All’inizio, fu il baratto.
Fino al VII secolo, prima dell’Era Volgare, i beni e i servizi si scambiavano tra la gente secondo liberi accordi: sei uova per un cesto di fichi, due pecore per un maiale, venti cammelli per una moglie. Poi qualcuno ebbe l’idea di comprare dando in cambio cose a cui si attribuiva un valore in quanto rare e pregiate, fossero conchiglie, pietre colorate o sale marino. Il passo successivo vide la creazione di monete metalliche, il cui valore corrispondeva alla quantità d’oro o d’argento da esse contenute. Le monete avevano però un limite propriamente fisico al loro uso: per trasportare valori importanti occorrevano ingombranti e pesanti cofani, golosamente attrattivi per i predoni. Anche portarsi appresso una scarsella ben fornita esponeva a perdite o a rapine.
Così, nel ‘300, ad astuti banchieri toscani – c’erano già allora – venne l’idea di dare valore a pezzi di carta con su scritti impegni di controvalore: nacquero gli assegni, le tratte, le cambiali. Le monete metalliche, che erano soggette a dolose limature di alleggerimento, cominciarono ad avere valore solo formale, coniate in leghe metalliche meno preziose. Gli Stati iniziarono poi a stampare le banconote su carta, il cui valore era ovviamente solo nominale ma, fino a poco tempo fa, ancora convertibile in oro. Fu il generale deGaulle che mise in crisi il sistema di parità tra oro e cartamoneta chiedendo agli Stati Uniti di riscuotere i crediti francesi non più in dollari, ma in oro. Ormai, quel vecchio sistema è saltato e l’economia mondiale non gira più neanche su carta, ma in forma virtuale grazie alle alchimie tecnologiche dell’era di Internet.
Dato l’addio alle cedole, ai buoni fruttiferi, alle azioni, alle obbligazioni da conservare in cassaforte assieme ai carnet di assegni, ai risparmiatori non resta che affidarsi alle banche che, nate come imprese di gestione del prestito, si sono trasformate quasi tutte in banche d’affari. Affari che, a quanto pare, sono sempre meno puliti e condotti in maniere poco trasparenti. Tant’è: lo strapotere di pochi plutocrati ha portato alla globalizzazione dell’economia e ci costringe, per legge, ad essere “clienti” in balìa delle banche.
Forse soltanto Big Foot o lo Yeti possono sopravvivere senza carte di credito o conto corrente, a patto di non abbandonare i propri habitat selvaggi. Per noi, povera gente comune che vive nel mondo cosiddetto civile, è diventato complicato pagare in contanti un abito o una lavatrice ma, se si ha la partita IVA, financo le tasse! Il tutto poi in nome della repressione dell’evasione fiscale… viene da ridere – per non piangere – sapendo come il fisco viene frodato alla grande proprio grazie a un veloce colpo di mouse.
La crisi che ancora non passa la dobbiamo alla finanza perversa che ha gettato nella miseria intere nazioni e completamente azzerato il ceto medio. Spericolati giochetti portano le banche al fallimento travolgendo i risparmiatori, ma il più delle volte vengono salvate ope legis dallo Stato o dall’Europa, ma sempre a spese dei poveri gonzi che si sono fidati dei preziosi consigli di brokers, family bankers, promotori finanziari, direttori di banca, amici bancari. Praticamente la Banka Bassotti.
La cronaca di questi giorni abbonda di scoop sui retroscena del salvataggio di quattro banche, apparentemente modeste e di interesse locale ma in realtà capaci di drenare i risparmi di intere città. Conosciamo i nomi e le facce dei responsabili, sappiamo con quali metodi, anche perversi e ricattatori oltre che profittatori dell’ingenuità e dell’ignoranza dei piccoli risparmiatori, costoro abbiano malversato per anni. Ci è stato fatto capire come gli organi preposti al controllo non lo abbiano esercitato, adombrando inettitudine o addirittura complicità. La ministra BellaBoschi, ancorché salvata in Parlamento dalla sfiducia, è comunque in odore di conflitto di interessi per il ruolo ricoperto dal padre all’interno della dirigenza della Banca Etruria: il sospetto dell’uomo della strada è che siano state salvate dal tracollo solo alcune banche per l’interesse di chissà chi e che ci siano tantissime altre bombe similari non ancora rese pubbliche, pronte a deflagrare.
Altra granitica certezza è che, comunque, il traffico dei derivati tossici e delle obbligazioni subordinate continui indisturbato grazie agli incentivi economici principeschi elargiti ai dipendenti procacciatori di clienti.
È sconcertante e destabilizzante vedere che nessuno, dico nessuno, di coloro che avrebbero il potere-dovere di farlo, abbia ventilato l’ipotesi che siano i banchieri, sfilandoselo dalle voraci tasche, a restituire il maltolto frodato.
In questo Paese dove, a quanto pare, non esiste più il diritto e dove essere onesti equivale ad essere cretini, non ci si può fidare nemmeno della propria ombra. Travolti dalle bufale propalate via web e dalle menzogne più spudorate – l’ultima per adesso è quella del cardinal Bertone, ennesima anima candida al quale, “a sua insaputa (!)” , è stato ristrutturato l’attico a spese e in danno dell’Ospedale Bambin Gesù – non ci resta forse che dare retta agli implacabili televenditori. A molle insacchettate, in lattice naturale o in memory, il materasso è il ricovero più sicuro per nostri quattrini.
Come ai bei tempi di Arbore e della televisione intelligente, “nel materasso c’è la felicità!”
Dormiamoci sopra, e buone feste a tutti!
Lavinia de Naro Papa