Governo a loro. Non hanno esperienza? Non è rilevante: si tratterebbe solo di un atto formale per realizzare, con il contributo di tutti, poche cose. In primis, appunto, la legge elettorale. Tutti ci fanno un figurone e possono tornare al voto sereni.
Basta vedere come sono riusciti a prendere in giro gli italiani con la legge per la riduzione degli stipendi dei parlamentari: fecero una commissione per valutare la media ponderata degli stipendi dei loro colleghi negli altri paesi d’Europa, parametrata al costo della vita e, poiché era troppo complicato derivarla, il presidente dell’Istat Enrico Giovannini, posto a capo della commissione, dopo mesi e mesi dovette dimettersi e dichiarare un nulla di fatto. Ragion per cui gli stipendi rimasero quelli che sono. Sarebbe bastato restituire al Tesoro la parte eccedente a una quota prefissata, per esempio i 5 mila lordi dei “grillini”, o in alternativa fare una legge di un articolo solo, e avrebbero evitato di prendere in giro tutto il Paese. Ecco, quella è la stessa gente che oggi vorrebbe la fiducia su quegli stessi punti. Tutto il resto si spiega solo alla luce della perniciosa e disperata volontà di restare aggrappati alle leve del potere, trascinando con sé anche l’unica forza di reale cambiamento del Paese.
La chiara dimostrazione che con noi si può lavorare ci viene direttamente dall’ARS e in tutta Europa già si parla di “Modello Sicilia”… sarà un caso?
Troviamo volgare e cinico il criticare dei normalissimi cittadini di diverse derivazioni ideologiche (messe già alle spalle, visto che riteniamo siano retaggi del XX secolo) che hanno solo voglia di fare e di rimboccarsi le maniche per evitare che il paese vada alla deriva; a maggior ragione quando questi stessi cittadini chiedono agli altri, i cosiddetti “affacciati alla finestra per vedere cosa succede”, di aiutare a scoperchiare i torbidi interessi economico-politici di ogni città. A chi ci accusa che nel M5S si stanno riciclando tanti provenienti da altri partiti, noi rispondiamo che l’iscrizione al MeetUp è aperta a tutti, anche ai non graditi, ma che la primavera è alle porte e… in primavera si fanno le pulizie.

I cittadini del M5S Modica, gruppo comunicazione




L’INQUIETUDINE

È l’inquietudine il sentimento che pervade il mio stato d’animo circa la situazione politica nazionale. Guardo con preoccupazione la difficoltà delle forze politiche nel formare un governo di cui credo, si ritiene essenziale la presenza e l’operatività immediata per evitare che il paese cada nel baratro. Credo che questo sia il desiderio prevalente nella società, specialmente di quella parte del paese che si trova con l’acqua alla gola sul versante della situazione lavorativa.
Senza addentrarci in analisi sull’esito elettorale ormai superflue, prendendo atto che gli elettori hanno diviso la torta in tre porzioni di uguale grandezza, si constata l’enorme difficoltà a stabilire accordi tra le parti. Ragionevolezza vorrebbe che due di queste si decidessero a concorrere nella formazione del governo per indirizzare l’azione in due canali che devono procedere parallelamente e restare in coerenza di obiettivi: immediate misure per diminuire la sofferenza del lavoro e procedere sulle riforme delle istituzioni e del sistema nel suo complesso. Misure utili a facilitare la ripresa cercando di risparmiare risorse preziose coniugate a misure utili a fare tornare i cittadini attori della democrazia.
In un paese dove la democrazia non fosse malata questa cosa verrebbe attuata con facilità, ma l’Italia non è un paese normale, è un paese gravemente malato proprio nella trama che deve reggere la democrazia. Questo male, pur con sintomi differenti, affligge tutte e tre le porzioni che costituiscono la torta dell’esito elettorale e rende fragili tutte e tre le parti. La fragilità si manifesta sempre tramite l’aggressività, con aggressività infatti è stata condotta la campagna elettorale e nel medesimo modo di sta conducendo il dopo voto. Il centrodestra è aggressivo verso la magistratura, il centrosinistra è aggressivo nell’esercitare il potere, il movimento cinque stelle è aggressivo nel non volersi mischiare a nessuno degli altri due che hanno raccolto voti in misura uguale ad esso.
Sull’aggressività del centrodestra non c’è bisogno di argomentare perché le ragioni sono a tutti note, su quella del centrosinistra anche perché l’attaccamento alla poltrona della gerontocrazia li inchioda, sul movimento cinque stelle c’è da essere davvero preoccupati perché ha in sé una serie di ragioni non dette, forse non dicibili, di alcune delle quali s’intuisce la natura e che destano inquietudine. Gli effetti del male del nuovo movimento determinano l’irresponsabilità verso il paese e verso quella parte di elettorato che gli ha delegato il rinnovamento. Tutto il voto della protesta verso le formazioni classiche che ha individuato il movimento come canale per esprimere il messaggio di disperazione vuole certamente azione, vuole assunzione di responsabilità, vuole vedere un prodotto nuovo e celere. La quantità di voti riportati dal movimento del resto è tale che potrebbe condizionare ogni interlocutore in maniera assoluta, potrebbe davvero dettare sia l’agenda che il metodo, quindi il movimento dovrebbe solo decidersi a voler rispondere agli elettori che gli hanno dato fiducia, non è possibile che avendo ricevuta tanta di fiducia adesso non voglia riconoscerne agli altri per operare nella direzione in cui ha propagandato durante la campagna elettorale. Questo paradosso desta turbamento e inquietudine, oltre che rabbia e frustrazione per la paralisi che genera.
E’ inevitabile leggere in questo atteggiamento adolescenziale quantomeno un’incongruità: se non si è pronti a governare non ci si candida, se non ci si vuole sporcare le mani lo si dice prima in maniera chiara e non alludendovi solamente con l’espressione sono tutti uguali; se si mira al monocolore che estromette la democrazia lo si deve dire prima e a chiare lettere, se si vuole abbattere il sistema dalle fondamenta lo si deve dire con nettezza, non si possono raccogliere i voti promettendo il salario di sussistenza e poi non partecipare al governo per elaborare il modo come realizzarlo. Alle persone cui manca il lavoro e quindi il pane non occorre l’apriscatole, perché le sardine non le possono comprare, né possono nutrirsi di trasparenza parlamentare, perché questa davvero non serve a imbottire il panino.
La delusione comunque la creano i giovani eletti, non tanto Grillo e Casaleggio che basta guardarli in faccia, leggere i loro occhi, socchiusi e bassi quelli di Casaleggio e ossessionati quelli di Grillo, basta leggere la loro mimica, la loro prossemica, il loro tono di voce, la loro gestualità forsennata e le espressioni cariche di dileggio verso tutti per esserne inquietati, ma gli eletti che in campagna elettorale hanno osservato il silenzio e ora si assoggettano all’obbedienza acritica deludono e inquietano a loro volta. E’ possibile che tanti esseri differenti, provenienti da varie regioni e da vari ceti sociali, con percorsi di formazione differenti, tutti, unanimemente, non sentano il peso della fiducia che gli elettori hanno riposto nelle loro mani? E’ possibile che tutti insieme e ciascuno per sé non conosce il peso della responsabilità dovuta verso il paese e verso gli elettori? Possibile che tutti abbiano interiorizzato il distacco verso il popolo e i suoi bisogni? E’ possibile che 160 persone siano convinte che basta la trasparenza per aggiustare il disagio sociale? Tanta unanimità fa pensare al plagio, allo stato di soggezione verso il capo (carismatico e tiranno). Altro che megafono per fare conoscere giovani sconosciuti e portarli in Parlamento, piuttosto “il gatto e la volpe” che cavalcando la tigre del disagio sociale prendono nella rete un centinaio d’inconsapevoli “pinocchio” e li soggiogano al loro potere per un fine destabilizzante.
Per chiarezza voglio precisare che non mi augurerei che questi giovani si spostassero altrove, vorrei però vedere una dialettica interna al movimento che mettesse a tema la responsabilità verso il popolo ancora prima che verso le istituzioni. Certo, sappiamo tutti che chi alza la testa è fuori dal movimento, ma se si è già nel Parlamento automaticamente si ha un altro mandatario, magari meno autoritario, magari meno carismatico, magari lento a capire, ma non bisogna illudersi, perché la pancia vuota aguzza la criticità, risveglia anche gli zombie, per usare un’espressione emblematica del linguaggio di Grillo.

Carmela Giannì




POESIE PER CONOSCERE O RICORDARE

La storia antica del nostro paese e dei paesi vicini è accomunata da usanze, da lavori umili come “u scapparu” (calzolaio), “u varbieri” (il barbiere) o “u scogghiri” (la spigolatura) per la quale partivano famiglie intere per i feudi e per le campagne vicine ma con chilometri da fare a piedi al ritorno, perché il carro trainato dal mulo era pieno di spighe. Oppure “u consasegghi”(il ripara sedie ambulante), “u ricuttaru” che passava di casa in casa per vendere la ricotta, “u cuticcieri” (lo spaccapietre) e potrei continuare all’infinito, perché sono tanti i lavori umili e pieni di “core” che esistevano allora e che esistono ancora oggi, anche se ormai sono diventati delle industrie dove invece prevale la voglia di arricchirsi alle spalle degli operai e non esistono i veri valori. Valori che si distinguono, invece, nei versi dialettali del nostro poeta modicano che con semplicità ricorda a chi ha dimenticato che il poco di allora era tanto sudato ma amato da poter sfamare anche solo con le fave o un tozzo di pane la propria famiglia (non voglio parlare di oggi invece!) mentre oggi il tanto è sempre poco! Si legge nelle sue poesie inoltre delle feste religiose “a Matri a Razia” (Madonna delle Grazie), “San Gioggi” (San Giorgio) e dell’eterna rivalità con i sanpietrini che avrebbero preferito San Pietro come patrono di Modica, e ancora del Natale, feste vissute pienamente con grande entusiasmo da uomini, donne e bambini e messe in risalto da una dialettica degli anni cinquanta che molti non sappiamo neppure sia esistita.
Nelle poesie, per fortuna tradotte anche in italiano e per questo sicuramente un testo da poter benissimo inserire fra i libri di scuola dei nostri ragazzi e professori come “lingua dialettale del proprio paese”, dicevo, nelle poesie del nostro contemporaneo poeta modicano, si legge e si sente l’amore per tutto per il suo vissuto, per la propria terra e per la propria cultura. Si sente anche una vena di nostalgia mischiata all’allegria dei tempi passati e a una leggera malinconica voglia di poter far rivivere tradizioni e mestieri di un tempo, solo con l’aggiunta di un po’ di poesia in più ai nostri giorni e cioè un pizzico d’amore in più nelle cose che facciamo.
Un libro di poesie, quindi, da comprare senz’altro, anche perché il devoluto andrà tutto in beneficenza, da leggere per capire e da regalare a persone che non ricordano o non hanno vissuto quei tempi.
Complimenti, Peppe Casa!

Sofia Ruta




Calcio. IL MODICA RISCHIA

Nonostante le due vittorie ottenute in tre giorni, resta sempre in bilico la possibilità per il Modica di accedere ai play off per la promozione in serie D.
Modica sugli scudi al Caitina domenica 10 marzo (lo stadio prenderà il nome del compianto Pietro Scollo il 7 aprile, giorno della gara contro il Vittoria) nella partita contro il Real Avola (2-0) con reti di Filicetti su rigore e del giovane Sangiorgio nel finale. Il tutto in un’irreale sensazione, perché nello stadio modicano aleggiava ancora la presenza di don Pietro, da sempre sulla panchina del Modica. Non è stata casuale l’esultanza di capitan Filicetti che gli ha dedicato la rete del vantaggio rossoblù. La gara ha visto il Modica prevalere su un buon Avola ben messo in campo. In sostanza l’equilibrio è stato spezzato dal rigore, il secondo in questo campionato, poi trasformato da Filicetti. Tre giorni dopo, mercoledì, il Modica tornava nello stadio del Misterbianco per il recupero; anche qui gara strana con il Modica sotto di due reti, ma che ribalta il risultato con rete nei secondi finali (2-3). Le reti del Modica sono state di Gancitano, Filicetti su punizione (era ora!) e Carbonaro, alla sua quinta marcatura in dieci gare. Con questa vittoria il Modica scavalcava la Nuova Igea e si posizionava in quarta posizione utile per i play off, ma, tre giorni dopo, il mister s’intestardisce a ripresentare la stessa formazione che ha giocato tre partite in sei giorni, forse pensando che la Tiger Brolo, che aveva giocato mercoledì a Cerignola, in Puglia, la semifinale di andata di Coppa Italia, fosse anch’essa con le gambe pesanti. Errore: mister Bellinvia ha messo a riposo qualche uomo utilizzando il turn over e immettendo forze fresche che alla fine hanno fatto la differenza. Infatti un incerottato Carbonaro si è infortunato al primo calcio e il resto della squadra ha faticato parecchio, nonostante un grande portiere, Tarantino, capace di parare due calci di rigore, concessi dall’arbitro marsalese (bontà sua) ai gialloneri brolesi. Sconfitto il Modica (1-0), viene agganciato a 44 punti con serio pericolo di perdere anche i play off promozione. Salutare sarà la sosta pasquale che permetterà, si spera, di recuperare qualche acciaccato come Sella, Raffa e adesso anche Carbonaro, tutti attaccanti e tutti e tre rattoppati.
A mente serena, in questo scorcio di torneo, forse era meglio far giocare qualche ragazzo della juniores e concludere questo anonimo torneo al più presto, per sperare in qualcosa di meglio l’anno prossimo.
Ma il lunedì successivo alla sconfitta di Brolo, in perfetto stile zampariniano, viene esonerato l’allenatore Gallicchio e al suo posto il ritorno del figliol prodigo Seby Catania. A Gallicchio viene rimproverato un andazzo da “play out”, in realtà 16 punti in dieci partite significa una media punti di 1,60 a partita, di poco sotto la media di mister Catania con 1,75 punti a partita, frutto di 28 punti in 16 partite, ma Gallicchio ha avuto a disposizione una squadra assemblata da Catania e con uno spogliatoio letteralmente distrutto. Il ritorno di Catania alla guida rossoblù creerà sicuramente altri terremoti all’interno degli spogliatoi. Probabilmente una delle vittime sarà Aldo Raffa, l’unico giocatore richiesto da Gallicchio proveniente dalla Turris Isernia, squadra dove con Gallicchio perse la finale play off per approdare in serie D. In attesa di eventi (tornerà Intagliata?), dove il ri-neo mister non avrà a disposizione tutti gli attaccanti, con Raffa, Sella e Carbonaro infortunati, Gancitano squalificato, chi giocherà domenica 7 aprile nel derby con il Vittoria?
Ma al reintegro di Seby Catania una frangia della tifoseria si è opposta, ricordando gli errori commessi dallo stesso Catania, i suoi atteggiamenti arroganti e la “distruzione” di uno spogliatoio in continuo fermento. I risultati sul campo si sono visti e, complice una campagna acquisti dicembrina insufficiente, tra cui un solo attaccante, tra l’altro eternamente incerottato, si sta perdendo anche l’obiettivo minimo dei play off. Così il presidente Cundari non ci sta e annuncia le sue dimissioni dal sodalizio pur mantenendo attiva l’ordinaria amministrazione almeno per questo torneo.
Senza Cundari, probabilmente, non ci sarà calcio a Modica. Quale il male minore?

Giovanni Oddo