RICORDIAMO FEDERICA POIDOMANI DOLCETTI

Il 15 giugno ricorreva il quindicesimo anniversario della morte di Federica Poidomani Dolcetti.
Veneziana, si era trasferita a Modica quando la sua vita si era legata a quella dello scrittore modicano Raffaele Poidomani e qui era rimasta anche dopo la sua morte, diventando un personaggio significativo nella nostra città.
No, non era una persona qualunque e l’essere una grande pianista non rappresentava che uno dei tanti aspetti della sua eccezionalità. Irruenta, generosa, leale, aveva abbandonato una carriera, che già la vedeva affermata come pianista sui primi palcoscenici d’Italia ancora giovanissima, per seguire Raffaele, il suo grande amore, in una cittadina che l’avrebbe esclusa dalla ribalta, ma che importava? Lei la vita non la pianificava, la viveva.
Tre figli, spesso gravi difficoltà economiche, l’incomprensione dei concittadini nei confronti di quei due geniacci che volavano troppo alto per potersi inserire in una comunità normale, sapeva godersi fino in fondo quella strana vita che si era scelta perché, come il suo Raffaele, aveva una ricchezza che pochi posseggono: l’ironia. E con l’ironia la vita la si può gustare appieno.
Dopo la morte del marito, per mantenere la famiglia si era messa a insegnare pianoforte, dedicandosi ai suoi allievi con la solita passione che metteva in ogni sua azione, in ogni sua scelta. Cercava di trasmettere loro tutta la sua arte, ma certo non tutti erano in grado di recepirla come lei avrebbe voluto e allora si disperava, si arrabbiava, perché non riusciva a capire come qualcuno che aveva in sé delle potenzialità pianistiche di qualità potesse trascurarle per vivere la vita spensierata di qualsiasi adolescente, perché la musica, per lei, era una padrona che richiedeva dedizione assoluta, non consentiva distrazioni. Eppure anche lei, un giorno, l’aveva tradita abbandonandola per amore di un uomo.
Un giorno, su un periodico locale, lesse un articolo che parlava di quei musicisti che si fossilizzano nell’insegnamento del loro strumento nell’intento di trasmettere ad altri le qualità proprie (qualità che difficilmente potranno essere trasmesse per intero) rinunciando a esprimerle davanti al pubblico delle sale da concerto e li esortava a volare più alto, a essere, in un certo senso, più egoisti. Era un articolo che si riferiva a un certo tipo di scelte, senza parlare di qualcuno in particolare, ma lei l’aveva sentito come rivolto a sé, l’aveva ritagliato, incorniciato e appeso davanti al suo pianoforte. E aveva deciso di tornare al concertismo. Non era certo più una ragazzina, erano passati tanti anni e i contatti di un tempo erano andati perduti, eppure in breve tempo era riuscita nuovamente a esibirsi su palcoscenici importanti, alla Fenice di Venezia, nella casa di Chopin in Polonia, in Francia.
Già, perché dedicarsi alla musica per lei non era abbastanza, era un amore troppo astratto perché la potesse completare: lei doveva dedicarsi a qualcuno, a una figura che incarnasse in un’immagine quella musica che lei amava. Una volta Raffaele le aveva chiesto perché non suonasse Chopin e lei aveva risposto che proprio non le piaceva, non l’avrebbe suonato mai! Vivendo però la malattia e poi la morte del marito, comprese che proprio a Chopin poteva rivolgersi un’anima dolente per sfogare la propria sofferenza e in qualche modo trarne conforto. Ne divenne così un’interprete appassionata, una studiosa, una messaggera. Consultando le sue carte, aveva ritrovato la prima versione del Notturno in Mi bemolle maggiore op.9 n.2, una versione che non era stata più eseguita perché troppo difficile, l’aveva pubblicata per l’Associazione Italo-Polacca “Karol Szymanowski” e l’aveva eseguita in concerto. Ormai per lei esisteva solo Chopin, che eseguiva con passione e irruenza, avendogli strappato l’etichetta di “musicista da salotto” per evidenziarne la forza e l’intensità che emergeva chiaramente nelle Polacche, quella forza che il fisico del compositore nascondeva ma che traboccava dalla sua anima.
Sono passati ormai quindici anni da quando Federica ci ha lasciato. Se adesso, dopo lungo oblio, la Città si è decisa a ricordare lo scrittore Raffaele Poidomani, modicano di nascita e di generazioni, ci chiediamo se un giorno vorrà avere memoria della pianista che gli è vissuta accanto e che modicana è diventata per scelta. Modica è spesso ingrata coi suoi figli, possiamo immaginare quanto sappia esserlo con quelli adottivi. Noi abbiamo ancora nelle orecchie e nell’anima la sua musica. Noi no, noi non potremmo mai dimenticarla!
L. Montù