venerdì, 24 Marzo 2023

Fabulas (di Sascia Coron)

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Il prologo dell’ollam dalle 350 storie

Nell’immensa biblioteca di mio padre, bruciata nel 1967, nel reparto favole trovai il racconto di un bardo che usai poi per comporre il mio LA PARABOLA E IL CERCHIO.

Finita la lettura della storia ebbi la certezza che il cantore fosse uno dei “fili”, il quale era stato costretto a relegarsi nel ruolo di bardo. Questa funzione, da sempre posta al di sotto di quella svolta dall’ultimo livello dei “fili”, l’oblaire dalle 7 storie, era stata talmente screditata dai preti cristiani, da perdere ogni connotato sacrale e religioso sicché, celarsi in essa, poteva dare al vate una certa tranquillità di sopravvivenza per la sua persona e per la sua missione.

L’autore del manoscritto, invece, non poteva che essere un ollam dalle 350 storie. Era un vate massimo, il druida che sapeva 50 volte 7 storie e che, al lume della luna, ne poteva raccontare una per ogni sua fase nei dodici cicli di un periodo di 29 notti e, in più, le due necessarie a chiuderne uno ed aprire il successivo. Tanto egli sapeva, che forse discendeva direttamente dal mitico Amergin glun-gel, “Amergin dal ginocchio bianco”. Per pura curiosità: 7 sembra essere il numero simbolo della magia e 8 quello dell’infinito [3+5+0=8], per cui questo ollam poteva narrare un numero infinito di storie.

Quello che mi piace riportarvi è la premessa alla sua seconda storia:

Giuro che non ho mai scritto una storia, prima di questa. Ricordo perfettamente ogni cosa, il suo posto e la sua funzione nel tempo e nello spazio, senza bisogno di promemoria scritti. La mia fama di bardo non sarebbe così grande se non fossi in grado d’incasellare ordinatamente ogni particolare di ciò che apprendo girovagando e di tirarlo fuori al momento opportuno, che è quello in cui esso si lega alle peculiarità di uomini e cose e fatti d’ogni presente che vivo, e mi consente di vedere le cose intere e chiare. Solo così posso ricreare i fatti di fronte al mio pubblico e farli apparire quello che voglio.

Prima però di raccontare le mie storie preparo le loro orecchie al mio inganno confondendo i loro cervelli con allettanti esposizioni di questo tipo:

Io so che siete curiosi e volete sapere da me quello che non sapete. Per farlo, è necessario che io sappia tutto quello che sapete e partire da questo per dirvi ciò che non sapete.

Se non tenessi soprattutto conto di ciò che sapete, non riuscirei nemmeno a spiegarvi quello che non sapete ancora che io so, e mai potreste capirlo. Né vi divertireste a conoscere il nuovo, che non potreste comprendere se non avesse stretti legami col vecchio che sempre lo genera. Quindi, io devo sapere le cose che tutti sanno e quelle che so solo io, per dilettarvi raccontandovele.

Per il vostro svago, comincerò a spiegarvi una cosa che non sa quasi nessuno. Se vi fosse qualcosa che tutti sanno fare, non potrebbe esserci nessuno che non sapesse fare quello che sanno fare tutti.

Mettiamo ora che ci sia una cosa che tutti non sanno fare, e non perché non la sappia fare nessuno, ma perché tutti sono convinti che sia impossibile farla e non credono che sia possibile trovare qualcuno che la sappia fare.

Tutti voi sapete di quel Giorgio di Cappadocia che uccise il dragone e che fu giustamente martirizzato a Diospolis in Terra di Canaan. Ora, se è vero che Giorgio uccise il drago, è anche vero che, prima di farlo, non sapeva di saperlo fare, e nessuno credeva che sarebbe stato capace di farlo, poiché tutti, compreso Giorgio, erano certi che nessuno potesse uccidere il drago. Infatti, ciascuno era convinto di non saperlo fare e credeva quindi che neanche Giorgio sarebbe riuscito a farlo. L’eroismo di Giorgio consiste nell’aver affrontato una sfida impossibile ed il suo mito nasce dalla riuscita di una impresa che tutti credevano che nessuno sarebbe stato capace di compiere.

Da ciò si ricava che qualcuno sa fare quello che tutti non fanno perché non sanno di saperlo fare, e fa quello che nessuno sa fare, facendolo senza saperlo.

Ma, ecco il punto!, io so che non tutti sanno che alcuni non sanno fare quello che sanno fare tutti e qualcuno invece sa fare quello che non tutti sanno che non sa fare nessuno, tranne quello che lo sa fare, sapendolo.

E questo è quello che so che non tutti sapevano ed è giusto che ora voi tutti sappiate per rallegrarvi d’averlo saputo e compiacervi di saperlo finalmente.

Ma il più compiaciuto di tutti sono io, perché so che mi avete capito. E non potete non avermi capito, poiché mi sono limitato a congiungere fra loro tutte le cose che io sapevo che voi sapevate, per illuminarvene una che non sapevate più di sapere ancora.

Quello che tutti capiamo è contenuto in quello che già sappiamo e quello che sappiamo di nuovo è quello che di nuovo torniamo a sapere di quello che avevamo sempre saputo, senza sapere di saperlo”.

Vi assicuro che ho sempre recitato il pezzo tutto d’un fiato, senza soffermarmi a pensare quel che andavo declamando, per non rimanerne alloppiato io stesso. Visti i riscontri, credo d’aver fatto un buon lavoro.

Sascia Coron

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