LA MODICA DI ENZO BELLUARDO

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Sulla situazione del traffico veicolare nel centro urbano, da quando è stato chiuso alla percorrenza il ponte Guerrieri è stato detto di tutto e di più. C’è chi ha criticato l’Amministrazione perché ha autorizzato la chiusura totale del ponte sostenendo che avrebbe dovuto imporre la chiusura alternata delle corsie; c’è chi si è lamentato del piano di traffico concepito sul senso unico di marcia che in una realtà strutturale come Modica è il solo modo possibile per fare scorrere il flusso aumentato dalla contingenza; c’è chi ha taciuto ufficialmente ma borbottato tra sé per i chilometri in più a cui doveva sottoporsi; c’è chi ha lottato per ripristinare il doppio senso di circolazione ed infine lo ha ottenuto.
C’è poi chi si lamenta in continuazione, ma si considera assolutamente estraneo al coinvolgimento personale, come se la mole di traffico non fosse la somma di singole unità, come se le lunghe file che si determinano non fossero l’esito di tanti fattori da cui non vanno esclusi i comportamenti di guida individuale.
Insomma tutti bravi a guardare la situazione dalla luna, criticandola dall’alto, senza pensare che un briciolo di responsabilità tocca a ciascun elemento di quell’insieme che chiamiamo comunità.
Diciamo che ciascuno ha guardato e giudicato la situazione di disagio a partire dal disagio proprio, e contro questo si è scagliato senza scomodare la razionalità e il buonsenso.
Una parte di cittadini, quella più toccata economicamente, si è battuta per cambiare il piano del senso unico, poi basta, a parte il bofonchiare, tutto procede sotto il segno dell’ineluttabilità.
Attualmente la tensione è minore perché il periodo di ferie ha consentito a molti di allontanarsi dal caos rifugiandosi nelle residenze estive. Fra qualche giorno la pentola ricomincerà ad entrare in pressione e ricomincerà la tensione, il borbottio e, diciamocelo pure, la sofferenza vera per tutti.
Ovviamente ci auguriamo che i lavori di manutenzione sul ponte vengano ultimati nei tempi previsti e che la circolazione possa riprendere l’andamento di prima della chiusura. Speriamo che ciò avvenga in tempo utile alla riapertura delle scuole, altrimenti sarà disperazione e disastro che si ripercuoterà sulla salute, sul lavoro, sulla serenità delle famiglie, oltre che sulle tasche di tutti, perché, diciamocelo, sia che si allunghi il percorso col senso unico, sia che si proceda in fila per ore trattenendo a marce basse il mezzo, il consumo di carburante è decisamente superiore al consueto, per non parlare dell’inquinamento che da ciò deriva.
Ci vogliamo anche augurare che nel frattempo Amministrazione e Comando dei vigili urbani stiano pensando al governo della situazione, perché il nodo debole della questione è nel governo. Intendo dire che, poiché la struttura è immodificabile, il volume di traffico incomprimibile, non c’è dubbio che l’intervento deve essere effettuato tramite il governo vigilando sullo scorrimento ed intervenendo dove si creano imbuti e confusioni di dislocazione sulle corsie direzionali. Su questo aspetto si può agire ed ottenere risultati proficui.
Nella situazione data, ascoltando borbottii e osservando comportamenti, alcune considerazioni nascono spontanee: perché la fila si crea prevalentemente al Corso Umberto e nella Via S. Cuore? E’ solo un caso che entrambe le arterie siano ricche di negozi con vetrine che si affacciano allo sguardo del guidatore?
Perché l’automobilista modicano ha così tanta resistenza a disporsi in doppia fila, dove ciò è possibile ed indicato dalla segnaletica, in modo da non intralciare e rallentare il flusso?
Perché in Via Nazionale la fila si crea solo nel verso che introduce al centro mentre si circola con relativa facilità nel senso che conduce all’uscita dal centro? E’ solo disparità di flusso numerico dei veicoli?
Perché si è pensato ad un piano del traffico per affrontare l’emergenza ricorrendo anche all’utilizzo di personale aggiunto per fornire informazioni e non si è pensato affatto ad una vigilanza più pressante verso le trasgressioni stupide di chi non sa guidare, ma soprattutto non pensa a rispettare il prossimo per una migliore percorrenza e convivenza civile?
Dico ciò perché sono convinta che noi automobilisti modicani abbiamo impresso nel DNA il culto del corteo e non sappiamo smetterlo, neanche in situazioni di emergenza, come se ciascuno non fosse elemento influenzante il sistema, come se il sistema fosse esterno a noi.
Possibile che l’immaturità individuale possa essere tollerata senza che nessuna autorità tenti l’obiettivo di arginarla? Possibile che si risponda alle pressioni degli interessi economici, per carità, spesso giuste, ma non si tenti di intervenire anche sull’aspetto dei comportamenti?
Se a ogni automobilista che effettua la passeggiata seduto in macchina con telefonino all’orecchio venissero tolti punti della patente, se altrettanto accadesse a chi non rispetta la disposizione in doppia fila dove ciò indicato, se ogni fischio del vigile urbano fosse avviso di intervento sanzionatorio, io penso che qualche esagerazione di costume potrebbe essere corretta.
Insomma, più che di volontari capaci solo di dare informazioni in questa fase, i vigili avrebbero avuto bisogno di sostegno di unità per potere intervenire e sanzionare i comportamenti scorretti.
Certo, il corpo dei vigili urbani avrebbe dovuto ricevere disposizioni precise dal comando che autorizzassero la sanzione di coloro che, in presenza di una realtà rivoluzionata per causa di forza maggiore, hanno creduto di non dover modificare le proprie abitudini; certo, ci sarebbe voluta una volontà politica disposta a sostenere ciò, determinata dalla volontà di non tollerare la mollezza delle fermate in punti nevralgici, della sosta in zone di strettoia quali quelle della piazza dove gravita la fontana.
Ci sarebbe voluta la volontà politica di scoraggiare gli atteggiamenti egocentrici di coloro che si comportano come se fossero loro soltanto al centro del mondo senza considerare che il centro stavolta era l’emergenza da fronteggiare col concorso di tutti attraverso comportamenti virtuosi e responsabili, altro che diritto di protestare!
Insomma il piano del traffico non è solamente lo studio dei flussi, è anche quello, ma è anche strategia pensata in termini globali, considerando e includendo i comportamenti umani. Ogni strategia comunque va governata con gli strumenti tecnici, cioè con la piena mobilitazione dei vigili urbani, infine condivisa con chi il traffico lo determina, informando prima e vigilando dopo, in modo che ogni disposizione venga osservata rigorosamente.
Si osserverà inoltre che alcuni automobilisti intralciano perché proprio non sanno guidare, ma quale occasione migliore per sentirsi spinti a imparare o a mettersi da parte? Ciò potrebbe succedere se i vigili urbani procedessero puntualmente sanzionando anche le incertezze di guida, anche le leggerezze dei rallentamenti immotivati, delle manovre intralcianti.
Carmela Giannì
1 kg di seppioline piccole (quelle che i pescatori chiamano scarpette), 2 peperoni rossi e gialli, 2 melanzane, 2 cipolle di Giarratana, 100 gr di olive verdi denocciolate, q.b. di olio evo, aceto di vino bianco, zucchero di canna, sale e pepe, una manciata di mandorle
lavare bene le seppie mantenendole integre, senza togliere la sacca del nero e il fegato, lasciarle a scolare. Tagliare le verdure a cubetti e friggerle in olio, sfumare con aceto e zucchero, aggiungere le olive e, a fine cottura, le mandorle leggermente tostate e tritate grossolanamente, regolare di sale e pepe e metterle da parte. Fare riscaldare una griglia e mettere le seppie intere, girandole solo una volta, condirle con sale, pepe e olio e servirle ben calde con le verdure di contorno. Con questa cottura le seppie restano morbide e succulente, chi ha difficoltà a mangiare il nero può naturalmente eliminare la sacca del nero e il resto… ma il piatto perderà la sua caratteristica.
Come abbinamento: Salina bianco di Hauner
Salve, invio la presente per disperazione, sì perché ogni anno in estate è la solita storia. Mi spiego meglio e parliamo di Marina di Modica. La sera, per chi desidera recarsi nella borgata marinara, è una tragedia, poiché, in base al tipo di manifestazione estiva, la piazzetta viene inibita al posteggio per le auto: è qui che si arriva al dramma sopracitato. Dopo circa 2 o 3 giri nelle traverse varie, se si è fortunati si trova un posto per lasciare l’auto in sosta e poter fare una passeggiata sul lungomare, altrimenti è più facile trovare posto allo stabilimento bruciato. Ad ogni abitazione troviamo un cancello grande per l’accesso auto, uno medio per non so cosa ed uno piccolo per accesso pedonale. In molti casi, in aggiunta a questo, troviamo un vaso, una cassetta di frutta vuota, una bicicletta, così da inibire tutte le possibilità di parcheggio. Ogni anno i proprietari delle case di Marina ed i commercianti si lamentano che non c’è nessuna iniziativa per la stagione estiva ed è qui che vorrei fare una proposta agli attuali amministratori: tassare i secondi e terzi cancelli con 50,00 euro per ogni apertura oltre a quella principale ed utilizzare i proventi per le manifestazioni estive. Si avrebbe un doppio beneficio: più posteggi e più manifestazioni.
Cordiali saluti
Piero Bonomo
La vespa è rimasta nella storia associata a tanti eventi per lo più negativi, ma spesso legati alla superficialità e all’ignoranza umana, o a cattiveria verso tutti gli animali che non si assoggettano ai voleri dell’uomo che vive lontano dalla natura e quindi non la conosce.
Anche nella letteratura e nelle informazioni generali la vespa viene definita: “l’insetto più irascibile e più intelligente”. Discutibilissimo è l’aggettivo irascibile, quanto strano è l’aggettivo intelligente detto da un letterato e non da un etologo o da un entomologo. Chi percorre il proprio territorio per un dovere culturale e constata che esistono comportamenti degli animali ben diversi da quelli raccontati nella tradizione popolare o nelle documentazioni oggetto di consultazione, sente il dovere di correggere le notizie che sono dettate solo da una disonesta osservazione o da odio per tutti gli animali che, per difesa, si sono opposti all’aggressione, voluta o casuale, del povero popolano ignorante.
Il nido di vespe presentato nella foto è uno dei tanti gruppi familiari che vive per i fatti suoi nelle nostre campagne ed anche nei nostri giardini, come anche nel mio. Si può osservare molto da vicino, fino a pochi centimetri, senza che questi insetti manifestino ostilità o segnali che possono essere considerati pericoli per la famigliola di vespe. Gli entomologi e gli etologi li considerano insetti sociali perché vivono in famiglie più o meno numerose, con una gerarchia tenuta dalla femmina fertile. Le api e le formiche sono gli esempi più famosi e conosciuti, mentre di tutti gli altri imenotteri, con una presenza di circa 200.000 specie, non se ne conosce nemmeno l’esistenza.
L’eleganza e la perfezione del loro nido “di cartone”, costruito con piccoli frammenti di legno impastato con una sostanza collante, in sottilissime pareti che separano le cellette, a precisa forma esagonale, come quelle ceree delle api, dev’essere apprezzata. Allo stesso modo deve essere apprezzato l’avvicinamento all’uomo in momenti particolari, come in occasione della pulitura del pesce, di cui accattonano qualcosa delle viscere, con serena umiltà. Sono carnivore e predatrici di altri insetti, ma non disdegnano la frutta dolce, e, a differenza delle api che non hanno un apparato masticatore, con grave disappunto per quel famoso uomo, danneggiano qualche chicco d’uva o qualche altro frutto.
Se si è parlato tanto male di questo insetto, bisogna pur riconoscere che è servito a definire un’apprezzata parte delle donne eleganti, che si fregiano del loro “vitino da vespa”, come pure di aver dato il nome al famosissimo scooter della Piaggio.
In conclusione, parlar male di tutti e di tutto ormai è costume e piacevole atto di cattiveria salottiera; ci si augura, almeno per le nuove generazioni, che abbiano maggiore conoscenza dell’ambiente in cui vivono, che possano apprezzare, sottovalutando i difetti, l’unico pregio manifesto, e se anche questo non è evidente, vivere nella concezione antica: vivi e lascia vivere.
Le vespe, come tanti esseri viventi, hanno un loro spazio vitale che deve essere rispettato. Se alcuni fessacchiotti o imbroglioni hanno raccontato cose non vere, queste non debbono entrare nel mondo della cultura.
Abel
Su internet si può trovare un video con una delle più belle canzoni che siano mai state composte: Stand by me. Che c’è di strano, direte, su internet si trova praticamente tutto e Stand by me è stata cantata e registrata da centinaia di cantanti. Questo video però è particolarmente bello e dice molto di più della canzone stessa. E’ un mix di esecuzioni fatte da musicisti di tutto il mondo, di tutte le razze, da New Orleans alla Russia, all’Italia, al Congo, è cantata da bianchi, neri, pellerossa, è suonata da sax, batteria, chitarra, violoncello, flauto. Il risultato è questa vecchia canzone, giovane come non mai, che trasmette un messaggio universale, un messaggio che è nato insieme all’uomo eppure l’uomo non l’ha mai voluto ascoltare: l’armonia. L’armonia fra la gente, l’armonia fra i popoli, l’armonia con la natura, con gli animali, l’armonia con noi stessi.
Questo tipo di video è diventato una moda degli ultimi anni: si chiama collaborative music ed è il risultato della ricerca e dell’abile montaggio di brani musicali raccolti in giro per il mondo. Il genere si è poi evoluto ed è stato anche prodotto negli studi specializzati e usato, ad esempio, per alcune pubblicità.
Già, è diventato una moda, ma, in questo caso, crediamo che, più che di una moda, si tratti di un’esigenza, un bisogno, sì, proprio quello che dicevamo, un bisogno di armonia. In tempo di globalizzazione, quello che accade nel mondo ci tocca sempre più da vicino, le guerre, la crudeltà, la prepotenza ci feriscono anche quando avvengono in paesi lontani da noi, perché il mondo ormai è diventato piccolo. Forse è anche da questo che nasce il bisogno della condivisione. “Condividi” ci suggeriscono i social network e la condivisione che altro è se non il bisogno di armonia, di comprensione, di solidarietà?
La musica è stata la prima forma di comunicazione, nata ancora prima del linguaggio, e della musica l’uomo ha sempre avuto bisogno; l’ha considerata una forma d’arte, l’ha imprigionata in canoni estetici a volte eccessivamente rigidi, ma la musica è molto di più, lo è sempre stata e lo sarà sempre.
Non possiamo fare a meno di vederla come l’antitesi della politica: ai partiti (e al loro interno alle correnti) che rappresentano divisione, contrapposizione, scontro, si oppone la coralità, il gruppo, il richiamo gioioso e rasserenante, la voglia di stare insieme, liberi. In un momento come quello che stiamo vivendo, mentre ci rendiamo conto che la politica ha tradito tutti i nostri ideali, i nostri sogni e la nostra fiducia, mentre ci sentiamo schiacciati dall’interesse avido di pochi che cerca di sottomettere il mondo con protervia cercando un potere probabilmente nemmeno appagante, in un momento come questo quale altro rifugio possiamo trovare se non nella musica? Una musica capace di unire un capo e l’altro del mondo, una musica che nasce nella strada, all’improvviso, dalla chitarra di un mendicante o sulle montagne dal tamburo di un pellerossa, una musica che ci fa sentire davvero parte di un unicum, sì, davvero liberi e insieme.
Si è conclusa con successo la 29° edizione del Memorial Roberto Di Tommasi, torneo che nasce per ricordare il giovane tennista di appena 15 anni venuto a mancare il 6 agosto del 1985 e valido come torneo open maschile con montepremi da 1.500 euro, organizzato dal Tennis Club Modica di cui è presidente Peppe Rizza, con la collaborazione di Dunlop Sport e Tennistore.
Della SAT, coadiuvata da Franco Galota, istruttore di primo grado FIT, è responsabile il Maestro Nazionale Dario Mallia. preparatore inoltre del settore agonistico del club, che gentilmente ci ha fornito i seguenti dati: a contendersi il titolo sono stati Ettore Zito, n. 2 del seeding e la sorpresa del torneo, il quindicenne siracusano Alessandro Ingarao, autore di un torneo superlativo, in cui ha superato nell’ordine Stefano Messina, Ignazio D’amico e Marco Gulisano. In semifinale ha trovato strada libera grazie al forfait di Eros Siringo, che ha accusato un attacco febbrile prima del suo match.
Nell’altra semifinale, splendido match tra Ettore Zito e il sedicenne Nicolò Schilirò, che hanno dato vita a un match entusiasmante sia dal punto di vista tecnico che dal punto di vista delle emozioni, Schilirò infatti è stato avanti anche 5/3 nel primo set senza sfruttare un set point annullato da Zito con un rovescio vincente, che ha dato il la alla risalita del giocatore con più esperienza in campo che ha fatto suo il primo set per 7/5.
Nel secondo set, il giovanissimo Schilirò si è trovato di nuovo avanti per 4/2, ma ha dovuto soccombere ancora per 7/5, non senza aver provato fino alla fine a mettere in difficoltà il n. 2 del tabellone.
La finale, giocata davanti a una cornice fantastica di pubblico, ha avuto breve storia con Ettore Zito padrone del campo e Ingarao troppo emozionato nei primi game, dove ha sentito troppo la tensione per la prima finale open in carriera.
Il primo set filava via veloce con un rapido 6/2, mentre nel secondo la pesantezza dei colpi di Zito era ancora più netta e con lo stesso punteggio si chiudeva la contesa anche nel secondo set.
A seguire si è disputata la premiazione, che ha visto il sig. Di Tommasi premiare meritatamente il vincitore Zito, che si è assicurato un assegno di quasi 400 euro, lo stesso che tra pochi giorni sarà di nuovo in America, esattamente nel Tennessee, per proseguire i suoi studi ed i suoi allenamenti tennistici che gli hanno regalato anche il ranking assoluto di n. 80 negli Usa.
Il giovane Zito ha affermato di sentirsi a casa nello splendido scenario di un campo da tennis, diventato per lui ormai familiare e che per questo tornerà ancora a disputare partite con gli amici che come lui amano questo sport.
Il Circolo Tennis Club di Modica è nato nel 1969 e aderisce al progetto P.I.A. della Federazione Italiana Tennis, dotato di forte spirito di gruppo e grande passione per il tennis, quindi anche molto professionale e metodico nella formazione di nuovi talenti.
Al Club inoltre, come ogni anno e come in una grande famiglia, giocatori, vincenti o perdenti, insieme al pubblico, agli amici e ai parenti, si sono potuti deliziare con prodotti tipici alimentari del territorio modicano grazie a serate gastronomiche ad hoc, organizzate sempre dai soci e con la partecipazione anche della famiglia Di Tommasi che, felice, in ogni giovane tennista rivede il proprio figlio ancora in vita e sempre vincente.
Ruta Sofia
Percorrendo il programma dell’estate modicana 2014 con la curiosità che si attiva davanti a un bazar, nella strasbordante offerta abbiamo scoperto una cartolina d’autore, un delicato acquerello dalle tinte tenui, un affresco delizioso. Un’opportunità alla quale non ci siamo saputi sottrarre e di cui abbiamo goduto la grazia, la genuinità che sempre i giovani esprimono quando decidono di mettersi in gioco.
Il quadretto appena accennato è di natura musicale, si denomina “Le Ombre Amene” ed è composto da tre studenti del Liceo Musicale “Giovanni Verga” di Modica.
I componenti sono il chitarrista Antonio Abate, allievo del prof. Paolo Rizza, la pianista Arianna Aurnia allieva della prof. Loredana Vernuccio, la soprano Emanuela Sgarlata allieva della prof. Rosa Nigro e del maestro Marcello Pace.
Tutti e tre giovanissimi, ancora in fase di formazione, tutti e tre già appassionati a tal punto da avere avuto l’ardire di mettere su una formazione di musica da camera e di osare affrontare il pubblico mostrando la loro capacità di performance.
Il concerto è stato offerto al pubblico lo scorso otto agosto, nell’atrio del Palazzo Comunale, che offre uno scenario di degna suggestione e rappresenta una cornice assai appropriata per eventi che richiedono l’isolamento dalla confusione del traffico dando anche l’opportunità della comodità al pubblico dei posti a sedere. Il Comune lo ha ben allocato, oltre a farsi carico delle spese come per tutti gli altri eventi in programma, ma certamente i ragazzi hanno fatto il resto riuscendo a realizzare uno spettacolo di tutto rispetto, godibile sotto il profilo dell’ascolto (bella voce e belle esecuzioni) e ben assortito in termini di repertorio. Il pubblico ha infatti apprezzato applaudendo calorosamente.
Intanto, l’attesa di raduno del pubblico e dell’arrivo degli amministratori, è stata riempita dall’ascolto di un gradevolissimo Concerto per violino ed orchestra in do maggiore che solo a posteriori abbiamo scoperto essere composto da Antonio Abate, questo per dire fino a che punto questo ragazzo giovanissimo è immerso nella passione della disciplina musicale, perché comporre vuol dire pensare e scrivere la musica, livello assai diverso dalla semplice esecuzione ed interpretazione. Antonio vive la musica non solo come una dimensione a cui attingere per esprimersi, ma come un mondo a cui contribuire, insomma è la dimensione che lo assorbe.
Il concerto si è svolto tramite esecuzioni solistiche dei tre componenti ed esecuzioni di gruppo.
Antonio Abate ha imbracciato la chitarra e da solista ha eseguito: Preludio n° 4 di H. Villa Lobos; Recuerdos de la Alhambra di F. Tarrega; una Limosna por el amor de Dios di Augustin Barrios; Cancro del iladre di Llobert Miguel.
Antonio Abate ha poi accompagnato la soprano Emanuela Sgarlata, insieme hanno eseguito prima tre cavatine di Mauro Giuliani: Quando sarà quel dì, Ombre amene, Fra tutte le pene, e una romanza di Fernando Sor, Fanciullin t’inganni.
Hanno poi proseguito rendendo omaggio a Federico Garcia Lorca, di cui è nota la produzione poetica ma meno la passione per la chitarra nutrita dal poeta con i brani Las morillas de Yaen, Los cuatro mulieros e Anda Jaleo.
Nella seconda parte dello spettacolo ad accompagnare la soprano Emanuela Sgarlata è stata la pianista Arianna Aurnia. Le ragazze hanno esordito con due belle arie Se tu m’ami di G.B. Pergolesi e Voi che sapete da Le nozze di Figaro di Mozart; poi Sogno di F. P. Tosti, una canzone di D’Annunzio L’alba separa dalla luce l’ombra, quindi un’aria di V. Bellini, Ma rendi pur contento.
A chiudere il concerto sempre Antonio Abate che ha interpretato Sogno.
Di tutti e tre abbiamo apprezzato l’audacia e l’impegno che essi profondono nel seguire e praticare la loro passione, abbiamo registrato anche un ottimo livello di preparazione destinato a crescere e raggiungere livelli da concertismo.
Abbiamo provato, come modicani, un certo orgoglio nel vedere che giovani artisti crescono, penso che anche i loro insegnanti possano dirsi soddisfatti e ripagati dai loro sforzi.
Non ci vuole molto ad immaginare il legittimo orgoglio dei genitori nell’assistere all’esibizione dei figlioli, ai quali, tramite la consapevolezza maturata negli anni, mi sento di fare presente, con umiltà e realismo, di non illudere i loro figlioli sul fatto che dal loro impegno e talento ne conseguirà sicuramente uno sbocco espressivo che consentirà loro di poterlo vivere anche come via di autonomia economica. Oggi gli sbocchi lavorativi sono incerti in tutte le discipline, ma in quelle artistiche la situazione è ancora più drastica perché la cultura non viene più finanziata dallo Stato, quindi solamente chi appartiene ad una determinata cerchia del privilegio di base può tentare la via, certo le eccellenze finiscono per emergere, ma solo se dietro c’è una famiglia in condizione di mantenere i figli ad oltranza, solo se possono entrare in certe scuole di specializzazione, solo se possono accedere a Master Class costosissime in cui perfezionarsi e tramite cui farsi conoscere partecipando a concorsi a spese della famiglia.
Insomma, campare facendo l’artista è come per l’elefante attraversare la cruna dell’ago.
Non vorrei sembrare disfattista, non è questo lo spirito che mi anima, anzi, sono solo a conoscenza dell’ambito e vorrei evitare frustrazioni amare a questi ragazzi speciali e alle loro famiglie. Insomma mi si passi l’espressione, parlo per amore del prossimo. Per questo invito alla riflessione e alla ponderazione, non alla rinuncia, anzi, viva il cimento, qui sta il sale della vita, ma attenzione alle illusioni, Modica è una realtà che esorta al sogno, ma il sogno va guardato con la lente della realtà contemporanea.
Ciò detto, rivolgendomi ai ragazzi mi sento di incoraggiarli ad investire sulla loro passione perché è solo la passione che riesce a fare da contrappeso alla durezza della realtà, ma di non totalizzare, di non percepirsi solamente come creativi, di non pensare ad una sola via di realizzazione del vivere, perché il vivere è un equilibrio complesso e difficile come ogni acrobata degno del nome ci mostra e insegna.
Allora, dare il meglio di sé per ciò che piace è giusto e proficuo, nella vita di ciò ci sarà comunque un ritorno, ma non si deve considerare l’arte come il solo obiettivo da darsi e da raggiungere, perché potrebbe essere via di fallimento e di frustrazione, anche quando il talento è forte. Potrebbe essere fonte di dolore come lo è qualsiasi obiettivo quando viene vissuto come la sola dimensione della vita; questo vale per la vita artistica, per quella lavorativa, ma vale anche per le relazioni umane, quelle a base affettiva comprese.
Carmela Giannì
Il 16 agosto la suggestiva cornice di Cava Pietra Franco ha ospitato il concerto di Chiara Civello, che ha presentato il suo ultimo album, Canzoni, in cui la brava cantante ripropone, interpretandole, cover italiane sempre presenti nel cuore di tutti noi.
Il concerto però è stato piuttosto diverso da quello che ci si poteva aspettare, cioè da quello che si usa proporre in queste occasioni che prevede insieme interpreti e collaboratori del CD; Chiara si è presentata da sola, col suo pianoforte e la sua chitarra e con quella forte carica comunicativa, che ha fatto sentire gli spettatori come vecchi amici invitati nel suo salotto ad ascoltare le sue confidenze in musica.
Il concerto, ovviamente, non si è limitato a proporre i brani incisi, ma ha spaziato nel repertorio vecchio e nuovo, con qualche accenno a quello che probabilmente sarà il prossimo disco.
Due ore di spettacolo portato avanti, oltre che con la solita splendida voce che ben conosciamo, col garbo e l’eleganza che contraddistinguono questa cantante di origine modicana, ma, possiamo ben dirlo, cittadina del mondo. Il solo riposo che s’è preso è durato il breve spazio di due canzoni eseguite da due cantanti da lei presentati: un giovane della nostra città, Giovanni Caccamo, un talento da tenere d’occhio, e la vecchia amica e collaboratrice (fu proprio lei a scrivere la canzone da Chiara Civello presentata a Sanremo) Diana Tejera, che ha proposto Il valzer della toppa, scritto da Piar Paolo Pasolini e portato al successo da Gabriella Ferri.
Nonostante l’organizzazione del concerto fosse stata decisa con appena una settimana di anticipo, di conseguenza molto poco resa nota, il pubblico ha affollato la Cava, mostrando chiaramente quanto apprezzamento la cantante goda in città. La sua musica in realtà incontra il gusto di una vastissima parte di ascoltatori: moderno quanto basta per essere gradito alle nuove generazioni, ma legato anche a una tradizione musicale che va indietro nel tempo, capace di coinvolgere ricordi e sensazioni apparentemente dimenticati. Perché la musica, la bella musica, non ha limiti di tempo o di spazio e di questo Chiara è perfettamente consapevole.
L. Montù
nella foto Chiara Civello e Diana Tejera durante le prove a Cava Pietra Franco