Il giorno 19 di questo mese si è realizzata una giornata informativa degli amici dell’agricoltura su: “L’attività vivaistica in serra per la produzione di piante arboree: il carrubo, opportunità per il territorio”. Uno spunto per parlare del carrubo e dei problemi connessi.
Questi incontri rientrano nei programmi di sviluppo rurale sostenuti dal Fondo Europeo per lo Sviluppo Rurale, dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e dall’Assessorato Regionale dell’Agricoltura e dello Sviluppo Rurale.
Un’iniziativa pregevole per sensibilizzare e informare chi sente il dovere di conoscere e promuovere iniziative produttive in una nuova agricoltura rivolta anche alla salvaguardia delle piante millenarie presenti nel territorio.
Completata la fase informativa con le relazioni di giovani esperti, la comitiva si è recata in visita ad alcune piante millenarie di carrubo, in contrada Favarotta, in territorio di Rosolini. La giornata, non tanto soleggiata, è stata benevola per certi versi, consentendo una passeggiata serena nei campi inerbiti.
Chi non è abituato alle escursioni campestri ha vissuto emozioni intense degne di un ricordo, per chi vive spesso a contatto con l’ambiente è stata l’occasione di aggiungere altri esemplari rari alla collezione di piante da salvare.
Se si pensa che queste piante di carrubo possono datare un’età di circa duemila anni, con l’approssimazione di qualche secolo, viene da pensare alla loro generosità verso l’uomo, malgrado la poca generosità e ricompensa proporzionale al loro ruolo multifunzionale.
Oggi gli ambientalisti le considerano un elemento paesaggistico del territorio ibleo e per gli esemplari millenari si parla di “monumenti” da perpetuare nei siti naturalistici.
Per gli agricoltori, vecchi proprietari, sono un ricordo familiare, mentre per i nuovi sono una presenza a basso rendimento da mantenere solo in osservanza alle normative di salvaguardia.
Per chi vive nella storia della natura queste piante millenarie sono dei testimoni muti di un’agricoltura dimenticata che deve essere ricordata a tutti gli amici di città per un dovere verso chi, generosamente, continua a donare, senza alcuna ricompensa e gratificazione. Pochi infatti sanno cosa sta dietro ai prodotti derivati, estratti dalla polpa e dai semi delle carrube.
La polpa, tostata e polverizzata, è entrata nelle dolcerie per la confezione di biscotti ed altro e nella ristorazione per piatti innovativi di discutibile accettazione.
Inoltre in mangimistica come regolatore digestivo, per il contenimento delle diarree dei lattonzoli e in farmaceutica per le enteriti infantili.
La farina del seme grezzo, estratta con un particolarissimo sistema molitorio, passa all’industria chimica per ottenere delle polveri addensanti (E 410), usate nell’industria conserviera, nella produzione di gelati, nella panificazione, ed altro.
Il seme è la parte più ricca del frutto che, con processi di chimica fine, oltre alla produzione di farine che hanno la proprietà di trattenere liquidi oltre cento volte il loro peso, trova rispondenza anche nella produzione di esplosivi di nuova generazione ed altro, con la riservatezza dei segreti militari.
Se andiamo ad analizzare il giro di affari che orbita intorno a questi nostri frutti, escludendo il settore erboristeria per le cortecce, radici e foglie, troviamo un tortuoso e misterioso itinerario i cui beneficiari sono i soliti furbi della società civile.
Il frutto grezzo viene commercializzato, in condizioni di monopolio, a un prezzo medio oscillante da venti a trenta centesimi di euro al kg.
Molti accettori provvedono alla frantumazione delle carrube e alla selezione del seme e del frantumato con varia calibratura. Il seme grezzo ha una valutazione di mercato variabile da € 2,50 a 3,00, mentre la polpa, destinata alla mangimistica ordinaria, si mantiene quasi allo stesso prezzo delle carrube all’ingrosso con oscillazione relativa alle varie calibrature.
La polpa segue anche un processo di lavorazione industriale, con tostatura e molitura differenziata per la destinazione zootecnica, farmaceutica, dolciaria ed altro, con valutazioni che vanno da € 1,20 – 2,00 per la destinazione zootecnica, per quella dolciaria fine, da € 5,00 in poi, mentre per l’industria farmaceutica si viaggia con i tornaconti eccezionali.
Le farine di seme sono un mistero per tutti, ad eccezione della destinazione alla produzione dei gelati artigianali in cui i prodotti addensanti, al minuto, raggiungono prezzi di circa trenta euro al kg. L’elaborazione biochimica delle sostanze derivate dalle farine del seme rientrano in una moltitudine di sostanze estrattive di cui il cittadino conosce poco o niente. In ogni caso gli utili derivanti, nel complesso, da questo frutto sono considerevoli e i partecipanti sono solo gli uomini di città mentre agli uomini della campagna toccano solo le briciole. La materia prima vale trenta centesimi e il prodotto finito più nobile trenta euro.
Le piante vecchie, incapaci di produrre alla pari di quelle giovani, sono in pericolo e qualcuno deve salvaguardarle. Le proposte e la sensibilità fanno timido capolino negli incontri di alcune categorie professionali, ma di disponibilità finanziarie non se ne parla affatto.
Queste poche piante millenarie rimarranno, sicuramente, nel ricordo di molti come testimoni muti di un’agricoltura diversa, ma siamo più convinti che sopravvivranno per benevolenza della civiltà contadina.
Abel