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POLITICA, SÌ, MA QUALE POLITICA?

Il Cenacolo di studi Dietrich Bonhoeffer di Modica svolge sul territorio un’attività culturale costante e meritoria affrontando  di volta in volta temi svariati. A conclusione del mese di ottobre ad essere messa a fuoco, col contributo di eminenti studiosi, è stata la politica. Tre incontri (20-26-27) in tre date differenti (il primo alla Domus, gli altri due nella sede del cenacolo) con il preciso intento di fornire occasione di riflessioni su un ambito che attualmente non gode di molta attrattiva.

Proprio per questa ragione è stato importantissimo rimettere a tema la questione, per dare ossigeno al pensiero critico che rischia di affievolirsi grazie all’angustia della paralisi economica nella quale il nostro tempo di vita inesorabilmente scorre.

Per riuscire nell’intento bisognava alzare il tiro, cioè la quota dalla quale potere osservare la realtà, non solo scegliendo la qualità ed il prestigio dei relatori (Francesco Raniolo, ordinario di Scienze Politiche; Luca Licitra, avvocato; Alessio Lo Giudice, Ricercatore in Filosofia del Diritto; Emanuele Guerrieri Ciaceri, cultore di Diritto Privato; Roberto Fai, docente di Filosofia e Storia; Viviana Altamore, cultore di Diritto Pubblico Comparato),  ma anche ampliando il campo di osservazione.

Sotto la lente, nella tre giorni di approfondimento, sono stati passati in rassegna prima i partiti politici nel loro divenire dal dopoguerra ad oggi, ma anche la situazione dell’eterna incompiutezza dell’unità Europea, e poi, nel terzo incontro, un’osservazione alla lente d’ingrandimento dell’attuale società frammentata in relazione al sistema mondo.

L’approfondimento ha preso spunto da due libri di recente pubblicazione (quello di Raniolo e quello di Fai), ma si è trattato di spunti per aggiungere alle isole di osservazione scelte, letture della realtà a partire dall’ottica filosofica, sociologica, storica, infarciti di antropologia e psicologia. Come si può bene intuire, si è molto lontani da ciò che avviene nei partiti e che si continua a chiamare politica mentre dovrebbe essere definito esercizio del potere con tutto ciò che di disgustoso significa per i cittadini in preda all’angoscia del presente, dell’immanente, del prospettico per l’assenza di speranza.

Distillando al massimo grado il senso della lodevole iniziativa è venuto fuori un disperato bisogno di politica, di quella con la “P” maiuscola, cioè di quella che sceglie con “responsabilità” perché c’è bisogno di uscire dalla crisi individualizzata dove un Governo governa senza rappresentare e rappresenta senza governare.

Dalle dotte relazioni prima e dal dibattito col pubblico dopo, è emerso con molta forza il bisogno di vera Unità Europea, di istituzioni politiche sovranazionali, perché in un mondo globalizzato occorre possedere un considerevole peso per poter interloquire con realtà di macrodimensioni che si esprimono tramite la potenza economica. In una realtà globale ormai data non ha senso agire come singoli Stati, non è proprio possibile, le formiche non possono dialogare con gli elefanti. Chi teorizza l’uscita dall’Europa ragiona guardando indietro e non avanti, piuttosto il problema è quello di accelerare e portare a compimento un processo di costruzione avviato e lasciato in attesa come se potesse bastare l’unione monetaria e la libera circolazione degli individui dei singoli Stati componenti.

Occorre avere istituzioni politiche che riprendano lo spazio oggi lasciato ai poteri burocratici e tecnocratici che non possono che fare l’interesse dei poteri forti di cui sono espressione; occorre insomma l’Istituzione che possa decidere per e sulla vita e il destino degli individui, cioè la Politica! Occorre che le domande ponderose del destino dell’umanità (pace, energia, stato del pianeta, stato sociale) tornino ad essere prese dalla rappresentanza politica in cui l’Europa sia un’entità strutturata e coesa di fronte agli altri colossi del pianeta. Occorre che si esca dall’alibi della disomogenea identità degli Stati che costituiscono l’unità europea, se si guarda alla cultura di base dei vari paesi la sintesi si trova nella in quella stratificazione che i millenni hanno depositato e spalmato sull’intera realtà geografica, solo così si potrà tornare alla politica delle politiche. L’identità (come diceva Joung) è una funzione dell’Io, non è data dalla geografia, è data dai bisogni fondamentali in ambito di diritti essenziali e ciò, se non si vuole barare, accomuna.

Oggi bisogna barcamenarsi nella moltitudine con le proprie differenze, questa è la realtà, e, se è vero che “Il mondo è tutto ciò che accade” bisogna che il dialogo debba essere praticato tra frammento (della realtà) e sistema mondo, altrimenti rimaniamo preda del nichilismo e nell’impotenza. Se l’Europa per prima non si dà da fare nella sua costituzione e poi nell’azione non c’è che da rimanere impigliati nella rete dell’economico puro che rende ineffettuali Istituzioni e ordinamenti.

Per affrontare i cortocircuiti della modernità bisogna uscire dall’atto di signoria del soggetto individuale, bisogna ammettere che il dominio della tecnica, se non si da limite, da mezzo diventa fine, ciò genera il vuoto e l’annientamento dell’individuo. Bisogna piuttosto impegnarsi, lavorare per individuare il sistema politico che può essere efficace nel contesto della globalizzazione ormai data. Bisogna tornare a darsi, attraverso la politica, grammatiche generative di senso nella non facile spazialità dell’esperienza/esistenza, bisogna partire dalla certezza dell’incertezza e darsi degli ancoraggi per organizzare il vuoto attuale.

 Carmela Giannì