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ED È DI NUOVO NATALE

sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno … così cantava Lucio Dalla tanto tempo fa, quando gli anni erano di piombo e si sperava di uscirne presto, possibilmente sani e salvi. Adesso viviamo in anni di fango vischioso, nei quali l’umanità sta dando il peggio di sé in tutti i campi, e anche se la televisione dice che stiamo uscendo dalla crisi, quasi nessuno sa se e quando tutto questo schifo finirà. Eppure, è di nuovo Natale.

Certo sarebbe bello se Gesù Bambino scendesse davvero di nuovo dalle stelle e in pochi mesi, prima del sacrificio pasquale, riuscisse a scacciare i mercanti dal Tempio e a mettere a posto scribi e farisei!

Tornando coi piedi per terra, quello che ci circonda è ben poco foriero di belle speranze. Stiamo oramai per perdere financo le braghe di tela e i politici continuano senza requie (e senza vergogna) i loro balletti per la legge elettorale, per la presidenza della repubblica e per le mitiche riforme che non arrivano mai. Intanto, la gente comune, salassata in maniera scriteriata da una grandinata di tasse inique, ha sacrificato la tredicesima (i fortunati che ancora ce l’hanno!) per salvare la casa dai pignoramenti e dalle svendite all’asta esercitati dal braccio secolare dell’Agenzia delle Entrate.

Sconvolti dall’ingiustizia di un sistema che ha permesso ad ex terroristi ed ex banditi di esercitare per anni un potere totale su ogni possibile fonte di lucro, rubando a man salva dalle nostre tasche financo in nome della solidarietà e dell’assistenza, gli italiani impoveriti disertano la kermesse consumistica natalizia. I negozi vengono aperti anche la domenica, ma restano desolatamente vuoti, anche se sconti e promozioni non mancano.

Qui a Modica c’è poca gente anche alla popolare fiera del giovedì, e la sera, dopo le dieci, le strade, ancorché addobbate e luccicanti, sono deserte. L’amministrazione comunale, anche se con fatica e rischiando di essere inchiodata dalle critiche, ha cercato di dare un aspetto festivo alla città, pensando soprattutto ai più piccini. La slitta di Babbo Natale è atterrata in Piazza Matteotti sfavillante di luci: peccato che proprio i bambini per i quali essa è lì rischino di farsi male seriamente a causa di un’incredibile e sconsiderata barriera di agavi intrecciate con rami di spinasanta ad altezza di occhi di bimbo, messa lì per impedire ai piccoli di deformare la struttura arrampicandovisi! Voci ben informate riferiscono che la compagnia dei soliti noti beoni nottambuli, incurante delle spine che qualunque adulto può scavalcare senza danno, è usa salire sulla slitta per babbiare e farsi i selfie: già adesso la renna è diventata bassa come un pony! Sarebbe stato meglio realizzare una struttura luminosa più leggera da poter sistemare sospesa.

Un discorso a parte meriterebbe il criterio di scelta delle essenze vegetali da usare nei luoghi pubblici in sicurezza, evitando piante spinose e velenose: ad esempio, le belle e festose stelle di Natale sono pericolose, anche per i nostri cani e gatti di casa. Ma di questo magari ne parleremo un’altra volta.

Consoliamoci con il Concerto di Natale e con il Presepe Vivente allestito alla Costa, nelle grotte di Santa Lucia. E confidiamo che i tanti angeli trombettieri sparsi per la città, anch’essi sfolgoranti di luci, annuncino davvero la Buona Novella e non stiano invece suonando le Trombe del Giudizio.

Auguri a tutti!

ldnp

 

 

 

 




ECONOMIE SENZA DENARO, PRESENTIAMO UNA PROPOSTA

II credit crunch favorisce l’espansione di scambi non monetari come il trading commerciale tra imprese mediante lo scambio di beni e servizi in “compensazione”.

Tenuto conto che la crisi economico-finanziaria mondiale (originata negli USA da errori e malversazioni nel sistema finanziario) dal 2008 a oggi ha messo in ginocchio la nostra economia – rispetto agli altri Paesi europei, ad eccezione della Grecia ha fatto sì che le monete complementari hanno avuto un peso rilevante nelle transazioni commerciali.

Precisiamo che queste scelte hanno avuto un peso maggiore – rispetto all’Italia – in altri Paesi come gli Stati Uniti, il Giappone, la Svizzera e molti altri Paesi europei.

Per uscire dalla stretta creditizia in cui si trovano molte imprese, una lezione ci viene dalla Svizzera che da tanti anni ha creato un modello virtuoso (che ha fatto scuola), cioè la “Banca Wir”, che a oggi supera le 70mila piccole e medie imprese che fanno parte del circuito.

Esistono varie forme di scambi non monetari nei Paesi post-industrializzati, compreso il nostro, che andremo a esaminare in profondità nel seguito di questo nostro contributo.

In queste pagine m’interessa sviluppare una riflessione in merito ad alcuni interrogativi sollevati dal ricorso alle monete complementari in un discorso di largo respiro.

Questo lavoro presenta un’ulteriore evoluzione delle nostre idee sulle varie forme di supporto al divenire dell’economia o della così detta “scienza triste”.

Spero di riuscire a dare una risposta a tanti imprenditori che si chiedono dove stia andando la scienza economica. E’ una domanda che di solito ci si chiede o si pone nei momenti di crisi.

Purtroppo nella vita quotidiana riscontriamo, nostro malgrado, che i nostri governanti (più che i “vizi” comportamentali di alcuni economisti) dimenticano o ignorano come funziona il mercato, comportandosi di conseguenza in modo freddo e meccanico, tradendo la fiducia degli operatori economici e non solo, calpestando il dialogo e la fiducia. A questo punto ci viene spontaneo citare William Hazlitt che così tuonava: “L’astuzia è l’arte di celare i nostri difetti e di scoprire le debolezze degli altri”.

Nei prossimi numeri contribuiremo a dare una risposta. Almeno speriamo.

Salvatore G.Blasco
Economista




Dolce Natale a tutti voi!




SE N’È ANDATA FRANCESCA GAROFALO TURLÀ, UN SOGGETTO ESEMPLARE

Due settimane fa si è spenta, all’età di ottanta anni, Francesca Garofalo vedova Turlà. C’è nel mio intimo un ricordo di lei così vivo e così speciale che sento il dovere di condividere.

L’ultima volta che l’avevo vista, il 10 agosto scorso al teatro di Cava Pietra Franco, aveva un aspetto un po’ provato, era pallida, appariva stanca, e poiché quella sera non ebbi modo di comunicare direttamente con lei, pensai tra me che fosse da attribuirsi all’effetto della calura estiva su un corpo anziano. Credo fosse proprio così.

Mi rammarico comunque di non avere potuto cogliere, quella sera, l’occasione di scambio comunicativo, quella consueta conversazione che ogni volta era, per me, occasione di arricchimento e di stupore. Confesso che mi succede raramente di uscire arricchita da un dialogo, con lei mi succedeva sempre, il discorrere con Francesca mi caricava di stupore, di bellezza, d’incanto, di meraviglia e spesso di ammirazione; non c’era niente di artefatto o di erudito nelle sue affermazioni, c’èra solamente autenticità, forza, coraggio, virilità rivestita di umiltà. Conversare con lei era un volare alto!

Qualunque fosse l’argomento di conversazione l’arricchimento che mi trasmetteva proveniva da saggia riflessione sulla cosa. Lo stupore me lo suscitava l’originalità del contributo, aggiungeva sempre qualcosa a cui non avevo pensato, metteva in luce un aspetto su cui non mi ero soffermata.

Per evitare che quanto affermo sembri retorica lode gratuita, porto un esempio: quando il teatro di Cava Pietra Franco fu ultimato mi venne spontaneo congratularmi per la scelta del sito, sottolineando la suggestione che emanava dalla luce riflessa sulla pietra scavata e Francesca aggiunse: “questo teatro vuole essere un monumento a coloro che hanno speso la vita in estenuanti fatiche a ritagliare questa  pietra, perché succede che tutti ci soffermiamo sulle statue, sugli artefatti, lodiamo l’artista, ma nessuno pensa a quegli  esseri che si sono rotti la schiena per tirare fuori il blocco di pietra”.  Questa dedica e questa sottolineatura mi giunsero al cuore come un colpo di lama. Per giorni ci pensai sopra, meditai sulla dedica alle persone umili ed anonime, meditai sull’attaccamento di Francesca alla sua gente, alle sue origini, alla sua terra.

Francesca Garofalo era una donna di esemplare intelligenza, di esemplare capacità elaborativa ed espressiva, sapeva porgere sulle cose, sempre, un concetto essenziale, distillato, depurato da fronzoli, sapeva, in ogni occasione, porgere concetti rari, perle pescate dove nessuno guardava. Era capace di profonda riflessione, di attenta osservazione e meditazione sull’essenza della vita e del vivere.

Chi l’ha seguita sul crinale dell’aspetto religioso sostiene che ha vissuto una fede senza fronzoli, chi, come me, l’ha osservata sul crinale del vivere civile ne ha potuto constatare la resistenza tenace in una battaglia senza armi, condotta con coerenza e con dignità.

Si è mantenuta nelle sue posizioni senza dimenticare le sue origini, con lucidità e spirito critico ha constatato prevaricazioni e fatto i conti con il cinismo e l’opportunismo dei tanti che predicano bene e razzolano male. Ha tenuto la testa alta ed è andata avanti in silenzio, senza strillare, ma senza desistere.

Nel 1993, in occasione della pubblicazione redatta da Ercole Ongaro “Una donna, la terra e la mafia”, che narrava la vicenda della sua resistenza civile contro i poteri (economici, burocratici, civili, con la latitanza di quelli religiosi) che si erano opposti alla sua volontà di occuparsi direttamente delle tenute lasciatele dal marito prematuramente scomparso, la Consulta Femminile, organismo di cui allora facevo parte, decise di incontrarla; lei con il suo consueto modo di distillare l’essenza delle cose esordì nell’assemblea dicendo: “Il patriarcato è un aspetto della mafia”.

Poi argomentò la sua tesi raccontando aneddoti che la riguardavano, ogni aneddoto un paradigma dell’assioma da lei profferito, uno per tutti: una donna compra pellicce, non capi di bestiame. Proveniva dal direttore della Banca a cui si era rivolta per ottenere un prestito (avendone le dovute garanzie di copertura) che le consentisse di sviluppare l’azienda.

Poi, su iniziativa della Consulta Femminile, aveva accettato di buon grado di partecipare a delle assemblee nelle scuole, per portare presso i giovani la sua testimonianza d’impegno contro quell’aspetto della mafia che tenta di uccidere con il veleno a goccia lenta della sordità, delle omissioni, dei suggerimenti velati, dell’immobilismo di fronte alla rivendicazione di un diritto. Francesca esponeva con semplicità le vicende affinché le ragazze potessero prenderne esperienza, esempio, consapevole dell’indispensabilità dell’azione culturale sulla coscienza integra delle ragazze vittime inconsapevoli di un’educazione che le induce alla subalternità.

Nonostante le difficoltà incontrate nel suo cammino, pioneristico, di soggetto consapevole dei suoi diritti da affermare in un mondo che, con le armi della denigrazione, dell’oltraggio, della delazione, della negazione, le opponeva un muro di gomma per farla desistere, lei non si è fermata, si è cimentata in tante imprese, l’ultima, insieme ai figli Bartolo ed Elisa, il succitato monumento agli operai estrattori di pietra dalle cave, il magnifico teatro e ristorante posto sulla collina dell’Idria in uno scenario da mozzare il fiato per lo squarcio cui espone l’occhio del frequentatore, sia esso residente o turista.

Lascia a tutti noi un’eredità d’esempio che va onorata, le siamo grati per questo. Adesso è giusto che finalmente riposi in pace.

Carmela Giannì

 




Fabulas (di Sascia Coron)

Inania

Sin dall’età del bronzo gli abitanti del sito erano stati abili nel realizzare opere d’arte, visto che le stagioni perfette, il clima ideale e la fertilità del suolo, avevano loro concesso molto tempo libero da dedicare al lavoro intellettuale di osservazione, sperimentazione e ricerca. La fatica di procurarsi il cibo era minima e non assorbiva la totalità delle energie delle tribù giunte da ogni parte dei continenti circostanti.

Un piccolo popolo di rozzi pecorari aveva cominciato a far guerre fino a conquistare tutti i residenti della penisola. Che fossero pecorari si capiva anche dal nome che davano alla moneta: pecunia, da pecus che vuol dire pecora.

Quei pastori, oltre ad essere forti, erano anche intelligenti. Dei conquistati prendevano le donne, che sposavano, e le abilità artistiche. Col tempo fondarono un impero che, raggiunto il massimo splendore, cominciò a decadere. Alla fine rimasero alcune genti, culturalmente incompatibili, che i loro sovrani vollero raggruppare in un sol popolo per motivi geografici e di potere. Il più misero dei Re, per misteriose ragioni, prevalse su tutti gli altri e diede il nome alla nuova patria e lustro alla sua casata di caprai, fagocitando il merito d’imprese altrui.

Stufi di soggiacere a un monarca indegno, i cittadini di Inania lo scacciarono e scelsero d’imprigionarsi in una Repubblica.

L’introduzione della Repubblica fu così devastante che ben presto gli abitanti vollero un governo democratico con diritto di voto indifferenziato. Ormai nessuno ricordava l’osservazione di Platone per cui la Democrazia è l’ultimo stadio di degenerazione dello Stato in conseguenza della quale un Dittatore avrebbe facilmente conquistato il potere poiché, quando il bene preteso dal singolo non coincide più con il bene comune, prevale sempre il più forte, che non è il più adatto secondo le leggi della natura.

Infatti, introdotta la democrazia, ogni persona poteva gareggiare per reggere lo Stato, purché riuscisse a persuadere la maggioranza che ne era capace. Solo il potere della convinzione poteva portare al potere dell’amministrazione ed alla sua responsabilità. Il concetto era impeccabile, ma la sua pratica fu disastrosa. In pratica, tutto il paese di Inania fu teatro di scontri indecenti per accedere al governo e, essendo il denaro l’argomento più convincente, governarono coloro che erano capaci d’accumulare più ricchezze. Null’altro sapevano fare costoro che far soldi e venivano ammirati per questa abilità, soprattutto dai tanti servi che compravano e dalle molte donne che mantenevano.

Essi presero a manipolare il popolo per modificare le leggi, in apparenza a suo favore, e invece per crearvi inghippi che giovassero ai loro guadagni. Ed ebbero buon gioco poiché, col tempo, il popolo si era riunito in gruppi, pensando che coloro i quali condividevano le stesse idee sul modo di governare dovessero stare dalla stessa parte e che, diventando più numerosi, avrebbero avuto più peso. In realtà questo li divideva perché ogni fazione aveva una sua opinione che, essendo senza alcun dubbio la sola giusta, pretendeva che prevalesse sulle altre. In conclusione, le varie correnti s’affannavano a contrastarsi l’una con l’altra, senza avvedersi d’avere per padroni dei ricchi epuloni.

Quando se n’accorsero, i cittadini di Inania, detti inani, si abbandonarono al più bieco individualismo, dimenticando quello che erano stati i loro antenati e le loro opere che lasciarono andare in malora perché l’arte non si mangia. L’esercizio di rimozione del passato fu così pesante che non ricordavano più nemmeno quello che era accaduto il giorno prima.

Di tutti coloro che li avevano assoggettati, una sola cosa rimaneva nella loro memoria, fissa e dominante: i vari tipi e gradi di corruzione con cui i governanti avevano raggiunto e mantenuto il potere di soggiogarli. Impostata quindi l’equazione Corruzione uguale Potere, ciascuno s’affannava a farsi corrompere per poter corrompere.

Del resto non ci voleva una particolare sagacia per osservare che chi aveva soldi li aumentava corrompendo chi ne aveva pochi e il corrotto otteneva un fuori busta, maggiore della paga guadagnata con l’onesto lavoro.

L’onestà divenne una malattia endemica che colpiva il cervello dei galantuomini, sicché la società si divise in furbi e imbecilli. Gli intelligenti vennero mandati al confino come pericolosi arruffapopoli. Presi dallo sconforto, alcuni preferirono emigrare prima di venire condotti in ceppi ad espiare la colpa d’avere un ingegno funzionante.

La corruzione divenne la norma e l’avere con quel mezzo un modo d’essere. Essa dilagò a tal punto che divenne l’unico fine dell’agire. Divenne il brodo primordiale al di fuori del quale non era possibile lo sviluppo e il progresso di una qualsiasi forma di vita.

I furbi, per prevalere, avevano bisogno d’un capo e gli imbecilli, per aver voce, avevano bisogno di un duce. Ogni tanto osannavano un capobranco svelto di parola perché facesse le funzioni di capo e di duce, ma durava lo spazio d’un mattino.

L’infinita quantità delle leggi assurde, l’elefantiasi della burocrazia, favoriva il moltiplicarsi dei veti incrociati dei furbi che, per esserlo, se ne fregavano altamente di quel avrebbero causato le loro decisioni, mentre gli imbecilli, per esserlo, non sapevano quel che si facevano.

A quel punto, scese in campo un predone ricchissimo che patteggiò coi furbi di blandire il popolo con promesse che li avrebbero resi ancor più scaltri e ricchi a scapito dei minchioni gabbati. Ma anche il suo tempo passò, senza lasciare eredi.

Alcuni imbecilli provarono ad imitarlo ma, non avendo la stoffa del vero malfattore, fallirono miserabilmente, anche perché misuravano la realtà col metro della loro stupidaggine e gravavano con assurdi balzelli il popolo ormai ridotto alla fame.

Gli inani scelsero di non ratificare col voto i deputati scelti da furbi ed imbecilli, temporaneamente al potere, per rappresentare le esigenze del popolo.

Anche l’astensione non ebbe alcun effetto. Le tasse aumentarono per aumentare il bottino dei ladri che perfezionarono i metodi di corruzione a tali livelli di raffinatezza da indurre a credere che la corruzione fosse un farmaco miracoloso capace di far diventare intelligenti i furbi e assennati gli imbecilli.

Posto di fronte a simili portenti, il mondo stupì e volle imitare il made in Inania. Fu così che s’estinse la tigre siberiana, la scimmia del Borneo, l’orso marsicano, la megattera, la foca monaca e tutte le specie di mammiferi liberi in equilibrio con la natura.

L’uomo squilibrato, convinto di potersi moltiplicare all’infinito, distrusse la terra distruggendosi.

In tutto il pianeta sconvolto, dentro una piccola nicchia sconosciuta dalla maggioranza, di tutta la specie umana sopravvissero alcuni selvaggi anarchici che sostenevano da sempre che la natura poneva nel cuore di ogni essere vivente le sue leggi e che l’uomo doveva obbedire al suo cuore.

Solo questi zotici si salvarono per la loro costante convinzione che bisogna rispettare la natura e vivere in armonia con essa, insegnando a capirla ai bambini ancor prima che divenissero adulti e che solo in questo modo, dopo aver adempiuto completamente tutti i doveri che ciò comportava, si conquistava il diritto di riceverne i doni.

Onestamente nessuno sa se, quando crebbero e si moltiplicarono, essi rispettassero i principi per i quali s’erano salvati, ma non si ha motivo di nutrire false speranze.

Già fra i miti di un remoto passato, secondo un libro immeritatamente famoso, si raccontava della sperimentazione di un nuovo inizio fragorosamente andato a male.

Sascia Coron

 

 

 




Lettera al Direttore

Alcune settimane fa c’è stata la vergognosa assoluzione, da parte dei giudici per gli imputati del cosiddetto processo eternit, in quanto prima di questo processo ce ne era stato un altro in cui non c’è stata nessuna condanna di persone, ma il pagamento di un risarcimento di alcuni milioni di euro che potevano riscuotere sia il comune di Casale Monferrato e sia il comitato dei familiari (costituitisi parte civile), con l’impegno di fermarsi e di non continuare più la lotta contro l’eternit, ma siccome questi soldi sono stati rifiutati sia dal comune e sia dal comitato dei familiari, si possono appellare a questa ignobile e vergognosa sentenza, che non ha nemmeno rispettato la memoria dei lavoratori che non ci sono più; ma il governo italiano e i sindacati che rappresentavano una buona parte di questi lavoratori, per questa sentenza non si son fatti ne freddi ne caldi, per loro come nulla fosse successo.

L’Italia è la nazione che ha ricevuto e continua a ricevere molte industrie e fabbriche anche delle multinazionali, rifiutate in altri stati perché riconosciute fortemente inquinanti e pericolose; invece, da noi vengono accettate con il tacito benestare  dei nostri governanti. Questi signori, dopo aver guadagnato dei quattrini sfruttando al massimo gl’impianti, smantellano tutto lasciando il suolo italiano inquinato dalle Alpi alle isole da questo micidiale prodotto (eternit) che troviamo tuttora negli edifici scolastici e in molti edifici pubblici.

Lo stesso è stato fatto tempo fa con la diossina di Seveso e altre fabbriche simili. E lo Stato italiano non ha chiesto a queste industrie nessun risarcimento sia per le perdite dei lavoratori e sia per il deturpamento del nostro suolo. Tanto per loro i lavoratori sono un numero inutile e perciò non hanno nessun posto nella società; per quanto riguarda invece il suolo, dopo ci saranno degli stanziamenti per bonificare le aree inquinate, e buona parte dei soldi degli stanziamenti vanno a finire nelle loro tasche, rimanendo le aree da bonificare… come si è verificato ultimamente in molte zone del nostro territorio italiano.

Nulla può cambiare fin quando ci saranno politici indagati che non vengono processati e condannati come meritano, non gli vengono sequestrati i beni che hanno accumulato con le tangenti e contemporaneamente facciamo loro percepire lo stipendio.

In questo modo l’Italia non può mai uscire da questa viziosa spirale, da molti anni martoriata da questa tangentopoli, senza che ci sia nessuno capace di mettere fine a questa vergognosa corruzione.

Distinti saluti

Giovanni Amore




L’editoriale di Luisa Montù

DAGLI ALL’UNTORE!

Molti si appassionano alla cronaca nera, specie quando riguarda l’omicidio di un bambino, come nel recente caso di Loris. Molti considerano quest’interesse morboso e se ne indignano, ma poi non riescono a staccare gli occhi dai notiziari o dai talk show che affrontano quest’argomento. Sono proprio questi i casi in cui si rischiano i maggiori errori giudiziari, perché la pressione mediatica costringe gli inquirenti ad affrettare il loro lavoro e a non svolgerlo con la necessaria serenità, per cui la necessità di trovare al più presto un colpevole finisce per prevalere sull’analisi ponderata delle prove. Ecco, cancella quella serenità indispensabile per valutare gli elementi di cui si è a conoscenza nel modo più corretto. Se l’errore fa sempre parte della natura umana, l’operare sotto pressione ingigantisce la possibilità di incorrervi. Se in tutti noi prevalesse la coscienza civica sulla vanità di mostrare quanto siamo bravi perché diamo una notizia qualche minuto prima di quanto faccia un’altra testata, se tenessimo sempre presente che la nostra professione è quella di informare sui fatti e non di imbonire i lettori, aiuteremmo gli inquirenti a lavorare come devono e come sanno e probabilmente qualche tragedia si potrebbe evitare.

Abbiamo la netta impressione che, nel caso di Loris, si sia frettolosamente cercato qualcuno cui accollare la colpa (cosa purtroppo abituale in queste situazioni) e siano bastati pochi indizi per decidere la colpevolezza di una persona. Di una madre! Andiamoci piano, per favore.

Certo, colui che è chiamato a dare una risposta non può non restare in qualche modo influenzato dalla folla inferocita che inveisce chiedendo la pena di morte per una convinzione che si è fatta non certo in base a prove constatate ma solo per la rabbia del momento, per una reazione all’impotenza che ci si sente dentro davanti a una tragedia come questa, specie quando la vittima è un bambino. Forse le riprese di questa folla si sarebbero potute evitare. Scene da Far West di cui tanti si sono vergognati.

Ancora una volta è caduta, e lo ha fatto in modo rovinoso e vergognoso, la presunzione d’innocenza fino a sentenza di colpevolezza passata in giudicato che è uno dei caposaldi della nostra giurisprudenza, della giurisprudenza di un paese convinto di essere civile.

Se tutto questo è già gravissimo, altrettanto grave è il rischio non solo di condannare un innocente, ma di lasciare impunito il colpevole. Chi sente placata la propria rabbia alla condanna, o al semplice arresto, di un presunto, ma non provato, responsabile di un orrendo omicidio non è molto diverso da chi lo commette: soddisfa la propria ira e non si cura davvero che giustizia sia fatta.

Ricordiamo che più passa il tempo più diventa difficile raccogliere le prove. Quelle che dovrebbero inchiodare la mamma di Loris ci sembrano piuttosto fragili, nonostante il tentativo di convincercene dei soliti noti che si presentano da esperti sul piccolo schermo, ma la folla è carica d’odio, ha bisogno di una vittima sacrificale e i media hanno saputo proporla con abilità.

Se un giorno si scoprisse che il vero colpevole è un altro, per esempio la persona il cui dna è stato trovato sotto le unghie del bambino, qualcuno sarebbe capace di provare rimorso? Temiamo di no.




Le ricette della strega (a cura di Adele Susino)

Ed è di nuovo Natale… nonostante tutto! Non è superficialità o mancanza di sensibilità se per qualche giorno cerchiamo di dimenticare le tragedie, la politica, la crisi e ci lasciamo coinvolgere  dall’atmosfera unica di questa importante festa! I problemi purtroppo restano, ma cerchiamo di guardare per un po’ con gli occhi puri, curiosi, semplici, vivi dei bambini, glielo dobbiamo!

Qualche suggerimento per i menù delle feste.

Da preparare il giorno prima del pranzo o della cena:

aspic con verdure e mazzancolle

fave a sale minuto

olive con la mollica

polpettine di baccalà con maionese di pomodoro

pasta al forno con carciofi

taboulè invernale

stinco di maiale glassato

anelli di calamari al forno

cous cous dolce

Fave a sale minuto

Ingredienti:

fava cottoia di Modica 1 kg, 1 mazzetto di finocchietto selvatico, 1 cipolla, q.b. di olio evo, aceto di vino rosso, sale, pepe nero, origano, caciocavallo stagionato

Preparazione:

lessare le fave in acqua aromatizzata con il finocchietto, salare a fine cottura. Appena tiepide condirle con aceto, olio, origano, pepe. Tritare finemente una cipolla rossa e aggiungerla al resto, mescolare bene e coprire. Prima di servire, regolare di sale, aggiungere, se necessario, un giro d’olio e il caciocavallo tagliato a cubetti.

Aspic

Ingredienti:

un cavolfiore, tre carote, un broccolo romanesco, 1 tazza di piselli surgelati, 1/2 tazza di fave verdi surgelate, una falda di peperone rosso grigliato, 2 zucchine verdi, 1 dado di gelatina, 500 ml di brodo vegetale limpido, il succo di un limone e di mezza arancia, 10 mazzancolle, q.b. di olio evo, sale, pepe, 1/2 bicchiere di vino bianco, timo e prezzemolo tritati

Preparazione:

dividere il broccolo e il cavolfiore in cimette, tagliare le carote a rondelle, la parte verde delle zucchine a bastoncini, il peperone a cubetti. Cuocere cavolfiore, broccolo, carote, piselli, fave e zucchine a vapore lasciandole al dente, ancora un po’ croccanti, farle raffreddare e condirle con olio, sale e pepe e le erbe tritate. Sciogliere il dado di gelatina nel brodo, unire il succo degli agrumi e fare raffreddare. In una padella caldissima fare saltare le mazzancolle sgusciate e sfumare con il vino. Si possono usare sia gli stampini monoporzione che uno stampo unico. Versare sul fondo dello stampo uno strato di gelatina e farlo rapprendere in frigorifero, poi inserire le verdure a strati alternando i colori e mettendo tra uno strato e l’altro qualche cucchiaio di gelatina completare con le mazzancolle, il resto della gelatina e mettere in frigorifero. Sfornare, guarnire con insalatina verde e servire.

Olive con la mollica

Ingredienti:

olive verdi in salamoia, cipolla, prezzemolo e menta freschi, mollica di pane raffermo, cipolla, olio, aceto, peperoncino, sale, zucchero, aglio

Preparazione:

snocciolare le olive, metterle in una insalatiera e condirle con il pane sbriciolato, la cipolla tritata l’aglio grattugiato, le erbe tritate e un’emulsione di olio evo, aceto, peperoncino, sale e zucchero. Se le olive sono molto salate evitare il sale. Il pane può essere anche tostato.

Polpettine di baccalà con maionese di pomodoro

Ingredienti:

1 kg di baccalà dissalato, 150 gr di mollica di pane, 3/4 uova, 100 gr di parmigiano, prezzemolo, basilico e aglio, olio, sale e paprika, 300 gr di pomodori, 2 cucchiaini di senape in polvere, 1 cucchiaino di erba cipollina, 1 cucchiaio di aceto bianco, il succo di un limone, q.b. di olio di semi di girasole e di sale, qualche goccia di tabasco

Preparazione:

lessare il pesce, spinarlo e metterlo nel mixer con la mollica, le erbe aromatiche, la paprika, 3 uova e il parmigiano, quando il composto è ben amalgamato, formare un panetto e metterlo a riposare per mezz’ora in frigorifero. Formare delle polpettine della grandezza di un’albicocca, passarle nel pangrattato e sistemarle in una teglia rivestita di carta forno, irrorare di olio evo e mettere in forno a 180/200° fino a doratura.

Privare i pomodori di buccia, semi e acqua di vegetazione, frullarli nel mixer con la senape, il sale e l’aceto, aggiungere l’olio a filo e, quando il composto è  montato, il succo di limone  e il tabasco. Servire le polpettine tiepide con accanto la maionese.

Pasta al forno con carciofi

Ingredienti:

500 gr di conchiglie, 4 carciofi, 1 cipollotto, 150 gr di prosciutto di Praga, 500 gr di besciamella, 50 gr di parmigiano, 150 gr di emmenthal, q.b. di olio evo, sale, pepe e prezzemolo tritato, una grattata di noce moscata

Preparazione:

Pulire i carciofi, ricavarne i cuori e affettarli. Tagliare il cipollotto e metterlo a stufare con l’olio, aggiungere i carciofi, condirli e farli cuocere il tempo necessario. Preparare la besciamella, aggiungere il parmigiano, la noce moscata e il prosciutto tagliato a listarelle. Cuocere la pasta, scolarla al dente, condirla con la besciamella, i carciofi e l’emmenthal tagliato a cubetti e sistemarla in una pirofila. Cuocere in forno a 200°fino a gratinatura.

Taboulè invernale

Ingredienti:

300 gr di bulgur, 2 cespi di indivia belga, 1 finocchio, 150 gr di cimette di cavolfiore, 150 gr di ceci lessati, 3 cucchiai di prezzemolo tritato, 3 cucchiai di menta fresca tritata, 3 cucchiai di gherigli di noci, i semi di una melagrana, 1 spicchio d’aglio, 4 cucchiai di aceto di mele,1 cucchiaino di cannella, 1 cucchiaino di coriandolo in polvere, q.b. di olio evo,1 cucchiaio di olio di sesamo,  succo di melagrana,  sale e pimento

Preparazione:

mettere a bagno il bulgur in acqua calda per mezz’ora, scolarlo bene e  metterlo in una capiente terrina, aggiungere tutte le verdure affettate finemente, i ceci, le erbe aromatiche e la melagrana.  Frullare l’aglio, l’aceto e gli altri ingredienti e condire con questa emulsione il bulgur con le verdure. Fare riposare un paio d’ore prima di servire.

Stinco di maiale glassato

Ingredienti:

4 stinchi di maiale, 1 cipolla di tropea, 1 spicchio d’aglio, rosmarino, ginepro, chiodi di garofano, zenzero, succo di ananas fresco, 1/2 litro di marsala secco, olio evo, sale, pepe, 2 cucchiai di senape all’antica, 2 cucchiai di miele, 1/2 kg di cipolline, 1 kg di patatine novelle

Preparazione:

lasciare per  per una notte gli stinchi in una marinata fatta con il succo di ananas e il marsala secco, sale, pepe, aglio, cipolla e gli aromi tritati. L’indomani, farli rosolare e metterli in una teglia con la marinata, infornare a 200° per un’ora, dopo aver coperto la teglia con un foglio di alluminio. Trascorso il tempo, glassare la carne con miele mescolato alla senape, aggiungere le cipolline e le patate e rimettere in forno per 30/40 minuti, se è necessario aggiungere del liquido unire del brodo leggero. A cottura ultimata sistemare la carne e le verdure nel piatto da portata, frullare il fondo di cottura e unirlo alla carne.

A parte servire un’insalata di ananas, arance, cipolla rossa e menta condita con olio e sale.

Anelli di calamari al forno

Ingredienti:

1 kg di calamari, 4 cucchiai di pangrattato, 2 cucchiai di parmigiano, un rametto di rosmarino, un cucchiaio di cocco grattugiato, 1/2 bicchiere di vino bianco, q.b. di olio evo, sale e pepe

Preparazione:

tagliare i calamari ad anelli e metterli a marinare per un’ora con il vino, il rosmarino tritato, sale e pepe. Mescolare il pangrattato con il parmigiano e il cocco, mescolarvi i calamari e sistemarli in teglia coperta di carta forno, irrorare con un filo d’olio e infornare a 180° per 20 minuti.

Couscous dolce preso in prestito dalle monache cistercensi di Agrigento

300 gr di couscous, 150 grammi di pistacchi siciliani, 100 gr di mandorle tostate, 50 gr di cioccolato fondente, 60 gr di zucchero a velo, 40 gr di miele, 1 cucchiaio d’olio, succo e zeste di un’arancia, 1 cucchiaino di cannella, un pizzico di chiodi di garofano, 1 cucchiaino d’acqua di fior d’arancio

Preparazione:

Mettere il couscous a bagno nell’acqua calda con le zeste d’arancia, un pizzico di sale e un cucchiaio d’olio. Tritare finemente le mandorle e i pistacchi, mescolare il miele con il succo d’arancia e l’acqua di fior d’arancio. Quando la semola ha assorbito tutto il liquido, condirla con l’emulsione di miele, aggiungere lo zucchero, i pistacchi e le mandorle e il cioccolato tritato finemente, unire le spezie e mescolare bene con due forchette per mantenere la semola ben sgranata. Guarnire con lamelle di mandorle e pistacchi e far riposare in frigorifero prima di servire.

Come abbinamento, consiglio un vino a tutto pasto, magari delle bollicine come: Milazzo brut metodo classico; De Bartoli Terzavia metodo classico; Gorghi tondi brut Palmarès; Benanti brut Noblesse metodo classico; Trento doc. Per i dolci: Recioto; moscato di Pantelleria; Ben ryè; Asti spumante.




FISCO E PREVIDENZA: CHIARIMENTI PER IL CITTADINO (a cura di Giovanni Bucchieri)

Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia e delle Finanze, giovedì 18 dicembre affermava che “la ripresa sarà debole nei prossimi trimestri, ma si rafforzerà”. Quindi, nonostante la grave crisi che stiamo attraversando si può ben sperare. Intanto la legge di stabilità nella notte tra venerdì 19 e sabato 20 dicembre è stata approvata dal Senato con 167 sì e 37 no, nessuno astenuto. Al solito, grande bagarre sul maxiemendamento presentato dal Governo, con un unico articolo e ben 755 commi.  C’è la conferma del bonus di 80 euro, l’abbattimento del cuneo, il Tfr in busta paga e la local tax rinviata al 2016. Nei prossimi giorni tratteremo in maniera più dettagliata la normativa approvata.

Vediamo ora alcune norme di natura fiscale, previdenziale ed assicurativa di interesse generale.

– Interessante il nuovo indirizzo dell’INAIL sui casi di infortunio in itinere. “Chi porta i figli a scuola resta tutelato dall’INAIL”. Infatti è previsto il risarcimento dell’infortunio capitato mentre si accompagna il figlio a scuola. Se il tragitto casa-lavoro è interrotto o deviato per la necessità familiare di dover portare un figlio a scuola, la tutela assicurativa dell’INAIL non s’interrompe ed il lavoratore ha diritto al risarcimento  come si trattasse di un infortunio in itinere.  Tutto questo è spiegato dalla stessa INAIL nella circolare n. 62/2014 con cui, finalmente, si cambia orientamento e si dispone l’applicazione del nuovo indirizzo sia ai futuri casi che a quelli non ancora chiusi.

– Dal primo gennaio 2015 entra in vigore il nuovo Isee. Con una precisazione del Ministero del Lavoro è stato detto che chi sta già beneficiando di prestazioni agevolate sulla base del vecchio indicatore non deve rinnovare la dichiarazione utilizzando le nuove regole all’inizio del 2015. Infatti potrà continuare ad usare il vecchio Isee fino alla naturale scadenza oppure fino al termine della prestazione. Comunque l’Inps con circolare n. 171 del 18 dicembre ha intanto fornito le prime indicazioni operative.

– Per chi dovrà andare in pensione: a partire dal primo gennaio 2016  si andrà in pensione quattro mesi più tardi. E’ questo l’effetto della cosiddetta “speranza di vita” calcolata dall’Istat ed ufficializzata nel decreto firmato il 16 dicembre scorso dai ministri del Lavoro e dell’Economia in attesa di pubblicazione sulla G.U.




LE PIANTE MILLENARIE, TESTIMONI MUTI DI UN’AGRICOLTURA DIMENTICATA

Il giorno 19 di questo mese si è realizzata una giornata informativa degli amici dell’agricoltura su: “L’attività vivaistica in serra per la produzione di piante arboree: il carrubo, opportunità per il territorio”. Uno spunto per parlare del carrubo e dei problemi connessi.

Questi incontri rientrano nei programmi di sviluppo rurale sostenuti dal Fondo Europeo per lo Sviluppo Rurale, dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e dall’Assessorato Regionale dell’Agricoltura e dello Sviluppo Rurale.

Un’iniziativa pregevole per sensibilizzare e informare chi sente il dovere di conoscere e promuovere iniziative produttive in una nuova agricoltura rivolta anche alla salvaguardia delle piante millenarie presenti nel territorio.

Completata la fase informativa con le relazioni di giovani esperti, la comitiva si è recata in visita ad alcune piante millenarie di carrubo, in contrada Favarotta, in territorio di Rosolini. La giornata, non tanto soleggiata, è stata benevola per certi versi, consentendo una passeggiata serena nei campi inerbiti.

Chi non è abituato alle escursioni campestri ha vissuto emozioni intense degne di un ricordo, per chi vive spesso a contatto con l’ambiente è stata l’occasione di aggiungere altri esemplari rari alla collezione di piante da salvare.

Se si pensa che queste piante di carrubo possono datare un’età di circa duemila anni, con l’approssimazione di qualche secolo, viene da pensare alla loro generosità verso l’uomo, malgrado la poca generosità e ricompensa proporzionale al loro ruolo multifunzionale.

Oggi gli ambientalisti le considerano un elemento paesaggistico del territorio ibleo e per gli esemplari millenari si parla di “monumenti” da perpetuare nei siti naturalistici.

Per gli agricoltori, vecchi proprietari, sono un ricordo familiare, mentre per i nuovi sono una presenza a basso rendimento da mantenere solo in osservanza alle normative di salvaguardia.

Per chi vive nella storia della natura queste piante millenarie sono dei testimoni muti di un’agricoltura dimenticata che deve essere ricordata a tutti gli amici di città per un dovere verso chi, generosamente, continua a donare, senza alcuna ricompensa e gratificazione. Pochi infatti sanno cosa sta dietro ai prodotti derivati, estratti dalla polpa e dai semi delle carrube.

La polpa, tostata e polverizzata, è entrata nelle dolcerie per la confezione di biscotti ed altro e nella ristorazione per piatti innovativi di discutibile accettazione.

Inoltre in mangimistica come regolatore digestivo, per il contenimento delle diarree dei lattonzoli e in farmaceutica per le enteriti infantili.

La farina del seme grezzo, estratta con un particolarissimo sistema molitorio, passa all’industria chimica per ottenere delle polveri addensanti (E 410), usate nell’industria conserviera, nella produzione di gelati, nella panificazione, ed altro.

Il seme è la parte più ricca del frutto che, con processi di chimica fine, oltre alla produzione di farine che hanno la proprietà di trattenere liquidi oltre cento volte il loro peso, trova rispondenza anche nella produzione di esplosivi di nuova generazione ed altro, con la riservatezza dei segreti militari.

Se andiamo ad analizzare il giro di affari che orbita intorno a questi nostri frutti, escludendo il settore erboristeria per le cortecce, radici e foglie, troviamo un tortuoso e misterioso itinerario i cui beneficiari sono i soliti furbi della società civile.

Il frutto grezzo viene commercializzato, in condizioni di monopolio, a un prezzo medio oscillante da venti a trenta centesimi  di euro al kg.

Molti accettori provvedono alla frantumazione delle carrube e alla selezione del seme e del frantumato con varia calibratura. Il seme grezzo ha una valutazione di mercato variabile da € 2,50 a 3,00, mentre la polpa, destinata alla mangimistica ordinaria, si mantiene quasi allo stesso prezzo delle carrube all’ingrosso con oscillazione relativa alle varie calibrature.

La polpa segue anche un processo di lavorazione industriale, con tostatura e molitura differenziata per la destinazione zootecnica, farmaceutica, dolciaria ed altro, con valutazioni che vanno da € 1,20 – 2,00 per la destinazione zootecnica, per quella dolciaria fine, da € 5,00 in poi, mentre per l’industria farmaceutica si viaggia con i tornaconti eccezionali.

Le farine di seme sono un mistero per tutti, ad eccezione della destinazione alla produzione dei gelati artigianali in cui i prodotti addensanti, al minuto, raggiungono prezzi di circa trenta euro al kg. L’elaborazione biochimica delle sostanze derivate dalle farine del seme rientrano in una moltitudine di sostanze estrattive di cui il cittadino conosce poco o niente. In ogni caso gli utili derivanti, nel complesso, da questo frutto sono considerevoli e i partecipanti sono solo gli uomini di città mentre agli uomini della campagna toccano solo le briciole. La materia prima vale trenta centesimi e il prodotto finito più nobile trenta euro.

Le piante vecchie, incapaci di produrre alla pari di quelle giovani, sono in pericolo e qualcuno deve salvaguardarle.  Le proposte e la sensibilità fanno timido capolino negli incontri di alcune categorie professionali, ma di disponibilità finanziarie non se ne parla affatto.

Queste poche piante millenarie rimarranno, sicuramente, nel ricordo di molti come testimoni muti di un’agricoltura diversa, ma siamo più convinti che sopravvivranno per benevolenza della civiltà contadina.

Abel