Una volta, non troppo tempo fa, il cittadino che si fosse recato in Municipio per sbrigare una pratica o per vedere a che punto dell’iter fosse arrivata, si poteva trovare davanti una porta sbarrata: senza preavviso, era stato cambiato l’orario o il giorno di ricevimento del pubblico. Se anche avesse azzecato giorno e orario giusto, poteva trovare l’ ufficio deserto: il funzionario era fuori stanza. Ovviamente, visto che per venire in Comune aveva dovuto chiedere un permesso al datore di lavoro, oppure era venuto in città apposta da una campagna lontana, iniziava la cerca chiedendo lumi all’usciere – se c’era – o ad altri impiegati. “Potrebbe essere dal Dirigente”, “No, oggi Tanuzzo non si è visto …”, “Mi pare che è in ferie …”: insomma, nessuno sa niente. Il cittadino, fatto furbo da precedenti esperienze, guarda l’orologio: è l’ora della granita con la brioche! Va alla Latteria e, a colpo sicuro, lo trova. In altri orari, per l’aperitivo ad esempio, bastava conoscere le preferenze del ricercato e lo si sarebbe trovato senza fallo al bar Sicilia, al Bogart o da Angioletto. In verità, c’era stato un tempo un sindaco peripatetico che era perennemente fuori stanza: spesso munito di un trancio di pizza o di una scaccia, faceva il giro degli uffici a vedere chi c’era al lavoro… immagino che sia stato poco amato e, comunque, durò poco.
Poi fu la volta del badge, obbligatorio per legge – e lo è ancora -: consente al cittadino di conoscere settore di appartenenza, nome e mansione dell’impiegato che si trova di fronte. Non è un grande sforzo pinzare il badge al bavero della giacca o allo scollo del maglione, in nome di un pizzico di trasparenza e di riguardo in più verso il cittadino-contribuente. Qualcuno – birichino! – lo portava all’altezza della cintura o giù di lì. Dopo un po’ alcuni badge cominciarono ad ornare le tante immagini sacre che i devoti comunali usano appendere dietro il posto di lavoro, altri guarnirono i portamatite… poi scomparvero, per sempre.
Anche il comune di Modica ha dovuto subire il pubblico ludibrio televisivo della documentazione delle timbrate plurime dei cartellini da parte di alcuni stakanovisti, che si sacrificavano ad andare in ufficio anche per gli assenteisti. A quanto pare, questo vizio è diffuso in ogni struttura pubblica italiana, ma non può più affermarsi che “mal comune è mezzo gaudio”: di certe abitudini levantine bisogna imparare a farne a meno. C’è da sperare che gli sforzi degli inquirenti non vengano vanificati da una magistratura buonista ogni oltre ragionevolezza. L’incertezza della pena, unita alla certezza dei tempi biblici della giustizia italica, incentiva i comportamenti deviati; considerando poi anche i tempi e la farraginosità di una burocrazia invischiata in una selva legislativa fuori controllo, gli investitori stranieri si guardano bene dall’approdare presso i nostri lidi. Per la disgraziata condizione economica in cui ci dibattiamo, tutto ciò non è cosa buona.
Spesso ci si chiede come mai certi dirigenti cadano sempre dalle nuvole quando si chiede loro conto e ragione della tolleranza di simili comportamenti: perché per primi si è dato il cattivo esempio oppure perché, per mero opportunismo, conviene comportarsi come la trimurti scimmiesca: non sento, non vedo, non parlo? Tanto lo stipendio prima o poi arriva, e se il lavoro non scorre come potrebbe (e dovrebbe!), c’è sempre la possibilità che qualcuno proponga una lubrificatina agli ingranaggi…
Forse anche per merito di un provvedimento di legge che ha aumentato le responsabilità dei livelli dirigenziali, questi tendono a inquartarsi a difesa stretta per evitare pericoli e seccature, spesso sfiorando l’omissione di atti d’ufficio. Simili atteggiamenti si riscontrano correntemente tra i medici ospedalieri, sempre soggetti ad accuse, spesso infondate, di mala sanità. Anche nella scuola capita di imbattersi in persone che scelgono il quieto vivere piuttosto che l’impegno costante e l’attenzione vigile richiesta dal gravoso compito dell’educazione delle nuove leve del Paese: il trattamento economico vergognoso che ricevono può in parte giustificarle. Ovviamente, non bisogna fare di ogni erba un fascio: credo che ognuno di noi abbia conosciuto tantissimi impiegati modello, vere colonne portanti in ufficio, come pure medici o insegnanti ligi al dovere fino all’abnegazione, praticamente degli eroi che andrebbero pubblicamente elogiati e premiati, cosa che non succede mai!
Data la massa inaudita di ruberie venute alla luce da un paio d’anni a questa parte, che ha visto coinvolte allegre combriccole di politicanti, faccendieri, camorristi ed affini, si impone una stretta moralizzatrice: la gente non ne può più di vedere il Paese ridotto alla fame per la goduria di pochi, sempre gli stessi. Si impone perciò l’obbligo di riformare il sistema, riducendo al massimo la possibilità di approfittare della cosa pubblica e, vista la condizione di estremo disagio economico in cui si trova la finanza di Stato, contemporaneamente ridurre le spese e impedire gli sprechi. Niente da eccepire, tranne il fatto che ci si poteva pensare molto prima di arrivare sull’orlo del baratro. I segnali di recessione c’erano tutti, alla faccia dei ristoranti sempre pieni di berlusconiana memoria.
Come sempre, per il Potere – in questo caso il governo tecnico dei Bocconiani che Napolitano si è visto costretto a mettere in piedi – è stato facilissimo imporre sacrifici immediati a chi non ha difesa: in prima fila ai pensionati, ai pensionandi, ai giovani disoccupati. E’ stata creata financo una nuova specie umana, l’Homo sapiens exodatus. Certe corporazioni, invece, hanno mantenuto l’intoccabilità: nulla ha potuto Monti contro tassisti e farmacisti, e ancor meno contro la Casta, che non tollera neppure il pensiero di potersi ridurre privilegi e prebende. Adesso, però, visto che gli alieni di Grillo sono entrati di diritto nelle stanze del potere, la musica sta cambiando… speriamo che si possa sentire tutta la sinfonia fino alla fine.
In quest’ottica si stanno muovendo alcune amministrazioni pubbliche. Nella fattispecie, la Regione Siciliana sta facendo da battistrada con coraggio e incontrando parecchie difficoltà, d’altra parte assolutamente prevedibili. Non è facile da un giorno all’altro distruggere consolidate abitudini di comparaggio e filiazione in odore di mafia, presenze striscianti che si avvertono ovunque vi sia un barlume di business speculativo. Rimuovere o spostare certi quadri dirigenziali, con tutto l’entourage di favoriti, senza creare troppo disagio all’operatività dei servizi (e, possibilmente, senza rimetterci la pelle) è impresa molto seria, che va condotta con molta prudenza e saggezza. Naturalmente, vista la novità della cosa, si incorre facilmente in qualche incidente di percorso, in qualche incertezza.
I nuovi dirigenti, consci della vischiosità del pantano in cui sono stati gettati, e avendo la certezza che ogni loro passo verso l’approdo a sponde asciutte è sottoposto al microscopio di critici scettici seguaci del Gattopardo, cercano di unire la battaglia moralizzatrice e quella economica cambiando le procedure e intensificando i livelli di controllo. Ad esempio, il Dipartimento di Protezione Civile, nel cui ambito ricadono i lavori di consolidamento e restauro appaltati con la legge 433 – quella del terremoto del ’93 – , non accetta più di accreditare il finanziamento totale delle somme necessarie previste, ma chiede la presentazione di pezze d’appoggio, quali stati d’avanzamento o fatture, debitamente verificate. Poi, sempre che ci sia liquidità nelle casse, provvede ad esperire i mandati di pagamento. Quindi, chi presta la propria opera per la realizzazione di opere pubbliche, deve essere pagato a piè di lista, anticipando materiali, lavoro e spese.
In sé, il procedimento è giusto: peccato che allo stato attuale delle cose, con tante imprese sull’orlo del fallimento e col malefico “patto di stabilità” in agguato, questa incertezza nei tempi e nella sostanza dei pagamenti è intollerabile. Così si sta allungando l’agonia in cui si trascina il compimento di opere che Modica spera di vedersi ridare da ormai troppi anni. I Musei ai Mercedari, la Biblioteca a Palazzo Moncada, la Pinacoteca a Palazzo Polara sono servizi di cui la città ha urgente bisogno, a sostegno dell’unica industria che questo territorio può sopportare, il turismo culturale. Senza cultura, checché ne abbia detto Tremonti, non si migliora, non si cresce, non si mangia!
In questi giorni di grandi dubbi sul nostro futuro non ci resta che sperare che veramente, dopo tanti triboli, si riesca veramente a cambiare le regole di un gioco ormai stantìo, ma che può diventare stimolante e foriero di benessere per tutti. Cambiare democraticamente le regole, non distruggerle con violenza: i lupi che hanno capito, stanno cambiando il pelo… se stavolta non perdono il vizio, mi sa che finisce a fucilate.
L.d.N.P.