Qui ci occupiamo dei conti sballati della pubblica spesa italiana degli ultimi sessant’anni.
Sono anni in cui assistiamo (dagli anni 60 in poi) alla parata di ministri pseudo-esperti di economia che si alternano al Ministero del Tesoro – annunciando con enfasi e pomposità vari interventi, a nostro avviso, solo panaceici per sanare questo “vecchio guasto” al fine di allineare il rapporto Pil/Deficit ai Paesi più bilanciati in Europa.
E dire che c’è stato un tempo, non molto lontano, nel quale gli esperti affermavano che bisognava indebitarsi per
avere peso e ascolto tra le élite della finanza. Allora analisti e banchieri di grido giravano il mondo invitando grandi e piccole imprese a come meglio indebitarsi.
Erano gli anni dell’inizio millennio dove i guru del credito di Wall Street predicavano e insegnavano con il motto “i soldi non sono un problema, si trovano”, però a debito.
Oggi, dopo tanti disastri, sono scomparsi quasi tutti, però con liquidazioni milionarie come quel noto Mr Richard Fuld, numero uno della Banca Lehman, il cui fallimento ha innescato la crisi del 15 settembre 2008 le cui ferite non sono state ancora rimarginate in tutto il mondo ed in particolare in Italia.
Da quella brutta esperienza, dove avere debiti significava essere cool siamo passati alle difficoltà attuali dove trovare i soldi per le grandi imprese e ancora di più per le medie e piccole è una gara a ostacoli, cioè un vero problema.
Il problema è che le banche da quel 15 settembre hanno chiuso i rubinetti del credito e si sono dedicati al recupero del credit crunch, cioè ai crediti irrecuperabili (oggi ammontanti a oltre 200 miliardi di euro).
Ritorniamo alla nostra analisi di partenza circa il debito pubblico. Il nostro Paese, in termini di debito pubblico, non è secondo a nessuno, anzi si piazza dietro Giappone e Grecia.
Abbiamo un debito che ammonta a 2170 miliardi.
Se tale ammontare lo dividiamo per 60 milioni di italiani, fa circa 36 mila euro a cranio. Insomma, un autentico macigno che non ci fa stare molto allegri.
Negli ultimi cinque governi si è tentata la strada della cosiddetta spending review mettendo in piedi ben 33 rapporti per ridurre l’elefantiaca spesa dell’amministrazione dello Stato. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: il debito (cioè il macigno) è cresciuto anziché diminuire; tanto che negli ultimi tre mesi del 2016 è aumentato di ben tre punti passando da 132,1 a 135,1. Oggi solo la Grecia vanta un debito più alto del nostro (168,8).
Il macigno diventa sempre più corposo anche per via dei circa 70/80 miliardi d’interessi che dobbiamo pagare sul debito.
I conti dello Stato sono come quelli delle famiglie, vanno corretti e sistemati. Ma, se le entrate sono inferiori alle uscite in modo sistematico, si andrà incontro al pagamento di ulteriori interessi. Orbene, è quello che è accaduto negli anni Sessanta e proseguito negli anni Settanta, e così via negli anni a seguire sino oggi.
L’Italia, o meglio i governanti che via via si sono succeduti, hanno perso una grande occasione.
Oggi, pur in presenza di tassi a zero, o quasi, quel debito di 2170 miliardi di euro continua ad aumentare. Se i tassi d’interesse dovessero aumentare… non sappiamo dove andremo a sbattere.
La classe politica anziché arginare, cioè porro un freno, alla crescita perniciosa del debito pubblico ha preferito rimuovere il problema. Sperando forse che il tempo – nel suo perenne scorrere – ne curi magicamente le ferite.
E’ bene pensare al 2011 per ricordarci come la mancanza di fiducia dei nostri creditori istituzionali ha fatto schizzare in alto lo spread, il che ha causato, a sua volta, un innalzamento degli interessi da pagare in cambio della sottoscrizione dei nostri titoli di Stato.
I governanti devono attivarsi a creare le basi per spingere in alto il Pil. Contestualmente devono convincersi di diminuire le spese per alimentare la Pubblica Amministrazione, evitando sprechi e ingiustizie nella distribuzione della ricchezza . Evitando privilegi di casta, specialmente nei vari organi dello Stato a scapito dei cittadini o meglio dei comuni mortali.
Eliminare le Regioni a statuto speciale perché oggi non hanno nessuna ragione di esistere.
Vedi la Regione Siciliana che, con circa 20 mila dipendenti (cinque volte più della Lombardia che vanta il doppio degli abitanti), affronta una spesa annua di circa 760 milioni che, aggiungendo gli oneri sociali, tocca 1 miliardo di euro. E’ razionale? Sappiate anche che tale costo copre la metà della spesa del personale delle altre 15 Regioni a Statuto ordinario, nel suo complesso. E’ o non è una pazzia?
Per non parlare dei forestali che sono circa 28.000 per un territorio di 5100 km quadri. Questo è un non senso pirandelliano? Si. Ma è anche una riserva di caccia sicura per una certa classe politica.
Insomma non c’è tanto da capirci: finché si continua a perseverare nella filosofia del bla bla bla, nessuna formula macro-economica ci potrà mai fare invertire la rotta.
Se mi è consentito, vorrei chiudere questo contributo non con ulteriori consigli tratti dalla scienza economica – visto lo scarso effetto che hanno nell’operato del politico italiano – ma ricorrendo agli insegnamenti di Adam Smith (non in quanto padre dell’economia classica) ma invece dalle sue riflessioni, sempre attuali, tratte dalla sua “Teoria dei sentimenti morali”. Trattasi di una grande opera, a torto trascurata, e, a ragion del vero, anche da chi scrive, e per un economista è un po’ imbarazzante dichiararlo.
Smith scrive: “Per quanto egoista si possa ritenere l’uomo, sono chiaramente presenti nella natura alcuni principi che lo rendono partecipe delle fortune altrui, e che rendono per lui necessaria l’altrui felicità, nonostante da essa egli non ottenga altro che il piacere di contemplarla”. Qui Smith traccia il sentiero che porta all’integrità e alla virtù, spiegandoci perché valga la pena intraprenderlo.
Ma se anche la teoria dei sentimenti morali non dovesse bastare a smuovere le coscienze di amministratori, governati o politici non resta, come ultima analisi, che ricorrere a Paolo di Tarso che così scrive: “Non spegnete lo spirito, non disprezzate le profezie; esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono.” (Tessalonicesi, 5,19-21).
Salvatore G. Blasco