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SIAMO CON L’ACQUA ALLA GOLA? MAGARI! (Lettera aperta al Sindaco)

Gentile sindaco,

da poche settimane Ella occupa una poltrona per la quale ha lottato con una lunghissima campagna elettorale. I risultati ottenuti sono indiscutibili e soddisfacenti, sempreché non dimentichi mai che il “furor di popolo” che lo ha voluto sindaco passerà prima o poi all’incasso presso lo sportello delle promesse e pretenderà di trovarlo aperto.

A parte, quindi, gli oneri soliti (debito milionario, macchina burocratica comunale inefficiente, organico pletorico, funzionari neghittosi, se non felloni e quant’altro) avrà, quanto meno, la soddisfazione di essere a capo di una comunità che vanta un passato glorioso: già presente prima della fondazione di Roma, poi capitale della più importante Contea di Sicilia, ricostruita dopo un disastroso terremoto in uno stile barocco che la rende un gioiello insieme a Scicli e Ragusa, punto d’origine di una pregiata razza bovina, sede di un antico e prestigioso Tribunale, sede, nel Settecento, di un’importante Scuola Medica, patria di uomini illustri nel campo delle scienze e delle arti fino ad aver dato i natali all’unico premio Nobel per la Poesia che la storia ricordi, punto di produzione di un cioccolato unico al mondo, Accademia della Scaccia e della Fava, Città d’Arte e, infine, Patrimonio dell’Umanità.

C’è di che esserne orgogliosi. Solo che la quotidianità si nutre di cose semplici, la cui assenza rappresenta un vulnus capace di azzerare tutte le eccellenze appena richiamate fino a ridurle a niente. Vuole un esempio terra-terra, anzi, acqua-acqua? Come saprà, interi quartieri di Modica serviti dall’acqua della diga di Santa Rosalia sono a secco dallo scorso venerdì 9 agosto. A secco significa che non arriva l’acqua nemmeno a “pipiu” e, dopo tale periodo, i suoi concittadini, migliaia, incazzati e puzzolenti, stanno organizzando delle macumbe propiziatorie, danze della pioggia et similia onde scongiurare la sete.

Converrà certamente che la scelta di servire una parte importante della città da una sola fonte di approvvigionamento, peraltro esposta ai capricci di Giove Pluvio, sia stata una delle più imbecilli soluzioni che i suoi tecnici comunali abbiano mai adottato. E considerato che di soluzioni imbecilli l’ex Contea abbonda, questa potrebbe candidarsi a buon diritto al Guinness dei Primati. Un po’ come il permesso di costruire in un alveo di torrente (ché, tanto, prima che si alluvioni il tutto passano decenni e se poi succede sono in pensione, e se mi indagano, mi rinviano a giudizio, mi condannano passano altri decenni e ti saluto, piede di fico) e ritenersi a posto con la propria coscienza di cristiano e di professionista.

Perché, vede, signor sindaco, Ella è circondata da personaggi abituati a guadagnarsi lo stipendio qualunque cosa facciano e, fatte salve le giuste eccezioni, fanno persino gli straordinari per ottenere risultati simili a questo…

E poiché la Signoria Vostra è persona intelligente e bene edotta sullo stato delle cose, dico questo a beneficio di quelli che leggono, un po’ seccati come i tubi delle loro case. Lei, da parte sua, ha a disposizione qualche anno per cambiare alcune cose. Si sbrighi, e veda di diversificare l’approvvigionamento dell’acqua nella parte più moderna della Sua Città, con provvedimenti che rappresentino una buona soluzione per tutti (l’uso delle autobotti non lo è) per restituire ad alcuni suoi concittadini il diritto alla casa.

E’ vero, del resto, che nessuno potrà mai affermare che questa Città sia giunta con l’acqua alla gola – valla a trovare – ma questa è una magra consolazione che ci lascia… a bocca asciutta.

 

Paolo Oddo




LA MODICA DI ENZO BELLUARDO




IL NUOVO MODICA CALCIO

Continua a ritmi serrati la preparazione del Modica, con doppi allenamenti giornalieri e partite amichevoli utili per testare una squadra in cerca di identità. Mister Catania ha tra le sue fila una ventina di calciatori, tra vecchi e nuovi, pronti per la prima gara ufficiale, domenica 25 agosto, nella prima gara di Coppa Italia, che vedrà i rossoblù modicani affrontare i biancorossi vittoriesi, quindi gara di ritorno la domenica successiva e inizio di campionato previsto per l’otto settembre.

Il quadro dei giocatori del Modica manca ancora di qualche tassello che il nuovo direttore generale, Camelia, sta cercando, in modo da dare a mister Catania un Modica quanto più qualitativo possibile.

Nel neo gruppo rossoblù annoveriamo tra i portierI, oltre a Polessi che farà anche da allenatore dei portieri, due giovani del 96, De Miere e Loreto, tra i difensori Camelia, Ravalli, Buscema, Pianese, Citronella e Parisi, i centrocampisti Sangiorgio, Crisafulli, il capitano Filicetti, Arcidiacono, Truglio, Sigona, gli attaccanti Mento, Rametta, Sella e Donzuso. Il gruppo è un mix di calciatori navigati e giovani alla ribalta, per questo il modica edizione 2013-2014 è tutto da scoprire.

Tra le certezze troviamo un campionato infarcito di nobilI decadute con due iblee, due siracusane, cinque  messinesi e sette etnee, di cui solo due di Acireale. Inutile dire che i pronostici sono tutti per il nuovo Siracusa, lo Sporting Club nato dalle ceneri del Palazzolo, ennesima catarsi  dopo l’ennesimo fallimento.

Ecco il quadro completo delle squadre che sono stati inserite nel girone B del campionato di Eccellenza siciliano: Acireale Calcio, F.C. Acireale, Catania San Pio X, Gymnica Scordia, Igea Virtus Barcellona, Mazzarrà, Misterbiano, Modica, Rometta, Rosolini, San Gregorio CT, Sport Club Siracusa, Viagrande, Vittoria, Taormina, Tiger Brolo.

Il Modica non ha i favori dei pronostici, ma può fare un campionato di livello medio-alto e con un po’ di fortuna, vedi il DueTorri di Gliaca di Piraino, ripescato in serie D dopo l’exploit dei play off, può sempre aspirare al meglio.

Giovanni Oddo

Nella foto l’allenatore Seby Catania




LA ‘COMETA’ MIGRA NELLA NOTTE DI S. LORENZO

È successo tutto, ironia della sorte, proprio nella notte di San Lorenzo, la notte delle stelle cadenti, e così finalmente il desiderio comune di molti modicani si è avverato: la ‘Stella Cometa’ per antonomasia, l’installazione realizzata da Angelo Ruta, che per troppi mesi è stata posizionata nelle celebre e altrettanto obbrobriosa Fontana Cellini in Piazza Rizzone, ha traslocato. Modica quindi si è liberata, almeno in parte, di un’opera che ha profondamente diviso la città della Contea tra chi (un gruppo ristretto di intellettuali) voleva difendere a tutti i costi l’installazione storcendo il naso nei confronti di quanti ne ignoravano il significato intrinseco soffermandosi sul puro aspetto esteriore e chi invece giudicava l’opera basandosi su ciò che semplicemente era sotto gli occhi di tutti ovvero un ferro arrugginito dal significato poco chiaro che stonava vistosamente con il contesto del centro storico della città. Adesso la cometa ha cambiato posizione, la scelta è stata fatta dall’attuale amministrazione guidata da Ignazio Abbate dopo mesi e mesi di tentennamenti da parte di quella passata che, nonostante la promessa di spostare l’opera all’inizio del nuovo anno, non ha rispettato l’impegno, forse impaurita dall’idea di prendere la prima decisione popolare dei cinque anni di governo. Quanti vorranno adesso ammirare la Stella potranno farlo recandosi nella rotonda all’ingresso della zona artigianale di Contrada Michelica e del famoso centro commerciale. Non sappiamo se ciò sia un bene o un’ulteriore punizione per una zona che è notoriamente abbandonata. Adesso forse la Stella servirà a guidare il percorso dell’amministrazione verso la riqualificazione della zona.

Mariacarmela Torchi

 

 




CONTINUA LA RASSEGNA CULTURALE DI INGEGNI CULTURA

WP_20130809_001Tra i tanti eventi organizzati dall’Associazione durante il corso dell’anno, due gli appuntamenti tenutosi la sera del 9 agosto del corrente anno, alle ore 19 il primo e subito dopo il secondo, ambedue dedicati all’antica medicina.

Nel caratteristico sagrato della chiesa del Carmine infatti, con una massiccia presenza di modicani e turisti attenti, è stata presentata la quindicesima e penultima opera “Piante e parole che guariscono”,  (la sedicesima “Il tesoro di Pantalica” che tratta di orchidee selvatiche, storie e tradizioni, è in stampa) di Paolino Uccello, guida naturalistica, etnologo e scrittore, nonché volto noto delle trasmissioni televisive quali Linea blu e Geo&Geo.

A fare gli onori di casa, il consiglio direttivo dell’ente associativo, con i consiglieri Gino Salina e Simona Incatasciato e il presidente dell’associazione culturale Mario Incatasciato che ha aperto la serata elogiando l’opera di Uccello e evidenziando la comunanza che ha legato all’unisono i due eventi e anticipando poi sul proseguo della serata con la visita guidata al Museo della Medicina “Tommaso Campailla”, iscritto nel  R.E.I.L (registro delle eredità immateriali a livello locale ),  convenzione Unesco e di cui l’Ingegni Cultura è l’ente gestore, oltre ad essere anche socio fondatore del neo Consorzio degli operatori turistici di Modica, e incuriosendo così i presenti con la sua descrizione, in una chiave del tutto medievale, avente per  tema il rapporto esistente nell’antichità, fra medicina ufficiale e popolare.

In poche parole ha saputo coinvolgere il pubblico facendo notare il quadrilatero monumentale che la piazza del centro storico di Modica, ospita in pochi metri di spazio: la stupenda chiesa del Carmelo, detta chiesa del Carmine, con il portale trecentesco sovrastato da un rosone francescano e la vetusta chiesa quattrocentesca di San Paolo, espressioni alte del Casale, antico quartiere di Modica; il convento dei Carmelitani, dove per un periodo si è insidiata la caserma dei carabinieri, inestimabile valore dal punto di vista storico e architettonico, infatti in seguito ad opere di restauro sono stati riportati alla luce i pavimenti in acciottolato del XIII-XIV secolo; gli archi ogivali gotici che immettono da un ambiente conventuale a un altro, le finestrelle in stile svevo chiaramontano del XIII secolo (oggi questo complesso architettonico purtroppo non è fruibile); l’ex Cinema Moderno, oggi Auditorium “Floridia”, dove è possibile ammirare i resti della chiesa trecentesca di San Giovanni ove officiò don Giuseppe Pediligeri, il fondatore dell’Ospedale della Pietà, sede della Scuola Medica Modicana; quarto punto del quadrilatero, l’annesso ospedale “ Sacra Domus Hospital”, dei Cavalieri Gerosolimitani, risalente al sec. XIV, e solo successivamente detto di S. Maria della Pietà, che, in seguito alla realizzazione delle “Botti mercuriali” del 1698 ad opera di Tommaso Campailla (non medico ma scienziato e filosofo, che ebbe anche una cattedra di insegnamento presso l’università di Londra), prenderà il nome di Sifilicomio Campailla, quindi di Ospedale Campailla fino agli anni sessanta e nientedimeno oggi è diventato Museo della Medicina “Tommaso Campailla” grazie alla Ingegni Cultura, allo stesso Incatasciato, alla figlia Simona, specialista in economia del recupero e della valorizzazione dei beni culturali e parte integrante dell’ente associativo cittadino e grazie anche  all’ex sindaco di Modica  Antonello Buscema, che, con questo progetto, sono riusciti a far riemergere un’antichità medievale a noi sconosciuta.

Il presidente dell’associazione ha poi passato la parola a Paolino Uccello, che ha  focalizzato l’attenzione dei presenti sul tema della medicina nel rapporto esistente nell’antichità fra medicina ufficiale e popolare.

Ha ricostruito la storia e la memoria del mondo contadino ibleo, ha raccontato dei ciarauli , dei guaritori e degli aromateri che per secoli unitamente alla “majaria “ hanno costituito l’unico intervento terapeutico accessibile alla quasi totalità degli abitanti del territorio ibleo.

Si è soffermato sulla figura storica di San Paolo e del suo potere taumaturgico di guarire dai morsi dei serpenti, delle vipere e delle tarantole.

Ha parlato di orazioni e di scongiuri antichi, come quelli per ottenere un parto facile, per allontanare la febbre e la cattiva sorte, per guarire dal fuoco di San’Antonio, per conoscere il futuro di un matrimonio o di un fidanzamento, il tutto con antiche tradizioni di miscugli e infusioni di erbe, fiori e piante.

Si è poi soffermato sui riti antichissimi di guarigione come “l’affatturamento”, che si faceva con l’utilizzo di un uovo di gallina o di una bambola o di un fantoccio, detto “uovu ri majaria”, nel quale la majaria infilava da trenta a sessanta spilli per affatturare le persone  con altrettante spille dolorose.

Paolino Uccello ha poi presentato “Piante e parole che guariscono”, edito dal Museo del Tessuto, dell’Emigrante e della Medicina Popolare, in collaborazione con il comune di Canicattini Bagni e l’Associazione “ Yhan-La sorgente della Musica”, identificando la sua opera con il territorio dei monti Iblei, parlando della città di Canicattini Bagni che rappresenta la porta che si apre a oriente per i visitatori in un viaggio suggestivo che passa tra la flora e la fauna delle Cave canicattesi, al Liberty e alle pietre barocche che ne disegnano l’architettura dei palazzi e delle chiese.

Un lavoro, il suo, di grande ricerca quindi, che in questi anni lo ha visto nelle vesti di naturalista e studioso, a difesa del territorio assieme all’Ente Fauna Siciliana, del quale è dirigente regionale.

Il sindaco Paolo Amenta e i cittadini tutti di Canicattini Bagni, contenti del suo operato, hanno sostenuto la proposta di Paolino Uccello e dell’Associazione Galleria del Ricamo, di concedere in comodato d’uso gratuito i locali a pianoterra del Museo dei Sensi di Via De Petris (che già ospita il Museo del Tessuto-Casa dell’Emigrante), per l’istituzione del Museo di Medicina Popolare, proprio per ricostruire e salvaguardare la storia e la memoria del mondo contadino ibleo.

Di seguito, la visita guidata del Museo della Medicina Tommaso Campailla, per la quale si sono formati due grandi gruppi. Simona e Mario Incatasciato hanno guidato i presenti che hanno ammirato i vari ambienti ricostruiti nel Museo, i due teatri anatomici, la stanza delle botti mercuriali, ricostruite nei minimi particolari con anche un manichino all’interno per far capire come le persone malate di sifilide a quei tempi venivano curate riscaldando il mercurio fino a 50 gradi nel braciere; lo studiolo medico e gli strumenti con la quale lavoravano i medici.

La serata si è conclusa poi con un rinfresco per tutti i presenti offerto dalla pasticceria modicana “Artigiana Biscotti “, ma non senza ricordare prima ai presenti il prossimo ritrovo culturale, raccontato attraverso testimonianze materiali e immateriali.

Sofia Ruta




SPARACINO FA OMAGGIO A DE ANDRÉ

Le storie, si sa, bisogna prima saperle tessere e poi saperle raccontare, non è abilità di tutti, anzi è abilità rara, lo dimostra purtroppo la narrativa contemporanea che riesce a regalarci solo un senso di vuoto,   se poi la storia è quella che fa perno sulla vita di Gesù, ovvero la storia delle storie, allora l’abilità della tessitura diventa determinante, perché, data la delicatezza del tema, si potrebbe rischiare di annoiare o di scandalizzare.

Non corre nessun rischio Alessandro Sparacino nel portare in scena “La Buona Novella” perché in fatto di tessitura e narrazione ha metodo, esperienza e talento provati, tanto da sapersi scegliere come compagno di avventura (in questa performance) il magnifico De Andrè.

Il punto focale della drammaturgia su cui fa perno “La Buona Novella” è il racconto della vita di Cristo attraverso i Vangeli Apocrifi che, a differenza dei Vangeli Canonici, prestano un’attenzione maggiore sulla “natura umana” dei loro protagonisti. Il miracolo comunicativo si aggancia a questo dettaglio, la narrazione giunge diretta all’emozione dello spettatore, lo coinvolge e lo immedesima nella vicenda inducendolo a interrogare il senso del sacro che custodisce dentro, rivitalizzato e nutrito dalla fresca linfa che attinge dalla storia,  rinvigorito dalla grandiosa bellezza della semplicità, e il prodigio che la natura umana può assumere se esplica la sua potenzialità.  Può allora succedere che lo spettatore riveda la rappresentazione di codesta materia alla luce del vissuto e dell’agito proprio, e, sotto questo prisma diffrangente, può succedere, senza che ci se ne avveda, una sorta di autoconfessione purificatrice, perché il guardarsi dentro e il giudicarsi alla luce di un parametro che all’umano assegna il ruolo di inverare il divino per potere essere degni di sé è un’opportunità che non si verifica tutti i giorni.  Può succedere che ciascuno riposizioni se stesso almeno nel proposito dell’agire, succede certamente di non potere restare passivi, succede di sentirsi toccati nel profondo, richiamati!

La rappresentazione portata in scena da Sparacino, tra citazioni dai vangeli e canzoni di De Andrè, parte dall’infanzia di Maria e arriva alla Passione di Cristo, attraverso la voce dei protagonisti che raccontano, in prosa o in rima, in musica o recitando e senza soluzione di continuità, scorre come l’acqua nel fiume, fresca, leggera, limpida, musicale, carezzante e purificante.

Lo spettacolo portato in scena a “Casa CiòMod” la sera del 9 agosto scorso nasce dall’esperienza del musical “La via della croce”, che già negli anni passati ha riscosso grande successo sui palcoscenici siciliani, e che ora è stato ripensato nella formula tipica del teatro-canzone, assumendo come strumento veicolante Fabrizio De Andrè. Le note e le parole di Fabrizio De Andrè sono state le “materie prime” del lavoro di Alessandro Sparacino, attratto da quella stessa idea da cui Faber si era lasciato attrarre: quella che “La buona novella” possa essere un’allegoria dell’umano, piuttosto che del divino. “De Andrè mette in musica i Vangeli apocrifi – spiega lo stesso Sparacino, a un certo punto dello spettacolo – proprio affinché questa storia complicata, che è forse la Storia per eccellenza, possa divenire una favola”. L’aggettivo “apocrifo”, in greco, significa “segreto”, “nascosto”. Quando la Chiesa cominciò a distinguere in “ispirata e no” la letteratura su Cristo, escluse quei testi apocrifi dal codice canonico. Per estensione vennero chiamati “apocrifi” tutti gli scritti esclusi dal codice, così apocrifo divenne sinonimo di “non veritiero”, “falso”, “non corretto”. Non ci permettiamo certo di entrare nel merito delle classificazioni, ma quanta bellezza, quanta tenerezza, quanta misericordia c’è dentro questo cosiddetto falso, e quanto bene all’uomo fa entrarvi in contatto!

Quella realizzata da Alessandro non è una rappresentazione che regala il semplice diletto per allietare una serata estiva, non è solo un passatempo ricreativo, ma una serata di quelle che ti regalano qualcosa da portare a casa, un’occasione che è riuscita a fare sperare e riflettere sull’essenza della vita, una performance che concilia l’uomo con se stesso, con le sue fragilità ed imperfezioni, insomma con la sua essenza imperfetta per fare agire quel gradiente di umanità capace di accostarlo alla misericordia cristiana che di guardare al “divino” lo fa degno.

In scena con Alessandro Sparacino i suoi soliti compagni musicisti che sanno fare con professionalità e passione l’adeguata cornice sonora, la Metamorfosi Band: Mario Lo Bianco (chitarre), Giusy Vindigni (tastiere), Salvo Antoci (pianoforte elettrico), Roberto Paternò (basso), Maurizio Iaconinoto (batteria).

 Carmela Giannì




Campione del mondo!




LE RICETTE DELLA STREGA (a cura di Adele Susino)

Insalata di riso con anguria, feta e cetrioli marinati

 

Ingredienti:

500 gr di riso basmati, mezza anguria, una confezione di feta, 2 cetrioli, il cuore di un sedano, 2 cucchiai di foglie di tèero, 50 gr di mandorle, 50 di noci, 1 mazzetto di basilico, q.b. di sale di mozia aromatizzato al coriandolo, finocchietto selvatico e origano, zucchero di canna, olio evo, limone, q.b. di pepe verde

 

Preparazione:

Lavare il riso sotto l’acqua corrente fin quando perde l’amido, scolarlo e farlo tostare in un tegame con olio d’oliva, coprirlo a filo con l’infuso di tè nero bollente e il sale, mettere il coperchio e far cuocere fin quando il liquido è assorbito e il riso è ben sgranato. Nel frattempo lavare e tagliare a cubetti i cetrioli e metterli in una ciotola a marinare con lo zucchero di canna e il sale. Con uno scavino ricavare dall’anguria delle palline. Tritare grossolanamente noci e mandorle. Condire il riso con l’anguria, i cetrioli scolati dalla marinata, la feta sbriciolata, le noci, le mandorle, il basilico tritato, le zeste del limone  e un’emulsione di olio, limone sale e pepe. Mescolare bene con due forchette e far riposare al fresco almeno un’ora prima di servire.




FISCO E PREVIDENZA: CHIARIMENTI PER IL CITTADINO (a cura di Giovanni Bucchieri)

Oggi parliamo di alcuni provvedimenti del Governo Letta che danno più garanzie per i contribuenti e snelliscono la burocrazia che continua a bloccare le aziende.  Infatti con la conversione del Dl del fare si è stabilito che per i lavori realizzati direttamente dai privati non sarà più necessario il DURC, il documento unico di regolarità contributiva. Infatti in caso di lavori  privati di manutenzione in edilizia in economia non sussiste  più l’obbligo della richiesta del documento unico di regolarità contributiva sia agli Istituti che agli Enti abilitati al rilascio. Questo importante provvedimento risolve in maniera chiara e definitiva la questione dei Comuni che chiedevano comunque il DURC anche se la denuncia dei lavori evidenziava che gli stesi erano effettuati in economia, ossia direttamente dal proprietario dell’immobile senza conferire l’incarico a una impresa edile. Altra novità è rappresentata dal fatto che, quando è necessario il DURC, la validità dell’attestazione è stata elevata a 120 giorni dalla data del rilascio e che lo stesso può essere utilizzato in tutte le fasi contrattuali e può valere anche per contratti pubblici di lavori di servizi e forniture diversi da quelli per i quali è stato espressamente acquisito. Inoltre in caso d’irregolarità del DURC l’impresa è invitata  a sanare la propria posizione. Questi sono dei provvedimenti che sicuramente serviranno a snellire la pesante burocrazia che si annida nei vari uffici, i quali si nascondono dietro una normativa più o meno valida e chiara,  burocrazia che rallenta l’operato di  una ditta che ogni giorno, in particolare in questo periodo,  si sacrifica e si impegna a lavorare  e tante volte  non per vivere ma per sopravvivere.

A questo si aggiungono una serie di provvedimenti che daranno più garanzia al cittadino contribuente. Tra questi la possibilità di pagare i debiti diluiti in 120 rate, lo stop, era ora, alle ganasce fiscali per auto e veicoli che servono all’impresa. La norma in tema di espropriazione prevede anche che con decreto del ministero dell’Economia venga fissato un paniere di beni non espropriabili. Seguiremo con attenzione l’evolversi di questa importante normativa.




“NON SONO FEMMINISTA…” AHI!

E’ l’argomento all’ordine del giorno: il femminicidio. Si propone una legge che protegga le donne dalla violenza, perché, si dice, quelle attuali non le proteggono abbastanza. Eppure, anche con la legislazione attuale, quando una violenza viene denunciata si dovrebbe intervenire. Il guaio è che, se a denunciare è una donna e la violenza che denuncia proviene da un familiare, si tende a sottovalutare la cosa, a pensare che in famiglia prima si litiga e poi si fa la pace. Così l’arroganza del padre-padrone si sente in qualche modo autorizzata dalla società, dalle istituzioni stesse.

Pensare che le donne avevano lottato perché fosse riconosciuta loro parità di diritti e soprattutto parità di rispetto. Erano gli anni ’60-’70, era l’epoca del femminismo, quando, forse anche con manifestazioni eclatanti ed esagerate, si era sbattuta in faccia al mondo la necessità della donna di appartenere a se stessa, di scegliere come essere rifiutando di accettare come gli altri (padri, mariti, le madri stesse) volevano che fosse. Molte battaglie allora erano state vinte e le donne pensarono che la stagione della lotta fosse finita, che il mondo civile finalmente avesse capito e fosse disposto a esercitare il necessario rispetto. Fu allora che si cominciò a sentir dire una frase che avrebbe dovuto mettere paura: “non sono femminista, però…”. Come un mettere le mani avanti per dissociarsi da qualcosa che apparteneva ad altri, a una pletora di scalmanate facinorose da ridicolizzare un po’ e tenere distanti. Eppure quella pletora di scalmanate facinorose aveva lottato, si era sacrificata anche attirandosi addosso, consapevolmente, il ridicolo, per il bene di tutte. Sì, questa presa di distanza avrebbe dovuto mettere paura, invece non ci si faceva caso, anzi la si apprezzava.

Così, quando spuntarono le veline, alle quali si chiedeva solo di essere giovani, belle e di sapersi muovere a tempo di musica, e quando diventare una velina cominciò a essere la massima aspirazione di qualsiasi minorenne, bella o brutta che fosse (sì, anche brutta, tanto c’è la chirurgia plastica, che rende tutte belle e tutte uguali), non si capì o non si volle capire che la donna stava nuovamente precipitando nel baratro dal quale il femminismo l’aveva appena tirata fuori, che stava inevitabilmente ritornando un oggetto, quindi qualcosa da usare, da possedere, insomma quanto di più lontano da una persona.

Se i colpevoli di femminicidio sono i mariti, i padri, i fratelli, che fanno della violenza una forma d’amore (dicono loro!), è innegabile una corresponsabilità da parte delle vittime, cioè delle donne, che, dopo la battaglia in parte vinta dalle tanto ridicolizzate femministe, non hanno saputo mantenere le posizioni, non hanno saputo opporsi alla strumentalizzazione che di loro veniva fatta dai media, non hanno saputo scegliere di affrontare il mondo col petto in fuori pur se con le tette piccole. E così tutte le postazioni conquistate si sono perse e le donne si sono ritrovate nella vecchia trincea, dove non appartenevano più a se stesse ma ad altri. Caporetto, insomma. Adesso c’importa relativamente che lo Stato promulghi una legge contro il femminicidio, ma ci aspettiamo, anzi pretendiamo, che le donne riprendano coscienza di se stesse e tornino sul campo di battaglia, riconquistino le postazioni perdute e procedano oltre, finché non divenga chiaro a tutti, e specialmente a loro stesse, che sono persone, persone che devono poter scegliere, sempre, persone alle quali nessuno può imporre niente, nemmeno la pettinatura. Quando ci guarderemo intorno e vedremo donne belle che non siano cloni l’una dell’altra o donne brutte fiere della propria bruttezza, quello potrà essere un segnale della consapevolezza di sé indispensabile per non candidarsi al ruolo di vittima.

Intendiamoci, quanto detto fin qui è ben diverso dal concetto malato di attribuire a una minigonna la provocazione che vorrebbe giustificare un’aggressione. Pretendiamo, semmai, che anche la donna più provocante possa indossare la minigonna senza rischiare la propria incolumità, ma siamo convinti che per arrivare a questo si debba cambiare il sentire sociale e questo non potrà accadere se non saranno le donne, per prime, a pretenderlo riaffermando di nuovo la loro indipendenza dagli stereotipi sociali, culturali o subculturali. Anche rischiando il ridicolo, se occorre. Come le donne di quarant’anni fa.