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IL BERRETTO A SONAGLI INDOSSA PANNI MODERNI

img_0654La celebre commedia di Pirandello, tratta dalle novelle “La verita’” e “Certi obblighi”, fu rappresentata per la prima volta a Roma nel 1923, cioè quasi un secolo fa.

Il messaggio dell’opera, come è tipico delle vere opere d’arte, è sempre attuale, anzi lo è più che mai perché l’essere umano stenta a cambiare i suoi comportamenti, ieri come oggi stenta a farsi guidare dalla ragionevolezza, ieri come oggi tenta di semplificare, finisce con l’agire d’impulso sotto la spinta delle emozioni, che, quando vengono messe in subbuglio da fatti che feriscono sia l’animo che l’immagine sociale conducono a disastri.

Il problema è proprio l’immagine sociale, l’immagine che ciascuno tenta di affermare ad ogni costo, di cui ciascuno è in qualche modo schiavo e a volte anche vittima. Pirandello chiamò questa immagine sociale “il pupo”, cioè una sorta di marionetta in rappresentanza di sé nella società, immagine che ciascuno si costruisce idealizzando il proprio sé e a cui si affeziona fino a crederla il vero sé.

La realtà umana infatti è molto complessa, ciascuno di noi infatti è pieno di contraddizioni perché deve fare i conti con il proprio aspetto emotivo non sempre in grado di governare, con l’aspetto irrazionale, con l’aspetto inconscio che nei momenti di stress distorce la lettura della realtà, in tutto questo la povera ragione stenta a tenere le briglie delle numerose istanze concorrenti, istanze che mirano ad avere, ciascuna per sé, la supremazia.

Ogni essere umano lotta costantemente per riportare il governo delle diverse istanze interiori sotto il governo della ragione, ma il governo della ragione è un equilibrio assai difficile da raggiungere. Questa sorta di tricamerale che dovrebbe lavorare congiuntamente è fatta da componenti che, piuttosto che ascoltarsi reciprocamente per poi deliberare all’unanimità, invece gridano come forsennati, e, non di rado, l’esito finale della tricamerale non porta l’egida della ragione.

La commedia di Pirandello tratta proprio questa lotta, questa difficoltà di conciliazione e ne mostra gli esiti nefasti quando a vincere è l’irrazionalità, quando l’azione viene condotta in nome della vendetta per salvaguardare la propria immagine sociale, il “pupo” appunto.

La trama è notissima. La signora Beatrice Fiorica, gelosa e insoddisfatta, vuole denunciare al delegato Spanò, amico di famiglia, il tradimento del marito, cavalier Fiorica, con la giovane moglie del suo scrivano Ciampa, anziano e a conoscenza dei fatti, che tollera la situazione purché venga salvato il suo “pupo”, cioè la sua rispettabilità e la “faccia”. Inutilmente Ciampa cerca di evitare la denuncia tentando di persuadere la signora Beatrice a girare la corda “seria”  quella che fa ragionare ed evita i  disastri. Secondo Ciampa (artificio letterario di Pirandello per dire che la mente umana deve fare i conti con il razionale, l’irrazionare e l’a-razionale) portiamo tutti sulla fronte, dice lui, tre corde simili a quelle dell’orologio: la seria, la civile, la pazza.

Ciampa (Pirandello) spiega che bisogna accordare queste corde, altrimenti la comunicazione risulta stonata, come uno strumento musicale scordato e l’azione conseguente porta a disastri.

L’opera è notissima perché la televisione l’ha messa in onda più volte recitata dal geniale Eduardo De Filippo, che come strumento drammaturgico ha utilizzato la lentezza del dire e del muoversi, proprio per sottolineare che la ragione può prevalere se si rallenta, se si medita, se si dialoga, se si riflette.

La settimana scorsa la commedia è stata portata sulle scene al “Piccolo Palcoscenico” dalla “Compagnia Teatrale Iblea” capeggiata da Alessandro Sparacino.

Questa edizione ha creduto opportuno svecchiare un po’ la dinamica scenica, ha tolto cioè la lentezza che rende la commedia pesante da reggere, insomma ha indossato, dopo cento anni ci voleva, un abito nuovo sul corpo sempre giovane del testo di Pirandello.

La messa in scena curata dalla “Compagnia Teatrale Iblea” ha giocato su una dinamica comunicativa fatta di tempi reali, che, se da una parte ha sottratto la plasticità dei tempi della riflessione, dall’altra ha dato corpo alla comunicazione realistica, quella che tenta di semplificare, quella che rimane sorda ai richiami della ragione, quella che s’irrigidisce sulle istanze della ferita d’immagine e a cui si arrende.

Insomma è stato dato spazio d’azione al “pupo”, in modo che lo spettatore potesse toccarne con mano l’effimero di sostanza e il fatuo di effetto.

L’espediente drammaturgico prevalente è stato quello di mostrare la tirannia del “pupo” sul soggetto. Il sipario si è aperto mostrando i vari soggetti in preda a gesticolazioni da automi, come “pupi” diretti da un interiore puparo, gesti a scatto senza posa, senza senso, come automi appunto. Piuttosto dell’andirivieni lento di un soggetto che, guidato dal dubbio, riflette sugli effetti di un’azione o di un’altra, in questa edizione si è visto un soggetto irrigidito sul proprio “falso sé”, cioè su quello che ci si crede di essere piuttosto che su quello che realmente si è.

E’ stata messa in scena la fissazione, la schiavitù dell’immagine esterna da salvare a tutti i costi, senza pensare alle conseguenze.

Con questa modalità di rappresentazione rapida nel succedersi delle dinamiche, rapida nella percezione dell’ottusa rigidità che nega ascolto alla valutazione degli effetti, il disastro finale è apparso più imponente, più paradossale, più amaro che nell’altra modalità, in cui l’azione procedeva a fuoco lento ed il disastro veniva metabolizzato a piccole dosi.

Nell’edizione realizzata al “Piccolo Palcoscenico” il finale è una valanga che si abbatte sul soggetto, una valanga che travolge l’inconsapevole soggetto che credeva di dominare l’evento uscendone vincitore.

Bravo Alessandro per avere concepito questo taglio drammaturgico attualizzato, bravo tutto lo staff d’interpreti (Alessandro Sparacino, Rita Abela, Vincenzo Paterna, Angelo Abela, Giada Lasagna Liuzzo, Mariella Frasca, Cinzia Minardo) che è stato capace di rendere plastico il ritratto dell’uomo d’oggi.

Oggi del resto si agisce sull’impulso della “pancia” come si usa dire, la supremazia della ragione è disdegnata, sottovalutata, appare antica, fuori moda, roba da pavidi e da rassegnati.

Già, questo è il modo attuale di rapportarsi al vivere, e gli esiti, purtroppo, sono sotto gli occhi di tutti noi, ma neghiamo a noi stessi di esserne coresponsabili, semplifichiamo, diamo la colpa ora alla politica, ora ai poteri forti, ora al prossimo più miserabile di noi, insomma ci assolviamo, ma inesorabilmente precipitiamo. E col cambiare del costume l’unica cosa che è cambiata è che dal delitto d’onore si è passati al femminicidio.

Carmela Giannì