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CHIARA CIVELLO, UN ALBUM D’EMOZIONI

Lavora negli Stati Uniti, in Brasile, è conosciuta e apprezzata in tutto il mondo, ma è pur sempre di origine modicana la cantante Chiara Civello, il cui ultimo album, Canzoni, dopo aver debuttato al primo posto della classifica jazz di iTunes, per poi piazzarsi alla seconda posizione il giorno successivo, entrando così nella top ten della classica Top album, l’11 maggio è entrato nella top 20 degli album più venduti della settimana, posizionandosi al sedicesimo posto della classifica Top of the Music Fimi/GFK.

Dopo aver cantano per anni canzoni scritte da lei, oggi ha voluto misurarsi con delle cover italiane, in un omaggio alla musica del suo paese. Se già splendida è stata la scelta (da “Io che amo solo te” di Sergio Endrigo, a “Via con me” di Paolo Conte, a “Senza fine” di Gino Paoli), quello che colpisce particolarmente è la capacità di interpretare i vari pezzi impossessandosene e indossandoli, riuscendo contemporaneamente a farli propri senza mai stravolgerli, senza mai sacrificare la suggestione originale che li rese indimenticabili, ma anzi arricchendola. Sì, c’è autentico amore in queste esecuzioni! Se Chiara ha detto che considera “Io che amo solo te” una delle più belle canzoni italiane che siano mai state scritte, questo spiega un’interpretazione che la sublima.

Accade spesso che un giovane, riproponendo una canzone del passato, una canzone che ha fatto storia, si senta quasi in dovere di modernizzarla, nella convinzione di arricchirla e invece impoverendola; Chiara invece la propone così come la sente, così come le è entrata nell’anima, in tutta la sua immortalità musicale. Questa sublimazione le riesce con facilità perché non c’è in lei quella tipica arroganza del giovane che tende a guardare magari con tenerezza, ma anche con sufficienza, tutto quello che non fa parte del suo mondo. Perché c’è l’emozione vera e l’autentico rispetto di chi la musica l’ha dentro. Ne è la prova l’aver detto “Mina non si tocca” quando le hanno proposto di incidere “Grande grande grande”, per questo ha scelto la versione inglese, “Never never never”.

L’impronta jazz è presente, magnificamente presente, in tutto l’album, eppure non appare mai una forzatura quanto piuttosto un arricchimento naturale della musica, dimostrando quanto le categorizzazioni, anche in questo campo, siano artificiose e senza senso.

A nostro parere, si tratta di una tappa molto alta nella carriera di Chiara Civello, per questo riteniamo di dover suggerire questo nuovo album a tutti coloro che la musica l’amano davvero, giovani e meno giovani, a tutti coloro insomma che nella musica cercano solo la musica.

L. Montù




LA MODICA DI ENZO BELLUARDO




NOI E GLI ALTRI

Noi e gli altri: razzismo, ipocrisia, falsità, disprezzo, rabbia, egoismo, in poche parole… guerra.

Tutti o quasi, diciamo di non essere razzisti ma sarà vero?

Spesso affermiamo di non esserlo ma, inconsapevolmente, nel nostro modo di dire o di fare, evidenziamo invece atteggiamenti di razzismo e d’intolleranza verso i nostri simili,  spesso anche molto forti.

Sicuramente quello che ci manca, è il vero senso della solidarietà e dell’intercultura, cioè la mancanza di comprensione verso gli altri chiunque essi siano, per i loro diritti che sono anche i nostri, dimenticando che, quando identifichiamo gli altri in qualsivoglia senso, parliamo anche di noi, in quanto altri agli occhi degli altri.

L’ipocrisia s’insinua nei nostri comportamenti e domina le nostre parole.

E’ una simulazione di buone qualità, sentimenti e intenzioni, per apparire diversi da ciò che si è in realtà, ingannando gli altri e noi stessi per primi. In sostanza, per compiacere gli altri, spesso, diciamo cose che non pensiamo e critichiamo l’operato di chi ci sta attorno, fingendo consenso anche nel dissenso, diventando, così facendo, noi stessi, oggetto di critiche; è così che cominciano spesso le incomprensioni in casa, i dissapori fra amici, i disagi fra concittadini, ma anche i conflitti fra interi popoli.

Di falsità, spesso, è intriso tutto ciò che ascoltiamo, notizie infondate, ma che ripetiamo a noi stessi e agli altri come un Ave Maria, finché le rendiamo credibili. Spesso facciamo nostre storie che ci vengono raccontate, pur non avendole minimamente vissute e non essendo a conoscenza dei fatti reali. Sono tante le notizie false, non vere, trasmesse dalle tv, lette nei giornali,  su internet (le classiche bufale), o con il passaparola, che si rivelano infondate e che noi accettiamo per vere e credibili. Disgrazie dove si parla di decine o anche centinaia di morti, mentre in realtà sono due o tre, o qualche decina (per fare audience o per vendere copie), mentre, al contrario, di disgrazie con centinaia di morti si da notizia di qualche decina (ipocrisia di Stato), ma dove poi viene sistematicamente celata la verità sul perché accadono, su chi sono i veri responsabili e sul perché non si fa nulla affinché non accadano più. E il popolo, allocco, a prendere tutto per oro colato.

Il disprezzo verso i nostri simili, secondo Garotti (professore presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna), e per chi di noi si sofferma e riflette un momento, è provocato soprattutto da comportamenti trasgressivi di norme morali, dal tradimento della fiducia, dalla trasgressione di convenzioni sociali, da comportamenti aggressivi e violenti, da atteggiamenti immotivati di superiorità, da insincerità e falsità. Non è poco!

La rabbia ci rende rigidi e ottusi. Quando siamo arrabbiati, riusciamo a scaricare i nostri sensi di colpa nell’altro, giudicandolo e accusandolo, come se fossimo tutti quanti Dio (il quale invece non giudica ma perdona) e con non molta superficialità riusciamo a uccidere, picchiare, incolpare, ferire gli altri, tanto fisicamente quanto psicologicamente. Sono i falsi insegnamenti inculcati dalla società (leggi media), che ci portano a pensare in questo modo, una società che ha smarrito il senso dell’umanità e della fratellanza, che si serve del senso di colpa come mezzo per controllare le persone, inducendoci a credere di poter soggiogare, sottomettere l’altro. Forse dovremmo cambiare un po’ tutti il nostro modo di pensare, da giudicante ad empatico; recupereremmo sicuramente l’energia e l’intelligenza necessarie per i nostri bisogni quotidiani.

L’egoismo è l’opposto dell’altruismo; io, però, ho sempre pensato che fosse l’opposto dell’amore. Oscar Wilde scriveva “l’egoismo non consiste nel vivere come ci pare ma nell’esigere che gli altri vivano come pare a noi”. Penso basti per capirne il concetto.

A questo punto potrei elencare ancora molte parole (frasi) che esprimono la nostra educazione e il nostro malcontento (comportamento), arrivo al dunque dell’argomento su cui in questi giorni si è tanto speculato. Noi, mamme modicane, non siamo razziste e ignoranti come qualcuno ha voluto far  credere. Siamo mamme come tutte le mamme del mondo che amano e danno la vita per i loro figli e li proteggono a costo di diventare impassibili davanti alla sofferenza degli altri. Tuttavia, proprio per quest’ultima affermazione, ci ritroviamo a sembrare tali, proprio per gli altri di cui sopra, che hanno manovrato la nostra mente e il nostro modo di essere e di pensare. Col nostro comportamento, abbiamo inconsapevolmente tolto il lavoro a un nostro concittadino, Luigi  Abbate, autista e proprietario di un pullman, con il quale, per far vivere dignitosamente i suoi figli (mi pare siano quattro), trasporta di giorno, e spesso anche di notte, i ragazzi delle scuole, intere comitive di gruppi parrocchiali e adesso anche gli immigrati nelle loro destinazioni, né più né meno, come fanno tutti i suoi colleghi dipendenti di tante altre ditte della provincia intera, che utilizzano i loro mezzi, per questo esodo di migliaia di sventurati alla ricerca soltanto di una vita meno infelice di quella che hanno vissuto nella loro terra d’origine.

E allora, se noi siamo gli altri e gli altri sono noi, perché siamo in guerra, perché addossiamo la colpa di questa disgraziata realtà che adesso stiamo vivendo a queste persone, colpevoli soltanto di essere state per centinaia d’anni deportate come schiavi, saccheggiate e derubate di oro, diamanti, petrolio e quant’altro, derise per il colore della pelle, e costrette a guerre fratricide, con l’avallo e il beneplacito di noi occidentali?

 E’ lo Stato, è l’Europa che è latente in questa circostanza, ed è a loro che dobbiamo far sentire forte la nostra insoddisfazione per come viene gestita l’emergenza profughi.

La solidarietà e la fratellanza, sono e devono continuare ad essere alla base di una civile convivenza tra i popoli tutti.

Sofia Ruta

 

 




LA NOTTE EUROPEA DEI MUSEI, UNA BELLA PENSATA

Traducendo guidati dalla sintassi, ma anche dalla semantica del dialetto siciliano, sempre allusivo e rimandante ad un’ulteriorità del detto, ci sentiamo di affermare che l’iniziativa della notte dei musei, lanciata dall’Italia ma allargata a ben 30 paesi dell’Unione Europea, è stata davvero una “bella pensata”.

Bella perché agganciata alla bellezza, caratteristica che nella nostra nazione sovrabbonda, perciò data per scontata, fuori dall’essere pensata come essenza ed opportunità su cui soffermarsi, la notte dei musei è stata sopratutto bella nel senso di buona, nell’accezione di efficace. Una felice pensata, una brillante idea che ha saputo spingere migliaia di cittadini (giovani, giovanissimi ed anche adulti) a centrarsi, almeno per qualche ora, su ciò che abbiamo piuttosto che su ciò che ci manca.

L’organizzazione di un evento che per una notte ha messo a fuoco il patrimonio storico, culturale ed archeologico, una notte che ha catturato l’attenzione di migliaia di cittadini europei sul notevole patrimonio che, come l’aria, ci avvolge, è da sottolineare in tutta la sua portata positiva. Per una notte si è potuto incontrare la meraviglia, lo stupore e di conseguenza vivere la leggerezza, pensare positivo.  Non è cosa da poco in questi tempi tremendi in cui regna la paura del domani, perciò distrarsi con gli occhi puntati sul valore della cultura è cosa opportuna, anzi è un’azione lenitiva, un’azione a contrasto dell’alienazione, un’azione con funzione addirittura di antidoto.

Chi ha potuto partecipare ai tanti eventi organizzati in tante città  ha goduto non solo la visita dei luoghi museali con il biglietto a prezzo simbolico di un euro, ma vi ha sommato spettacoli teatrali, musicali, performance multimediali che si sono succeduti nella 4 ore di durata dell’evento, ha insomma potuto vivere una notte in cui l’immaginario di paradiso, che ciascuno ha dentro, stava a porte spalancate, una notte di incanto.

Moltissimi i centri italiani che hanno onorato l’iniziativa, grandi e piccoli, nel nostro immediato circondario hanno risposto Modica e Scicli. Modica ha aperto alla pubblica fruizione il Parco archeologico di Cava Ispica, un museo a cielo aperto.

L’iniziativa è stata condotta in sinergia tra diversi attori: il Comune che vi ha contribuito con l’operazione di pulizia del sito, dei sentieri e con l’allestimento dell’illuminazione delle grotte, elemento essenziale alla realizzazione dell’effetto suggestivo della nottata,  la Soprintendenza ai Beni Culturali ha messo a disposizione il sito e ha contribuito all’illustrazione del valore archeologico dello stesso. Ciascuno per la propria parte, Istituzioni e Scuole, hanno profuso il massimo d’impegno per la riuscita. L’esito è stato fantastico.

Fantastico perché nel nostro lembo di terra ad amplificare il fantastico vi concorre il cielo con la sua tonalità di blu intenso e profondo, con questa volta stupefacente l’illuminazione delle grotte del sito ha avuto un effetto davvero spettacolare. L’immensa volta sul “fantastico museo” ha amplificato ogni effetto costruito, ma ha soprattutto esibito una potenza incantatrice capace di fare intravvedere l’immensità del profondo alludendo alla vastità dell’universo.

Oltre alle due istituzioni (Comune e Soprintendenza) ad impreziosire il museo a cielo aperto del sito di Cava Ispica hanno concorso i ragazzi delle varie scuole con iniziative culturali ben preparate che hanno regalato al numeroso pubblico intervenuto.

il Liceo Artistico ha contribuito con la proiezione di un documentario sulle bellezze architettoniche della città e una video-mostra dei progetti su Cava Ispica realizzati dalla School of Architecture and Planning dell’Università di Auckland (Nuova Zelanda) a cura del prof. Marco Cannata, modicano, da anni docente di quella Università; il Liceo Classico con uno spettacolo teatrale “La guerra è finita”, testo elaborato dagli alunni con la regia di Alessandro Romano; il Liceo Scientifico con “Teatro di Strada”;  quelli del Liceo Musicale G. Verga con un concerto con musiche di autori contemporanei; l’Istituto Alberghiero con una degustazione a base di prodotti tipici locali; gli alunni dell’Istituto Archimede collaborando alla gestione dell’accoglienza del numerosissimo pubblico intervenuto. Bravi tutti!

Bella Pensata anche quella di rendere i giovani protagonisti dell’evento, non solo perché gli è stata offerta la possibilità di fare esperienza e di mostrare ciò che sanno fare, ma anche per renderli responsabili verso il patrimonio che ereditano, sperando che loro riescano ad essere più capaci di valorizzarlo e farlo fruttare di quanto non sia stata la generazione che li ha preceduti. L’intendimento della Panvini della Sovraintendenza è proprio questo: la fruizione partecipata,  per questo l’istituzione  sta pensando a una giornata dedicata interamente alla pulizia del sito con la partecipazione delle scuole e con quanti intendano partecipare. S’inizia con i giovani che porteranno altri giovani ma l’obiettivo è quello di una fruizione partecipata, la più ampia possibile.

Sarà che a furia di camminare nel deserto di prospettive i nostri canali di speranza si sono disidratati, indeboliti e in grande sofferenza, ma il fatto che Comune e Sovraintendenza abbiano ben collaborato non solo sulla realizzazione dell’evento, ma attorno ad un progetto che si proietta al di la di esso ci fa ben sperare,  auspichiamo solamente che non si tratti di miraggio.

Carmela Giannì

 

 

 




L’AGRICOLTURA DELL’ODIO

L’albero della foto mi dà l’occasione di parlare dell’agricoltura dell’odio generalizzata in molti comportamenti del cittadino.

È una pianta appartenente alla nostra Macchia mediterranea, a cui i nostri antenati diedero l’ appellativo di milicuccu di etimologia greca melikokos, significante “pallina dolce” se meli deriva da melas: dolce o pallina nera, se deriva da melan: nero. Per meritare un appellativo di origini antichissime, certamente avrà avuto dei meriti e non solo alimentari. Infatti l’artigianato locale, fino a poco tempo fa, usava il suo legno pregiato nella costruzione di alcune parti dei carri agricoli, come le ruote e le pareti e il fondo del carro. I ragazzacci del mio tempo usavano lanciare i semi spolpati con una cerbottana sui sederi delle ragazze, in segno di segnale convenzionale, anche se poco civile.

Oggi, molte piante come questa sono vittime di un comportamento, certamente dettato da ignoranza nel senso offensivo del termine, perché nasconde quello che io sempre chiamo cattiveria atavica, non cancellata dall’educazione scolastica.

Si ritorna a fare legna da ardere riducendo alcune piante a sagome certamente non belle, in periodi stagionali non adatti e incapaci di riformare un equilibrio di forme armoniche o almeno naturali. Dietro ogni azione non esiste un riscontro razionale o di evoluzione culturale e civile.

Ora, se ci trasferiamo nel tempo o andiamo a rivivere i ricordi di bambini, per quelli che appartengono all’altro secolo, è facile avere idee nuove, suffragate dall’esperienza antica, da mettere a confronto.

La famiglia, contadina o semi contadina, intesa come modulo di società più semplice e meno esigente, aveva scoperto il modo di  utilizzare tutto e di riciclare i rifiuti in un modo esemplare  degno di un esame attento.

La “città giardino” consentiva a molti cittadini di possedere un orticello, annesso alla casa, che rappresentava il frammento della terra a cui erano grati e riconoscenti per aver loro dato la possibilità di vita, e che ora consentiva di coltivare le verdurine utili assieme alle piante dei ricordi. Si distinguevano da questa categoria quelli che erano fuggiti dalla campagna e che, non solo rinnegavano anche i genitori che continuavano le loro attività agricole, ma desideravano  distruggere i ricordi della loro provenienza agricola, considerando il verde urbano scomodo, se presentava piante da frutto o quanto potesse richiamare un ricordo della campagna. Il verde pubblico doveva essere solo ornamentale. Nacque così la nuova classe sociale degli imborghesiti, “gli uomini di città”, e con questi la mentalità di un tipo di asocialità esasperata fino all’odio per tutto ciò che occupava uno spazio non dovuto.

Il piacere di far del male, di poter decidere, anche nel piccolo, della vita degli altri, si è consolidato sempre più, nell’uomo. La distruzione fisica dell’avversario, e di quanti possono creare molestia, si è estesa a tutto l’ambiente che ci circonda.

Se si osserva il comportamento della donna di casa, si possono intravedere comportamenti ostili per tutti i malcapitati esseri che invadono incautamente il territorio familiare. Sarà uno scarafaggio, una farfalla, un calabrone e perfino una mosca, che ora è diventata rara. Si corre subito al rimedio drastico: l’insetticida. Tutto diventa intollerabile. Tutto disturba un equilibrio di esasperato fatto di minuzie, di stupide costruzioni mentali poggianti fondamentalmente su una forma esasperata di egoismo.

Quando si cammina in città, rimasta asettica, ormai, per quell’eccesso d’igiene. Si cammina a testa alta, e non si guarda a terra, perché si è certi di non inciampare in qualcosa di pericoloso, mentre quando si cammina in campagna, ci si preoccupa di non avere fra i piedi dei corpi estranei, ma non ci si accorge di calpestare delle vite di piante e di animali, inermi e innocenti. Anzi talvolta si va proprio a cercare quell’animale, e si schiaccia, per il semplice piacere di farlo, giustificando il gesto con lo schifo, con la paura, il presunto pericolo, o con il piacere di farlo, per cattiveria inconscia.

Quando si vive in campagna, insieme agli animali, il comportamento assume toni di gravità maggiori, per le maggiori occasioni di incontri spiacevoli. Ma, anche se esistono casi rari di convivenza, spesso il rapporto di ostilità si manifesta col mondo invisibile. In precedenza si è parlato del comportamento della donna, ma è bene coinvolgere anche l’uomo che, per scarsa cultura o per creduloneria, assume comportamenti di ostilità ingiustificata nei confronti di forme di vita ritenuta estranea all’ambiente in cui vive. Purtroppo, non potendo intervenire direttamente sul singolo, esprime la sua semplicioneria estendendo le forme di distruzione a tutto il territorio, coinvolgendo nella distruzione anche quegli animali che sono innocenti.

Per quarant’anni sono vissuto insieme a molte piante, considerandole esseri viventi da rispettare e non come polli in batteria, così ho avuto l’occasione di conoscere i loro desideri. Non è giusto imporre delle soluzione calpestando le leggi naturali.

Bisogna tener conto che tutti gli esseri viventi, in equilibrio naturale, convivono e solo i deboli soccombono; cerchiamo di diventare forti, anche se dobbiamo rinunciare a certe comodità.

Abel




HA DA PASSA’ A NUTTATA

Poche ore ci separano ormai da queste elezioni che, a quanto pare, per noi italiani hanno ben poco di europeo, travolte come sono da una campagna elettorale del tutto italiota, incentrata dal braccio di ferro tra il Grillo Straparlante, Cola di Renzi e il Cavaliere Inesistente. Il popolo assiste inerte, con l’eccezione di qualche sparuto manipolo d’indignati e/o d’incazzati, alla kermesse televisiva fondata sulla menzogna spudorata, sulle chiacchiere da bar, violenta, becera ed invadente oltre ogni limite di decenza, di una volgarità dai toni pecorecci come ancora non si era visto. Gli stessi personaggi volteggiano tra le reti generaliste sfoggiando, oltre il turpiloquio, doti di ubiquità degne di guru himalayani: c’è da chiedersi come sia possibile sottoporsi a un tour-de-force pazzesco senza l’ausilio di qualche sostanza poco lecita, trovando anche il modo di  imperversare sui social network a tempo pieno…

Cercando di resistere al senso di nausea e di sconforto, per recuperare almeno in parte le forze necessarie per andare a votare (perché si deve andare a votare!), proviamo a fare due passi per la nostra città che, nonostante tutto, qualcosa di positivo ce lo mostra. Anche se procurano qualche fastidio alla circolazione, abbiamo visto aprire piccoli cantieri per le riparazioni all’acquedotto-colabrodo, condotte con lavori più radicali, diversi dalle solite pecette di rattoppo programmate per durare pochi giorni. La fontana di Piazza Rizzone, della quale sinceramente avremmo preferito celebrare la scomparsa, è stata almeno guarnita da alcuni zampilli funzionanti: l’acqua scorre frusciando per la gioia dei colombi che sguazzano festosi e la sera sfoggia un’illuminazione policroma, non di gran gusto ma certo d’effetto. Chissà se anche la Ninfa si sente adesso meno negletta, inserita com’è in un contesto non più di desolato abbandono.

In Piazza San Giovanni, i lavori di restauro delle coperture di Palazzo de Naro Papa languiscono, forse vittime anch’essi della Nemesi burocratica che impastoia inesorabilmente tutti i lavori pubblici, ma un’iniziativa atta a favorire il turismo è stata presa dal Centro Studi della Contea che, a sua cura e spese, ha preparato una grande pianta della città con evidenziati i principali monumenti, le vie e i quartieri. I colori sono un po’ smorti e l’apparato iconografico è decisamente modesto: forse un grandangolo usato in modo professionale avrebbe fatto figurare meglio le inquadrature delle foto che spesso penalizzano i soggetti piuttosto che esaltarli. Peccato che, per mancanza di alternative, la parete che ospita questo omaggio ai visitatori sia contigua ai cessi pubblici e seminascosta dai cassonetti  della spazzatura, ma l’iniziativa è comunque degna di lode e incontestabile segno di volontà di rinascita. Come già detto tempo fa, Modica Alta si sta svegliando e si serve della cultura come grimaldello per forzare la cappa di stagnazione che la sta soffocando. Forza e coraggio! La via intrapresa è ardua ma la meta si avvicina.

Non è sempre vero che chi di speranza vive, disperato muore!

L.dNP

 




IL CAMPANILISMO NON C’ENTRA

L’abolizione delle province pare abbia scatenato tutto quel campanilismo che sembrava sopito e che invece oggi si sostiene pervada e generi le nascenti contese per stabilire il modo in cui costituire i Liberi Consorzi di Comuni previsti per sostituire le province.

Sicuramente fra le tante proposte qualche rigurgito di campanilismo ci sarà pure (siamo in Italia, no?), ma pensare che questo sia la sola motivazione indicatrice dei vari raggruppamenti da costituire sarebbe un gravissimo errore. Al momento, nella nostra città, sembra si siano formati due schieramenti: uno che vorrebbe che il libero consorzio ricalcasse in linea di massima l’insieme di comuni che già costituivano la vecchia provincia, l’altro che vorrebbe procedere a una diversa distribuzione sul territorio dei centri da collegare, seguendo linee guida che possono essere di caratteristiche geologiche o strutturali, mettendo in primo piano la vocazione degli stessi a seconda che sia turistica, agricola, industriale o altra.

Se i consorzi si limitassero a confermare la composizione delle vecchie province, siamo fortemente portati a pensare che l’innovazione voluta dalla norma (sempre che davvero innovazione voglia essere) sarebbe mortificata dall’inevitabile identificazione con la precedente struttura, rinunciando così in maniera quasi automatica alle possibilità di crescita che altrimenti si presenterebbero a tanti comuni che fino ad oggi sono rimasti nell’ombra.

Che la proposta del sindaco Abbate sia stata motivata da una rivalsa nei confronti di Ragusa o che muova da considerazioni diverse non ha importanza, resta il fatto che propone un rinnovamento che non potrebbe che essere benefico per tanti comuni della zona iblea, a cominciare, ovviamente, da Modica.

Riteniamo che, per ottenere un cambiamento, non basti trasformare qualcosa qua e là, ma si debba riproporre in toto qualcosa di realmente diverso, qualcosa che possa essere percepito da tutti come tale e come tale, pertanto, vissuto, altrimenti si rischia di trascinarsi dietro qualcosa di vecchio e superato aggiungendovi, al più, qualche inevitabile nuovo errore. Insomma, non c’interessa che un ente cambi nome, è l’essenza stessa dell’ente che deve cambiare e ci si deve necessariamente chiedere come può sperare o illudersi di cambiare se va a ricalcare il più possibile l’antico.

Purtroppo la storica rivalità tra Modica e Ragusa non ci aiuta in questo. L’affermazione appare un controsenso, non è vero? Eppure è così, perché rischiamo che il sacro terrore di apparire campanilisti (ma è davvero un peccato così grande esserlo un po’?) e l’ansia di mostrarci superiori a certe piccinerie ci spinga a riconoscere a Ragusa quel ruolo di guida che a suo tempo si prese senza alcun consenso, allora, da parte nostra. Certo, i cittadini della Contea, quella Contea rimasta solo nelle favole e nelle poesie dei nostalgici, non si possono abbassare fino a mettersi in competizione con un’altra città, lasceranno dunque che sia quella a continuare a porsi come guida e arbitro del loro destino. E’ saggezza, questa?

Se provassimo invece per una volta a non pensare solo al nostro orticello e a guardare a tutto il territorio che ci circonda? Raggruppare comuni con la stessa vocazione e le stesse esigenze, oltre a costituire il necessario rinnovamento, sarebbe un beneficio per tutti, perché nel corso degli anni abbiamo visto come la vecchia provincia di Ragusa sia venuta a comprendere comuni molto diversi tra di loro per il tipo di sviluppo scelto e portato avanti da ognuno. Crediamo insomma che, come accade quasi sempre nella vita, i vecchi compagni di strada vadano scegliendo percorsi diversi sul loro cammino e si trovino a percorrerli insieme ad altri, diversi, nuovi, ma che perseguono gli stessi interessi e le stesse finalità. Non c’è niente di male, succede, succede sempre, è la vita stessa che lo impone. Perché dunque non accettare la vita e assecondarla? Per crescere. Perché senza il cambiamento, il rinnovamento, qualsiasi tentativo di crescita è impossibile.




Lettere al Direttore

Tutti i partiti sembrano d’accordo a dare la caccia agli evasori fiscali, però, a conti fatti, siamo di parere discordante, visto che i soggetti che sono stati scovati ultimamente, incominciando da chi gestiste le slot machine, dovevano pagare una bella fetta di miliardi di euro: alcuni personaggi dello spettacolo, dello sport, della moda, della politica, dei mafiosi e altri ancora; invece, lo Stato stesso, li ha premiati dando loro la possibilità di pagare la millesima parte del dovuto.

La stessa cosa si è verificata quando si è trattato di far rientrare in Italia i soldi che una schiera d’italiani benestanti (perché il ceto medio non ha nemmeno i soldi per arrivare a fine mese) avevano depositato nelle banche di alcuni paradisi fiscali: a questi signori, dopo che avevano frodato lo Stato e gli italiani onesti (che hanno sempre pagato le tasse), è stato richiesto di pagare soltanto il 5% di quello che effettivamente dovevano pagare, invece, se quei soldi fossero entrati per intero nelle casse dello Stato, avrebbero contribuito a dare una boccata di ossigeno ai conti rimasti in rosso da alcuni anni: e a noi hanno fatto stringere la cinghia al massimo.

Lo stesso dicasi del pagamento delle contravvenzioni effettuate, nei vari comuni, per infrazioni di vario genere se pagate prima della scadenza: il contribuente avrà lo sconto del 25%!! Così, con queste agevolazioni effettuate dallo Stato stesso e dai comuni, si invogliano ad incrementare nuovi evasori ed aumentare gli indisciplinati del traffico stradale, e in questo modo non si riuscirà mai ad uscire da questa viziosa spirale.

Spesse volte leggiamo delle notizie in qualche giornale di edizione nazionale “… confiscati i beni di alcuni centinaia di milioni di euro del boss Tizio o Caio” … Ebbene, l’agenzia dei beni sequestrati è in attesa di destinare più di 5000 casi tra beni e aziende, ma circa il  75% degli immobili sono ipotecati da banche o sono ancora occupate dai familiari dei “padrini”; insomma, il tesoretto sequestrato dallo Stato è bloccato, così rimane il vincolo… e quei beni non si possono né vendere né mettere all’asta.

Lo stesso dicasi della confisca di una serie di macchine di grossa cilindrata che, invece di essere vendute per ricavare dei soldi, lo Stato tiene in custodia in rimesse private, sborsando mensilmente dei soldi… intanto le macchine perdono di valore perché invecchiano, come hanno fatto vedere in certe trasmissioni televisive… macchine dimenticate per anni e anni in queste rimesse con un costo non indifferente. E questo è il risultato delle confische di tanti milioni di euro!!

Ritornando agli evasori, Stefano Livadiotti nel suo libro “Ladri gli evasori e i politici che li proteggono”, visto come hanno governato i governi dal 1994 al 2013, facendo delle leggi per favorire chi ha voluto evadere le tasse in cambio di voti… e  la percentuale maggiore dei governi presieduti in questi anni, la vince il signor Berlusconi battendo Prodi 12 a 6.

In questo modo, l’Italia non può uscire mai da questa crisi che assilla tutto il popolo della bassa borghesia. Quando in TV ci fanno vedere l’andamento del debito pubblico e gli interessi che si devono pagare e che aumentano a vista d’occhio, mi sembra di vedere il “conta cifre” della raccolta fondi che fa Telethon per sostenere le giuste cause di alcune ricerche, con la sola differenza che in quest’ultimo caso… la cifra che aumenta è positiva.

Distinti saluti

Giovanni Amore 

Caro Direttore,

vorrei attirare l’attenzione su Palazzo Minardo, in corso Regina Margherita. E’ uno dei più belli di questa strada ma da parecchio tempo è imbruttito da cartelli, pezzi di legno e stracci, messi per provocazione dal proprietario che ha visto frustrati i tentativi di interessare il Comune all’acquisto dell’immobile. Accompagnando degli amici forestieri in visita alle bellezze di Modica, mi sono vergognato per non essere riuscito a spiegare come e perché un comportamento così evidentemente lesivo per la città venga tollerato. Capisco che trattandosi di proprietà privata non sia possibile intervenire di forza a rimuovere tutta quella robaccia, ma fare qualche tentativo, da parte del Sindaco o della Soprintendenza, per convincere il professor Minardo a più miti consigli? Se non sbaglio, costui ha fatto affiggere in tutta la città dei cartigli redatti in una lingua italiana resa incomprensibile da arcaismi e involuzioni sintattiche, con il fine, a suo parere, di illustrare i luoghi vantandone storia e pregi: mi pare che, oltre a non essere riuscito nell’intento, e anzi suscitando sovente l’ilarità, l’utilizzo della pubblica via per queste sue affissioni private sia stato un vero e proprio arbitrio. Che ne pensa?

DSC_1795L. Di Gregorio




Panorama turistico da S. Giovanni. Ahimè!




PALLAVOLO. LA GIOVANNI XXIII ALLE FINALI NAZIONALI

La Scuola Media Giovanni XXIII va alle finali nazionali di pallavolo maschili che si svolgeranno dal 27 al 30 maggio prossimi a Chianciano.

Il 7 maggio  scorso a Brolo si sono disputate le finali regionali di pallavolo maschile  dei giochi sportivi studenteschi di 1° grado, tra le provincie di Ragusa, Agrigento e Messina. Nei primi incontri sia la Giovanni XXIII che il Brolo vincevano con il medesimo punteggio di 2 a 0 con la scuola media di Agrigento. In finale la Giovanni XXIII, diretta dal dirigente scolastico  Claudio Linguanti di Giarratana, dopo un incontro molto equilibrato, riusciva a vincere contro la scuola media di Brolo per 2 a 1, guadagnando così le finali nazionali. Immensa la soddisfazione di tutto l’istituto.

(nella foto: da sinistra, il dirigente scolastico prof. Claudio Linguanti, Antonio  Dormiente, Paolo Melilli, Lorenzo Ferra, Michele Ragusa, Gabriele Sortino, Samuele Agosta e il prof. Enzo Buscema; accovacciati, Antonio Musumeci, Gabriele Medica, Leonardo Amore, Emanuele Gugliotta, Samuele Turlà e Giuseppe Crispino).

Giovanni Bucchieri