La formazione di un cittadino informato potrebbe risolvere i problemi della società, ma purtroppo un cittadino sapiente è scomodo per i furbi che parassitizzano tutta l’Italia, in tutti gli ambienti in cui il danaro è l’elemento vitale.
Il bambino, in età scolare, dovrebbe cominciare a conoscere la vita dei grandi, nelle espressioni di civiltà esemplare e indiscutibile. Dovrebbe conoscere i suoi doveri, prima dei suoi diritti, dovrebbe condividere i principi di convivenza generica e di convivenza di gruppo, dovrebbe rassegnarsi a essere attore in tutte le sue necessità, senza sperare che gli altri offrano il loro contributo per un dovere preteso, più che desiderato.
La formazione del cittadino più colto e più pratico potrebbe contribuire alla formazione di una nuova società capace di essere degna del proprio tempo. La mancanza di una formazione solida potrebbe perpetuare la condizione degradata della società, di questo periodo storico, chiamata da molti moderna, ma che fa rivivere il periodo delle scorribande dei pirati.
La scuola dovrebbe aggiornarsi continuamente e non presentare la cultura del trentennio precedente.
I mali della collettività moderna, costretta a vivere in città vecchie, non adatte all’evoluzione continua, sono molteplici e spesso irrisolvibili, anche per il dilagare, non soltanto delle speculazioni dei furbi, ma anche di quelle della politica di casta.
Gli italiani sono molti e molto male educati.
Fra i mali di questa società oggi emerge quella della raccolta e riciclaggio dei residui solidi urbani e quella della depurazione delle acque di fogna.
Tutti i cittadini sono vittime e schiavi di una mancata professionalità in tutti i settori operativi, intendendo per professionalità sia il patrimonio culturale, sia la saggezza, sia la capacità di scelta fra almeno due soluzioni dei problemi. Ma spesso l’incompetenza e la sottovalutazione delle cose, crea altri problemi, in cumulo tale che non è facile dipanare la matassa. Se si fosse capaci di escogitare soluzioni alternative più articolate, allora potremmo essere certi che la professionalità di settore sarebbe stata raggiunta. Ma per questo sarebbe necessaria la ricerca, la genialità, i lavori di gruppo, una riscoperta della proprietà intellettuale e delle professionalità specifiche.
Peccato che la proprietà intellettuale sia sottovalutata, sconosciuta, rubata o messa a tacere per invidia, o perché scomoda alla mediocrità delle masse, ed anche perché spesso non si vende agli affarismi incivili.
Nel 1983 la Regione Campania ha pubblicato gli atti del Simposio Internazionale tenuto a Napoli, 11-14 ottobre 1983, relativo al “Recupero biologico ed utilizzazione agricola dei rifiuti urbani”. La partecipazione di molti studiosi provenienti da tutto il mondo ha consentito la presentazione delle soluzioni del problema e le tecnologie relative, di cui si elencano le possibili destinazioni finali dei materiali, con le relative tecniche di trattamento ed utilizzazione:
“- recupero e riuso diretto di oggetti, così come sono, quali in particolare le bottiglie di vetro;
– recupero diretto, mediante raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani, di materiali facilmente riciclabili nei rispettivi cicli produttivi: carta e vetro, ad esempio;
– selezione e recupero, in impianti di riciclaggio dei rifiuti solidi urbani, di alcuni materiali quali vetro, pasta per carta, plastica, ferro, metalli non ferrosi, con accurata separazione della frazione organica (che può essere sottoposta a trattamento di compostaggio o a digestione anaerobica) e l’ottenimento di un residuo combustibile da cui è possibile recuperare energia;
– compostaggio della frazione organica, separata dai rifiuti solidi e ben depurata, in modo da poter ottenere un compost utilizzabile per concimare i terreni e migliorarne la struttura;
– digestione anaerobica di rifiuti solidi organici di origine urbana agricola, mescolati con fanghi di depurazione, liquami urbani o zootecnici e/o deiezioni animali, con produzione di biogas, di fertilizzanti e/o mangimi; di fondamentale importanza è la accurata depurazione della carica al digestore;
– utilizzo di sottoprodotti o residui agricoli nella zootecnica, come lettiera o (con eventuale pretrattamento chimico di fermentazione aerobica) come mangime;
– utilizzo di sottoprodotti o residui agricoli come materia prima nell’industria, ad esempio paglia di frumento nell’industria cartaria;
– utilizzo dei residui zootecnici nell’agricoltura per spandimento in campo, a scopo fertilizzante;
– interramento di sottoprodotti e residui agricoli;
– bruciamento in campo dei residui agricoli;
– recupero energetico di rifiuti di origine urbana, agricola o industriale, mediante combustione in impianti di incenerimento con produzione di calore e/o elettricità e di eventuali ceneri fertilizzanti;
– recupero energetico di rifiuti urbani o agricoli mediante co-combustione – nelle caldaie di una centrale termoelettrica o in un forno industriale – di una miscela costituita da un combustibile principale (ad esempio carbone) e un combustibile ricavato dai rifiuti attraverso trattamenti meccanici e disidratanti;
– recupero energetico, mediante digestione aerobica, di rifiuti vegetali e di letame e/o liquame con produzione di calore e di fertilizzanti;
– produzione di combustibili liquidi e gassosi mediante un processo di pirolisi, a cui vengono sottoposti materiali organici;
– carbonizzazione con produzione di carbone vegetale e catrame, processo intermedio per l’ottenimento di gas di gasogeno;
– gasificazione con produzione di gas povero e ceneri fertilizzanti;
– produzione di metanolo, ottenuto mediante un processo di sintesi dal gas di gasificazione;
– produzione per via fermentativa di etanolo per autotrazione e di composti chimici intermedi.”
Queste sopraelencate le proposte dei docenti universitari e dei ricercatori che hanno partecipato al Simposio Internazionale di Napoli del 1983. Sono proposte generiche che, per essere attuate, sarebbero utili quei personaggi che oggi si chiamano ottimizzatori, per creare una filiera produttiva compatibile con gli interessi di tutti e non dei soliti furbacchioni.
Sono passati ben trent’anni e si è rimasti fermi a una sola di queste soluzioni: il compostaggio, senza che ci sia stata un’innovazione scientifica o una soluzione alternativa più conveniente dal punto di vista economico o di bonifica ambientale.
Quando nel 1985 mi è stato regalato il volume degli atti del Simposio, ho fatto notare a uno dei relatori, docente dell’Università di Portici, che si era trascurata la fisiologia radicale o per lo meno i “desiderata delle piante”, nelle caratteristiche e nelle destinazioni dei prodotti ottenuti, come per esempio i compost e le ceneri.
Ho fatto notare che il compost proveniente dalla struttura di compostaggio, sperimentale, impiantata in territorio di Scicli, non era gradito alle radici delle piante coltivate, era una sostanza esausta, criticando anche la scelta del termine inglese per un prodotto diverso dal concetto originario inglese. Infatti, secondo il vocabolario inglese – italiano di Malcolm Skey per “compost” si intende: la “miscela fertilizzante, composta di materie vegetali in decomposizione”, mentre il compost realizzato era una sostanza decomposta, esausta, stabilizzata, mineralizzata e priva di carbonio digeribile.
Ho fatto notare che per concime organico, rispettando e ricordando la sapienza dei nostri vecchi agricoltori, si deve intendere una mistura di lettiera, deiezioni ricche di fermenti intestinali con paglie indecomposte o materiali organici ricchi di carbonio digeribile, da servire ad una alimentazione alternativa ai conviventi radicali, costretti ad un parassitismo radicale per necessità alimentari. Ho citato i nostri vecchi agricoltori, perché solevano incorporare, nel mese di agosto, le paglie delle fave nella fase di rivoltamento del letame, avendo scoperto la migliore efficacia del letame. Inoltre ho comunicato che a Modica, dal 1984, erano già in commercio dei prodotti fertilizzanti ottenuti col riciclaggio di sangue, prelevato nei macelli dei polli e in quelli comunali, di residui di fungaia sia di funghi pleurotus che di funghi prataioli, di fanghi di depurazione secchi, di pollino fresco e di penne di polli. Il prelevamento di queste materie prime secondarie, ad eccezione dei residui di fungaia di prataioli, avveniva a costo zero, mentre oggi si paga per smaltire questi prodotti. La filiera di produzione presentava dei fertilizzanti liquidi ultrafiltrati per fertirrigazione e dei prodotti in polvere per le concimazioni di fondo. Tutti i prodotti avevano un formulato con le percentuali di sostanze minerali e organiche ed erano rispondenti alle colture intensive. Non ho ancora trovato una confezione di compost prodotto dagli impianti di compostaggio con una scheda tecnica e con tutti i requisiti chiesti dal consumatore per conto delle sue piante.
La mia attività avrebbe potuto continuare su questa linea, con continue innovazioni e con espansione territoriale, ma ciò non è avvenuto. Gli altri sono rimasti alla sola linea dei compost, come indicato nel 1983, per favorire le imprese costruttrici di impianti di alta tecnologia, per produrre, poi, dei materiali non vendibili nei settori di agricoltura moderna, dove il dinamismo e le innovazioni debbono essere presenti. Non bisogna dimenticare che un impianto di compostaggio produce anidride carbonica quanto un’industria termica e deve fare i conti con l’effetto serra.
Oggi la composizione dei resti organici delle famiglie è molto cambiata, perché la presentazione commerciale è diversa: le insalate sono presentate già pronte all’uso e così molte verdure. I resti della tavola, sono un’offesa alla povertà, si mangia più come animali in batteria che come esemplari umani degli anni 2000. A ciò si aggiunge la poca sensibilità nell’esecuzione della raccolta differenziata, anche perché si è assistito alla buona soluzione di differenziare in pubblico e fare la grande ammucchiata nel privato. Inoltre nessuno degli amministratori ha presentato un bilancio chiaro dei vantaggi economici per il cittadino che deve sacrificarsi, con grande sofferenza, a selezionare i vari rifiuti.
Mi auguro che la differenziata si perfezioni rispettando le necessità di filiera produttiva, per la creazione di recuperi organici da assegnare e restituire al territorio, per nutrire tutte le biomasse terricole. Quando si parla di risanamento territoriale, bisogna conoscere le catene biologiche e le loro esigenze trofiche di carbonio digeribile entrando in concorrenza con le biomasse privilegiate che vivono negli impianti di compostaggio. I residui organici delle città, dai resti della tavola ai prodotti di scerbatura e potatura e tutti gli scarti produttivi dell’agricoltura debbono essere restituiti, sotto forma di una miscela nutritiva programmata, al territorio per rilanciare la forestazione e riportare gli incolti a rivestirsi della nostra macchia mediterranea. Non è escluso che i prodotti vendibili possano ridurre i costi.
Se le finalità fossero inserite nella programmazione e nei costi del riciclaggio, in forma trasparente, assieme a tutti i costi dell’impresa incaricata, con rendicontazione pubblica, potremmo essere certi dell’entusiasmo collettivo e della collaborazione del comune cittadino.
Resta alle amministrazioni fare delle scelte più sagge.
Abel