È una pianta considerata mediterranea, come si può notare dal nome assegnato da Linneo: “punica granatum”, mentre le sue origini antiche sono persiane. È una pianta da clima caldo e temperato ed è presente in tutta l’Italia meridionale e insulare. È stata da sempre una coltura marginale e d’interesse solo familiare.
Fino a poco tempo fa il melograno era presente quasi sempre nei riti familiari natalizi e di fine anno per il colore rosso fuoco dei grani, per la sua struttura granulare e per la sua naturale serbevolezza, assieme all’uva e alle lenticchie.
In questi ultimi anni si assiste alla presenza di questo frutto fra la frutta d’importazione, con una presentazione esteriore eccezionale per calibratura e colore, mentre lascia a desiderare la rispondenza qualitativa dei grani, più piccoli, poco coloriti e meno dolci delle nostre varietà che vanno sotto l’appellativo di rienti ri cavaddhu.
I nostri nonni hanno selezionato, con amore, degli esemplari di questa pianta, senza l’aiuto dei genetisti attuali, e senza avere ricevuto un cenno di gratitudine e apprezzamento, e ciò fa rabbia. Rabbia moderata e non come quella che nutrono molti nostri contemporanei.
Ho voluto trattare questo argomento, sia per ricordare il lavoro dei nostri nonni, sia per rimproverare i nostri contemporanei per questa insensibilità e indolenza verso le attività produttive agricole. Ormai è costume apprezzare le cose degli altri, rinnegando e disprezzando le cose familiari, come se le origini agricole dei nostri nonni fossero un marchio infame.
Osservando i frutti di melograno d’importazione e la loro rispondenza commerciale esteriore, ho voluto verificare anche la rispondenza organolettica intrinseca e ho acquistato un melograno che presentava i migliori attributi.
Messo a confronto con un melograno preso nelle nostre campagne, la differenza non è solo esteriore, ma anche organolettica. Le foto mettono in evidenza le caratteristiche intrinseche. I grani del nostro melograno della cultivar dente di cavallo sono più grandi e più rossi, inoltre, al gusto, sono più dolci e del sapore spiccato di melograno, mentre quello d’importazione è più acido e meno dolce.
Come mai i nostri melograni non si trovano sul mercato, anche a confrontarsi con la concorrenza?
I nostri melograni non vengono coltivati con criteri razionali e con le strategie necessarie a produrre secondo le richieste di mercato. Rimangono negli orti di casa lasciati senza cure agli eventi naturali e con la pretesa che debbano dare un prodotto buono.
Il melograno non coltivato, essendo una pianta assetata come tutte quelle che producono frutti succulenti, in occasione di disponibilità di acqua, in corrispondenza con i nubifragi autunnali, cerca di fare provviste di acqua, ma il contenitore dei grani, la capsula del frutto, è già indurita e si spacca al turgore dei grani, con danno irreparabile per l’immagine commerciale. La coltivazione del melograno deve osservare delle strategie ben precise per evitare i colpi d’ariete causati da una irrigazione non prevista, di acqua piovana. Del resto i nostri nonni solevano dire: “u ranatu è macci’ e saja”, cioè il melograno è pianta che sta bene sul bordo di un canale. Quindi, ferma restando la pratica della fornitura dei nutrienti adatta alle piante che producono frutti zuccherini, la disciplina degli adacquamenti deve mirare a mantenere un’umidità costante in modo da consentire una crescita dei frutti con progressione regolare.
I nostri melograni, per le loro caratteristiche nutritive, possono essere degni di una nicchia di mercato eccezionale, se verranno messi a coltura razionale, accompagnando il prodotto con una scheda informativa sui contenuti e le istruzioni per l’uso.
I nostri nonni avevano scoperto, e non conosciamo in che modo, le capacità tenifughe, confermate oggi dalla scoperta di un alcaloide chiamato pelletierina, contenuto sia nelle bucce che nelle cortecce e nelle radici. All’età di undici anni io sono stato sottoposto a questa terapia con successo. La terapia consisteva nel mangiare, per tre giorni consecutivi, soltanto semi di zucca crudi e melograni, con tutti i semi insieme al tessuto giallo che tiene attaccati i semi, le pellicine e quello che si poteva staccare dalla buccia. Era consentito solo qualche dolcino, come premio. Il tessuto giallo, amaro, doveva intontire il verme solitario, mentre le bucce dei semi di zucca e i semi del melograno dovevano avere la funzione di griglia per staccare la testa del verme e trasportare fuori tutto il corpo sino alla eliminazione. Il quarto giorno tutto il verme fu eliminato.
Il melograno è un frutto di stagione da usare direttamente, oppure può servire alla preparazione di sciroppi di vecchia generazione.
Un invito ai nuovi imprenditori agricoli potrebbe essere quello di recuperare le vecchie varietà nostrane, coltivarle per benino e confrontarsi con i produttori esteri nella certezza di dimostrare capacità imprenditoriale e migliore qualità del prodotto.
Abel
foto 1: melograno modicano
foto 2: melograno d’importazione