Oggi la causa di tutti i mali è considerata la stampa, i giornalisti che amano raccontare cose non vere per stupire o per favorire l’interesse di qualcuno o per semplice incapacità. Forse questo qualche volta succede, perché i giornalisti sono semplici esseri umani, quindi, come qualsiasi essere umano, ricchi d’imperfezioni e debolezze. Il loro mestiere però richiede raccontino i fatti così come sono riusciti a saperli attraverso ricerche, interviste, informazioni carpite qua e là. Il loro compito è quello di ricercare la verità, cioè la cosa più difficile da sapere, perché ogni verità viene filtrata, inevitabilmente e il più delle volte anche inconsapevolmente, da chi la vede, da chi l’ascolta, da chi la vive. Basta sentire come i testimoni di un semplice tamponamento descrivono la scena che hanno visto, ciascuno in maniera un po’, o molto, differente dall’altro, non per un qualche fine particolare, ma semplicemente perché l’hanno percepita in maniera diversa, magari per il punto della strada nel quale si trovavano o per il grado di attenzione che le hanno prestato.
E’ normale dunque pensare che, per conoscere la Verità di quello che accade (o che è accaduto) sia necessario che passi del tempo, che i fatti, così come appaiono in un primo momento, si sedimentino affinché li si possa analizzare con freddezza, usando solo il cervello ed eliminando le emozioni. E’ la storia, si dice, non la cronaca, quella che ci fornisce la Verità assoluta. Ci fidiamo e leggiamo i libri di storia e alla fine siamo convinti di sapere tutto, persino i più intimi sentimenti, di Giulio Cesare, Napoleone, Alessandro Magno. Poi però ci accorgiamo che la verità, su questi e su tutti gli altri personaggi storici, forse è un’altra, completamente diversa.
Prendiamo, tanto per fare un nome a caso, Caligola. Era completamente pazzo, ci hanno detto, al punto che ha nominato senatore un cavallo, anzi no, ha solo minacciato di farlo, o forse nemmeno, lo voleva piuttosto nominare console. Allora? Già qui, pur nella rappresentazione univoca dell’imperatore Gaio Giulio Cesare Germanico, detto Caligola, ci sono delle contraddizioni. Poi saltano fuori i revisionisti, i quali sostengono che Caligola non era per niente pazzo, che la sua dissolutezza era stata inventata dai suoi nemici, che erano tanti perché lui, in realtà, aveva preso atto della dissolutezza della politica, dell’arroganza e dello strapotere dei senatori nonché del loro totale disinteresse del bene della città e dei suoi cittadini, e quindi cercava di procedere a un’opera di moralizzazione della cosa pubblica: la nomina, o la minaccia della stessa, di fare senatore il suo cavallo non era altro che un paradosso per dire che un equino avrebbe potuto essere un senatore migliore degli esseri umani che rivestivano quella carica. L’ipotesi potrebbe funzionare, se si pensa che a scrivere di quest’imperatore, all’epoca o poco dopo, erano personaggi a lui ostili per la loro posizione nella vita pubblica cittadina, quali Svetonio (senatore) e Dione Cassio (console). Ora, se chi racconta i fatti contemporanei è un giornalista, mentre chi parla di quanto accaduto nel passato è uno storico, come fa lo storico ad arrivare alla Verità se non leggendo le fonti dell’epoca, in pratica prestando fede a coloro che hanno descritto la cronaca (quindi quelli che oggi sono i giornalisti) essendole contemporanei o quasi? L’ipotesi di un Caligola moralizzatore è affascinante e non priva di logica, se si pensa che, in un’epoca di totale corruzione del consesso senatoriale, un imperatore pazzo, che si abbandonava alle orge occupandosi più di soddisfare il proprio piacere che del benessere di Roma, poteva pure far comodo, non c’era dunque motivo di sbarazzarsene dopo nemmeno tre anni di regno come invero è accaduto. Non vi viene in mente la diversa interpretazione che danno oggi i cronisti alla imprese di Beppe Grillo? Chissà quale delle due resterà nella storia fra mille o duemila anni!
Ma allora la Verità qual è? Il sospetto che non la si possa conoscere mai è forte e scoraggiante. E lo è sia per quei giornalisti che si dannano per fare al meglio il loro lavoro, sia per i lettori che non sanno più se possono credere o no alle parole che leggono.