Ogni giorno la cronaca riporta episodi sempre più sconcertanti di malversazioni, concussioni, peculato, corruzione e quant’altro ricada nel malaffare, operato da pubblici servitori dello Stato furbastri a vantaggio proprio e dei propri parenti, amici o sodali, e in danno e spregio dello Stato che pure rappresentano e che li mantiene, cioè di tutti noi, popolo italiano.
A chi ritienga tutto ciò un malanno passeggero del nostro Paese, dedichiamo la descrizione che, nella sua Cronica, Dino Compagni fa dei Priori delle Arti di Firenze:
«Se l’amico o il parente loro cadea nelle pene, procuravano con le signorie e con li uficiali a nascondere le loro colpe, acciò che rimanessono impuniti. Né l’avere del Comune non guardavano, anzi trovavano modo come meglio il potessono rubare».
Correva l’anno 1282. Quello che rovina noi italiani non è il male in sé. Sono le ricadute.
Ringraziamo la Società Dante Alighieri per questa calzante citazione di antico, atavico, sempiterno malcostume, ricevuta per e-mail.
ldnp