“Pigro pomeriggio di domenica”: così dolcemente cantavano tanti anni fa gli Small Faces in un album dalla splendida coloratissima copertina che si apriva come un quadrifoglio…
In questo pomeriggio festivo di relativo farniente c’è tempo per pensare e farsi qualche domanda sui fatti accaduti a Ferragosto.
Il primo pensiero va a quel povero bambino nato da una madre che, per alienazione mentale o perché succube del partner sadico, si è macchiata di crimini inutili e particolarmente odiosi. Al sentire comune fa orrore il fatto che sia stato sottratto alla mamma appena partorito, su ordine del giudice tutelare dei minori, per essere dichiarato adottabile, e fa veramente rabbia vedere il tira-e-molla giudiziario sul seguito della vicenda. Il Tribunale dei Minori ha avuto parecchi mesi per stabilire cosa potesse essere fatto per il bene di questa sfortunata creatura: l’altalena tra posizioni di estremo rigore e permessi di visita concessi alla spicciolata a madre e nonni, fa capire quanto la giustizia italiana arrivi sempre in ritardo e quanto sia influenzabile dalla morbosa canéa scatenata dai media. Non sapremo mai se avere vicino il figlio e poterlo allattare, sia pure in galera o in comunità, potrebbe aiutare la madre in un percorso di riabilitazione che, peraltro, pare improbabile, oppure se il meno peggio per il piccolo potrebbe essere l’affidamento ai nonni o l’adozione tout-court: di sicuro c’è che, comunque, prima o poi, inevitabilmente ed ingiustamente, questa società farà ricadere sulle spalle innocenti di questa creatura le colpe dei padri.
In seconda battuta arriva il funerale romano del capo di una sterminata famiglia sinti malavitosa e potente. Che a Roma la mafia tradizionale – quella siculo/calabrese/ napoletana, per intenderci – ci sia, è cosa nota da tempo: la si è lasciata fare per lassismo e comodità, in quanto assai meno invasiva del sistema tossicamente mafioso che abbiamo imparato a chiamare “Mafia Capitale”, elaborato da affaristi spietati e da politici collusi e corrotti, di ogni provenienza e di ogni colore. Con costoro, a parte la scelta di vivere disonestamente, la famiglia zingara, proprio per tradizione culturale estremamente chiusa alle infiltrazioni esterne, non ha granché da spartire: la banda che ha suonato le musiche scritte da Rota per il film sulla saga della famiglia di don Vito Corleone all’uscita del feretro dalla chiesa, è stato l’omaggio finale di figli, nipoti, parenti ed affini, per nobilitare l’estinto paragonandolo al Capo dei Capi, seppur soltanto letterario. I veri capi sono altra cosa …
In un vortice di un cattivo gusto assolutamente inusitato, la famiglia ha creduto di onorare le esequie del capo con enormi tazebao appesi sulla facciata della chiesa, dove il defunto appare biancovestito e quasi benedicente come un papa, con un carro funebre simil-barocco trainato da sei cavalli neri impennacchiati che pare uscito da un incubo di una Cenerentola strafatta, con dozzine di corone di fiori e centinaia di auto di extra lusso in corteo innaffiato da petali di rosa: la tradizione zingara esige che le cerimonie importanti siano imponenti e fastose!
L’aspetto veramente scandaloso sta nei permessi di lasciare gli arresti domiciliari concessi in tutta fretta per assistere alle esquie ai parenti detenuti, nell’elicottero che, senza alcun permesso, ha lasciato cadere, bontà sua, solo innocui petali, nell’arrivo a Roma da Napoli della carrozza a cavalli accompagnata alla chiesa da vigili urbani e seguita da una pattuglia di agenti addetti alla rimozione dei profumati lasciti della pariglia, nel corteo non autorizzato che ha paralizzato mezza città: tutto ciò senza che nessuno, ufficialmente, ne sapesse nulla! Caduto dalle nuvole il parroco della chiesa che negò il funerale a Piergiorgio Welby, così come il Commissariato di PS di zona, i vigili urbani e, salendo sempre più su, Questura, Prefettura, Comune, Vescovado, Ministero degli Interni e Quirinale! Sì, perché adesso si è scatenato il solito osceno balletto dello scaricabarile e il consueto vomitoso, urlante, richiedere le dimissioni di tutti. Sbeffeggiati ancora una volta dal mondo intero grazie al web, non ci resta che meditare su come ipotizzare la salvezza di un paese dove un boss della Banda della Magliana ha riposato indisturbato per anni in un sepolcro marmoreo in una chiesa, dove un elicottero o un drone possono tranquillamente lasciar cadere bombe o irrorare gas nervini, dove nessuno è mai responsabile, dove nessuno mai paga o risarcisce.
Mentre la Cina, che non cresce più come prima, getta nel panico le Borse svalutando a ripetizione lo yuan, la Germania “aiuta” la Grecia comprando quattordici aeroporti – il Pireo è già andato! – e Tzipras si dimette. Veniamo a sapere che si può tranquillamente salire sul TGV con un fucile mitragliatore ed altre armi “trovate per caso in un campo in Belgio” e che un vecchio archeologo, studioso conosciuto in tutto il mondo, dopo un’intera vita dedicata alla città di Palmira e colpevole per averne nascosto in luogo sicuro centinaia di reperti di inestimabile valore, al fine di sottrarli alla distruzione sistematica praticata dall’ISIS, è stato da questi barbari rapito, torturato e sgozzato sulla pubblica piazza, con l’orrore finale del cadavere appeso a una colonna!
Ma su tutto, quello che più lascia sgomenti per il senso di totale impotenza nei confronti del fenomeno, è il vedere la massa di profughi accampata senza nessun soccorso nella terra di nessuno tra Grecia e Macedonia, e le dozzine di carrette e di gommoni stracarichi di migranti in mano a schifosi trafficanti, che continuano a sfidare il mare: pur di fuggire dalla propria terra sconvolta dalla fame e dalla guerra, questa gente preferisce correre qualunque rischio e pagare qualunque prezzo, anche con la vita, pur di avere, o di dare ai propri figli, la chance di un futuro.
Davanti a questa tragedia epocale la sola risposta che sappiamo dare è la costruzione di barriere: muri, reticolati, polizia ed eserciti, menzogne e odio razziale.
Vergogna!
Lavinia P.