i gemelli impossibili
capitolo quarto
Sul letto di morte mio padre Nara (Uomo) il Grande, si congedò da me dicendomi:
“Figlio mio, ti lascio un grande regno che si estende dal mare alla gola di Patatrin (Uccello). Tu sei un magnifico guerriero, ma non essere ingordo. Non sacrificare il tuo popolo per fare altre conquiste. Io l’ho fatto e mi pento di avere condotto guerre scellerate che hanno ridotto il mio esercito a numeri così esigui di armati da renderti difficile difendere il trono in caso di attacchi nemici. Ormai ti sono rimasti donne e bambini e gli uomini superstiti sono per lo più commercianti e contadini che non potresti schierare in battaglia. Ti lascio grandi ricchezze e potresti assoldare molti armati. Ma non ti fidare di mercenari. Chi rischia la vita per denaro la vende al maggiore offerente e non saprai mai, prima di essere tradito, se tu lo sei.
Cerca di conquistare il cuore delle donne perché ne avrai ricca prole e terre in dono dai loro padri. Ma stai attento. Temi l’ira del mite più d’ogni altra cosa, e le donne sono miti più d’ogni altro essere vivente.
Onora gli dei, i tuoi ed anche quelli degli altri, perché nel nome dei loro dei gli uomini si scannano senza motivo alcuno.
E’ giunto il mio tempo. Accendi con le tue mani la mia pira. Trascendi le consuetudini e accetta la volontà delle mie mogli. Quelle che non sceglieranno spontaneamente di seguirmi nel rogo, rimandale ai parenti, più ricche di quando sono venute a nozze con me. Congeda i loro figli, tuoi fratellastri, perché essi possano tornare ai loro regni e tu abbia il diritto di godere della loro amicizia, senza invidia alcuna.
Butta le mie ceneri nel mare perché nessuno possa venerare di me altro che il ricordo delle mie parole. Spero che quelle rimaste nella memoria sembrino sagge e che tu voglia conservarle come la sola vera mia eredità”.
Questo mi disse mio padre morendo e penso che ci credesse davvero. Io sicuramente le reputai ispirate e divenni un grande amatore.
Allora ero giovane e non mi mancavano le forze fisiche per dedicarmi con fervore agli impegni presi. Ad essere proprio obiettivi, senza vanto alcuno, devo dire che conquistavo il favore delle donne, ma solo di quelle delle quali ero innamorato e non smettevo di onorarle neanche quando svaniva la grande passione.
Persino oltre ai confini del mio regno si sparse la voce del giovane mahārāja che sapeva appagare le donne, e la diceria giunse alle orecchie della figlia del mio più potente nemico.
Oltre la gola di Patatrin, sorge il regno di Bala (Forza o, precisamente, Cornacchia). Un regno sterminato il cui solo confine conosciuto era quello con il mio, protetto dall’invalicabile catena montuosa di Acalaucca (Montealto) il cui unico varco possibile per oltrepassarla era il passo di Patatrin, inaccessibile per neve e ghiaccio almeno sei mesi l’anno.
Mio padre aveva fatto guerra a tutti i vicini, conquistandone i territori, ma non aveva mai pensato di levare le armi contro Bala. Eppure odiava con tutte le sue forze quel maledetto strozzino che gli dissanguava le casse del regno per cedergli gli alberi e il legno per costruire le navi con le quali manteneva il controllo del mare e le sue ricchezze. Quel vilissimo re se n’approfittava di avere solo lui legno adatto a far navi robuste per i commerci e le guerre, e sfruttava proditoriamente un bene che non poteva possedere, le foreste, per prosperare a dispetto degli uomini e degli dei.
Ma quella brutta cornacchia di Bala il Malvagio una cosa aveva fatto in tutta la sua vita di una bellezza e di una bontà così straordinarie che, per lei, gli veniva perdonato quasi tutto: sua figlia Prabhā (Luce).
Non che Bala non avesse altri figli e l’erede al trono designato. Il fatto è che, senza l’intercessione di Prabhā, sarebbe stato inviso ad uomini e dei, e senza i suoi consigli avrebbe brancolato nel buio.
Giunto il tempo che Prabhā prendesse marito, tutti si sentirono imbarazzati dalla scelta, perché nemmeno fra i suoi fratelli era possibile trovare un uomo che fosse degno di lei.
Fu allora che alla principessa giunse la mia nomea e si impuntò a conoscermi.
La cosa apparve subito inaccettabile. Non solo era escluso che la principessa si accasasse con un principe che non fosse figlio di un re vassallo del padre Bala, ma che addirittura volesse conoscere il suo peggior nemico era pura follia. Luce non poteva essere così cieca. Voler conoscere l’antagonista del padre mostrava il massimo dello spregio per ogni regola di buon senso.
Cosa sarebbe accaduto se, una volta invitato, il figlio di Nara il Grande avesse corteggiato Prabhā? Con la fama che lo precedeva non era difficile immaginare che Vardhana sarebbe stato preso dal fascino di una donna che faceva innamorare di sé financo i bambini.
Con la fama di cui godeva Prabhā, era impossibile immaginare che ella avrebbe rifiutato la corte di Vardhana? Una guerra per un simile affronto sarebbe stata l’unico atto prevedibile. E se, peggio ancora, Vardhana avesse chiesto la mano di Prabhā ed ella avesse accettato di sposarlo, quale sarebbe stata la giusta dote? Quali territori assegnargli? E non avrebbe forse chiesto, quell’ingordo marinaio, legno per le sue navi? E che fine avrebbe fatto Bala, privato della sua più importante fonte di reddito?
Prabhā dissolse ogni dubbio chiarendo che la visita del re confinante poteva restare un fatto personale, una cortesia fra loro due, un gesto di pace.
Non era indispensabile propalare ai quattro venti che Prabhā cercava marito. Il massimo che il regno ci avrebbe rimesso sarebbe stato alla fin fine un ricco carico di legname per barche, da donare al regnante nemico per lo scomodo del viaggio.
Abbattuta una piccola foresta e preparato il legno di tutto punto, si inviarono i messi al mahārāja.
Questo, naturalmente, lo seppi molto dopo. Per non sapere di tali maneggi, una mattina ebbi la sorpresa di trovarmi davanti due figuri vestiti stranamente, ma in pompa magna che, dopo gli inchini rituali, mi porsero un cartiglio profumato di colore rosso. In esso lessi:
“Nobilissimo Signore e Grande Mahārāja Padrone del mare, mi è giunta all’orecchio la tua fama e vorrei comprenderne il senso.
So che i rapporti fra i nostri genitori non sono stati dei migliori ma, ora che sei re, confido che la tua magnanimità superi ogni ostacolo e che tu voglia venire a trovare colei che è speranzosa di convincerti di come non possa esistere alcun motivo per il quale noi due dobbiamo considerarci nemici.
Se vorrai accettare il mio invito, mi troverai ad accoglierti con una scorta disarmata al varco di Patatrin.
Se ti vedrò giungere al passo di confine fra il tuo regno e quello di mio padre, capirò di avere la fortuna di incontrare l’uomo più coraggioso che potrei mai trovare ed il più ammirevole. Infatti, se dovessi vederti, saprei che non temi di essere fatto prigioniero, perché ti sei fidato della mia parola. Da nessuno ho mai ricevuto una simile considerazione ed un così grande onore.
Se ti dovessi vedere, saprò che hai sfidato la morte per la promessa di una donna.
Mi accamperò alle gole di Patatrin e ti aspetterò sin quando verrai, perché il cuore mi dice che tu verrai.
Al nostro incontro, quando potrò gioire contemplando la tua gloria!”.
Il biglietto era firmato:
“Prabhā, figlia di Bala il Possente, principessa del regno di Arjunacakanaka (Argentoeoro)”.
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Nara – sm. nara (gr. anēr) = uomo; maschio; persona; marito; eroe; primo uomo o spirito eterno che pervade l’universo.
Pdf – Nara il Grande, padre di Vardhana, è il fondatore del regno di Pūtamajala. Non conosciamo il nome della madre di Vardhana, né il motivo per il quale egli non avesse altri fratelli, ma solo fratellastri. Sul caso, ogni ipotesi è lecita.
Patatrin – sm. patatrin = uccello; cavallo nel sacrificio Ashvamedha; agg. alato; pennuto; volante.
Nf – Le gole di Patatrin sono l’unico valico nella catena montuosa di Acalaucca che collega i regni di Arjunacakanaka e Pūtamajala.
Bala – Come sn. (si converrà che il neutro è inadatto ad un maschio, per di più re) bala = potere; forza; potenza; vigore; validità. Come sm. bala = cornacchia. Bala è anche il nome di un demone vinto da Indra, il re vedico degli dei Deva.
Pdf – Bala, mahārāja del regno di Arjunacakanaka, è padre di Prabhā e di Vijaya che gli succede al trono.
Acalaucca – (Acala-ucca). Parola composta da: sm. acala = montagna + agg. ucca = alto. Significato, Montagna alta.
Nf – Nome della catena di monti che segna il confine fra i regni di Arjunacakanaka e Pūtamajala.
Prabhā – sf. prabhā = luce; splendore; bella apparenza.
Pdf – Prabhā è la figlia di Bala, mahārāja di Arjunacakanaka. Per le sue doti eccezionali, benché fosse una principessa, si era già guadagnato l’appellativo di Regina (Rājnī di Arjunacakanaka). Prabhā è la madre di Shabda.
Arjunacakanaka – (Arjuna-ca-kanaka). Parola composta da sn. arjuna = argento + ca = e congiunzione (gr. kaí); sia; anche; inoltre; (come agg. = puro) + sn. kanaka = oro. Significato, Argento e oro, oppure Argento puro oro.
Nf – Nome del regno di Bala, passato a Vijaya e poi a Shipi.
capitolo quinto
Gli dei ascoltavano Vardhana con grande attenzione e dalla selva non giungeva alcun rumore sicché egli s’immaginò che quello spiazzo erboso fosse un cerchio magico dentro al quale loro tre rimanevano sospesi nel tempo, isolati dal mondo. Continuò così la sua storia.
La lettera mi mise in grande confusione. Se la principessa avesse voluto tendermi una trappola, aveva trovato tutti gli argomenti giusti per farmici cadere. Del resto nessun maschio, nemmeno un mahāmuni (grande saggio), era capace di sottigliezze d’argomenti pari a quelle di una donna qualsiasi. La missiva rivelava che Prabhā non era una donna qualunque, ma una persona degna della sua fulgida fama.
Per più di una settimana la mia mente sfogliò la margherita del dubbio. Andare o non andare? L’ultimo petalo del fiore mi disse di andare ed io volli obbedirgli.
Formai una scorta di centocinquanta guerrieri, dei migliori fra i miei amici personali, perché con una donna la prudenza non è mai troppa. Nominai nel frattempo viceré il più saggio dei miei fratellastri. In caso di disgrazia, l’esercito avrebbe perso solo centocinquanta uomini, sia pure i più valorosi, ma si sarebbe salvato il regno anche dopo la mia morte.
Partiti di buon mattino, la sera ci fermammo a metà strada e, durante la notte dell’accampamento, fui ancora colto dal dubbio. Ma, se fossi tornato indietro, che figura avrei fatto con i miei uomini che avevo tanto faticosamente convinto a condividere con me un gesto d’inaudito coraggio?
Disfatto da una notte insonne, ripresi il cammino e a sera giungemmo in vista delle gole.
Ci accampammo una seconda notte che la stanchezza mi riempì di incubi, sino a quando non entrò nella mia tenda Kavaca (Corazza), il più fedele e caro dei miei guerrieri, pur essendo nato a Tarkso da cui molti dicevano che non poteva venire nulla di buono.
Con voce pacata, la faccia austera al lume rossastro delle torce, egli così mi disse:
“Mio re, da molti giorni vedo che è scomparsa in te ogni forma di allegria. Passi le notti insonne ad immaginare ogni aspetto possibile di un futuro che non ti è dato conoscere. Tu sei turbato dal pericolo di un inganno, non dall’inganno stesso, perché esso non è ancora avvenuto.
Tu sei capace di combattere impavido il male che ti colpisce, ma sembri incapace di resistere alla paura che il male possa colpirti. Questo non è da re. Un re sa che qualunque male può essere prevenuto e spende il suo regale potere per allontanarlo.
Tu, adesso, di cosa hai paura? Che la principessa t’inganni e ti faccia prigioniero.
Ora, per metterti in catene deve avere armati che sconfiggano le tue guardie, perché nemmeno la principessa, sia pur cosciente del potere della sua seduzione, può immaginare che un re si sposti senza scorta.
La tua seduttrice, per costringerti alla sua mercé, deve aver preso ogni precauzione ed avrà predisposto una truppa assai numerosa. Questa sarà alloggiata al di là del passo in un accampamento visibile per le sue luci.
Allora, manda le tue guide a vedere quanti sono i tuoi potenziali nemici e come sono armati. Questo è possibile con il favore delle tenebre. Quando ritorneranno e ti riferiranno quello che hanno visto, allora saprai con certezza e potrai giudicare se esiste davvero la trappola che ora così vanamente temi”.
Quando Kavaca smise di parlare, mi pentii di non averlo ancora fatto generale di corpo d’armata.
Inviai le mie spie in perlustrazione ed attesi ansiosamente il loro ritorno.
Alle prime luci dell’alba esse mi riferirono lietamente di aver visto un grande campo illuminato a festa, con gente che cantava e ballava, eccitata solo dalla concitazione del canto e del ballo.
Non avevano registrato ombra di armati e, se ce ne fossero stati, non erano nell’attendamento, ma acquattati senza fuochi sulle rocce della gola a pernottare al freddo, condizione da escludere persino se i militari fossero stati mercenari.
Rassicurato da queste notizie, levammo il campo e al terzo giorno, sotto la luce del Sole più smagliante, valicammo il passo.
A questo punto Pārvatī interruppe il racconto e, con un misterioso sorriso sulla bocca, chiese a Vardhana di descrivergli per filo e per segno come era fatta questa gola che unica interrompeva la catena dei monti Acalaucca, confine naturale invalicabile, posta a frontiera di due regni umani.
Vardhana fu talmente sorpreso dalla domanda e dal momento in cui essa gli veniva posta, che non seppe trattenersi dall’osservare come, da sempre, si sapesse che la catena e la gola esistevano per volontà ed intervento diretto dell’Asse del mondo Himavat, padre di Pārvatī e che lui, delle cose di casa sua, ne sapeva quindi meno della dea.
Allora quella, smesso ogni sorriso, con voce terribile gli ricordò che lui, povero mahārāja, non poteva presumere di sapere le cose divine e che i motivi di Pārvatī erano le ragioni di un dio e che la facesse finita e descrivesse il passo che, soltanto dopo la sua morte di fragile umano, si sarebbe rivelato di grande importanza.
Che si arrendesse dunque alla divinità ed obbedisse al suo volere!
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mahāmuni – Parola composta da agg. maha = grande; forte; abbondante (gr. mégas) + sm. muni = impulso; impazienza; saggio; asceta; eremita; Brāhmana [uomo appartenente alla prima delle tre classi dei due volte nati] del più alto grado.
Kavaca – sm. o sn. = armatura; corazza; cotta; corteccia; scorza; sm. = tamburo di guerra.
Pdf – Kavaca, soldato fedelissimo di Vardhana. Nonostante fosse nato a Tarkso, è promosso generale di corpo d’armata dal mahārāja di Pūtamajala.
Tarkso – nome ottenuto dalla somma delle due radici verbali tark + so. Tark (verbo tarkajati) = congetturare; indovinare; sospettare; accertare; riflettere; intendere. So (verbo syati) = uccidere; finire.
Nf – Si è dato questo nome al paese da cui proveniva Kavaca, per assonanza con quello di Tarso dove era nato l’ebreo Paolo. Un lettore attento comprenderà le assonanze per tutti gli altri nomi usarti nella favola che rimandino ad altre favole.