C’era una volta Modica…

1
La Consulta Femminile Comunale di Modica è ripartita!
Dopo qualche anno di quiescenza e di oblio, la Consulta rinasce come l’araba fenice: la brace continuava a covare sotto la cenere, e un gruppo di donne interessate alla qualità della vita e al futuro dei giovani e degli ultimi di Modica ha ridato vita al fuoco col soffio della consapevolezza responsabile.
Domenica 18 novembre u.s. si è svolto al Palazzo della Cultura il congresso sul tema: “La Consulta femminile: ieri, oggi, domani” propedeutico all’assemblea del 21 novembre, quando verranno eletti gli organismi rappresentativi ed esecutivi.
Nei mesi precedenti, l’assemblea aveva lavorato sodo alla riforma dello Statuto, risalente al 1988 e che mostrava chiaramente i segni del tempo essendo stato impostato sulla base della legge n.27/77, vecchia di quarant’anni.
In questo lasso di tempo tante cose sono cambiate, e tante difficili conquiste fatte dalle generazioni precedenti sono considerate adesso come diritti da sempre esistenti.
Recentemente, purtroppo, sulla scia della crisi economica che si è abbattuta su tutto il mondo grazie a discutibili scelte operate dai cosiddetti poteri forti, ha preso l’avvio un movimento tendente alla restaurazione e al ripristino di vecchi valori: nazionalismo, protezionismo, tradizione.
In questo contesto si inquadra anche il nostro paese, che vede al governo personaggi come il senatore leghista vice presidente della Commissione Infanzia e Adolescenza Simone Pillon, fiero oppositore della legge 194 sull’aborto, contrario alle unioni civili e convinto assertore dell’esistenza di un complotto gendertendente al capovolgimento del senso morale degli italiani. Costui è autore di un disegno di legge volto a riportare indietro di diverse decine d’anni il diritto di famiglia, calpestando senza vergogna i diritti delle donne e dei bambini soprattutto riguardo alle violenze perpetrate in famiglia.
Tanta parte del futuro della città è nelle mani delle nostre figlie, che è nostro dovere far crescere ed educare ad essere persone, non bambole.
Quindi un serio impegno attende le nuove consultrici: far capire alle ragazze che non esistono diritti immutabili, e che bisogna stare sempre all’erta per difendersi dagli attacchi dei lupi cattivi e delle serpi striscianti.
Essendo donne espresse dalle realtà socio-politiche modicane, avranno la capacità di portare il pensiero, la logica e il buon senso femminile come contributo costruttivo e come oggetto di riflessione e di confronto all’interno del Consiglio Comunale, e Dio solo sa di quanto ce ne sia bisogno!
Come ex presidente della Consulta di tanti anni, fa esprimo tutta la mia ammirazione e formulo auguri per un proficuo ed appagante lavoro alle nuove fiere e forti donne che, credendo nella rinascita e nella crescita di Modica, hanno deciso di impegnare tempo e competenze mettendoci la faccia.
Lavina Paola de Naro Papa
L’antropologia, anche se non ce ne rendiamo conto, è una scienza in continua evoluzione. Si deve evolvere necessariamente, perché vuole trovare quell’anello di congiunzione che a volte crede di aver individuato, poi si rende conto che forse, anche se esistono maggiori somiglianze e collegamenti, resta ancora spazio nella sequenza dell’evoluzione dalla scimmia all’uomo. Memorabile fu la scoperta di quello scheletro che fu chiamato Lucy, sul quale si scrissero fiumi di parole, si pubblicarono libri. Ma qualche collegamento mancava sempre, così Lucy fu mesa da parte e la ricerca riprese. A complicare la situazione si aggiunge il fatto che molte specie umane sono vissute contemporaneamente o a breve distanza l’una dall’altra, pertanto non possono essere l’evoluzione l’una dell’altra in maniera semplice e diretta.
Oggi si è fatta una nuova scoperta. Quella definitiva? Chissà. In base agli ultimi ritrovamenti e a una lunga e attenta osservazione, si è giunti alla conclusione che l’uomo attuale (quello che, per semplificare, usiamo definire come homo sapiens) discende non da uno ma da ben due ceppi originari molto diversi tra di loro: l’homo felis e l’homo lemminis.
Questa diversa origine spiegherebbe perfettamente il motivo per cui ancora oggi l’uomo moderno continua a dividersi in due categorie ben distinte e caratterizzate: il primo è quello che compie le sue scelte dopo un’attenta analisi delle situazioni che gli si pongono davanti e lo fa in assoluta autonomia, senza lasciarsi suggestionare mai dai suggerimenti altrui, a meno che non li ritenga validi e giustificati; il secondo, sia nelle scelte che nei comportamenti, percorre la strada dei lemming, quei roditori dei quali uno si lancia in avanti senza sapere verso dove né perché e tutti gli altri gli corrono dietro convinti di non poter fare diversamente, così quando il primo, per la sua incapacità di rendersi conto di quello che sta facendo, finisce per cadere in un burrone, tutti gli altri gli cadono dietro e trovano la morte. Come giustamente è stato rilevato, i lemming non corrono verso la morte perché scelgono il suicidio di massa, ma semplicemente perché proprio non capiscono che quel comportamento li porterà alla morte.
Ecco dunque, oggi, l’uomo col carattere del felino: indipendente, fiero, indomabile, autonomo, amante della libertà; e quello invece col carattere del roditore: timido, sfuggente se da solo, esclusivamente capace di muoversi in branco, totalmente dipendente dalle scelte del branco che persegue fino alla propria distruzione.
Purtroppo, nonostante il suo elevato tasso di autolesionismo, è proprio la seconda specie quella che si è maggiormente sviluppata estendendosi a macchia d’olio in tutti i continenti del nostro pianeta.
L’homo felis invero appare destinato all’estinzione. Uno dei suoi tratti identificativi è il pensiero, quel pensiero che, sviluppandosi in solitudine, ha saputo creare opere d’arte stupefacenti, dalla pittura alla scultura, dalla poesia all’architettura e tutto questo oggi sta pian piano scomparendo, violato e distrutto dall’homo lemminis, che si diffonde sempre di più e nel suo percorso avvilisce e distrugge tutto ciò che di bello gli era stato donato.
E’ stata proprio questa la constatazione che ha messo in grandi ambasce l’intera scienza antropologia, che ha dovuto chiedersi se non avesse preso un grosso abbaglio fin dall’inizio e quindi avesse proceduto sempre nella direzione sbagliata. Ci si comincia a chiedere infatti se l’evoluzione consista davvero nell’invenzione del fuoco e della ruota, nella costruzione di ponti (che crollano), di strade (che franano), di bombe (che distruggono), di strutture organizzative (che opprimono)… Inutile continuare!
Ci si comincia a chiedere insomma se, anziché di evoluzione, non si tratti piuttosto di involuzione, che la specie superiore non sia l’uomo quanto piuttosto la scimmia. Ci si chiede insomma se quella della scimmia di non inventare il fuoco e la ruota, di non costruire strade, ponti, bombe, governi non sia stata una scelta ben precisa, ragionata e ponderata. Ci si chiede se la scimmia non abbia creato opere d’arte non perché non ne sia capace, ma semplicemente per evitare che un giorno l’uomo le distruggesse. Nonostante l’arrivo dell’uomo, la razza delle scimmie esiste ancora, mentre quella umana corre sempre più velocemente verso l’autodistruzione. Lasciamo a voi la conclusione.
Questa è la favola che vi offriamo per le sere dell’inverno che ormai è arrivato.
Ma siamo proprio sicuri che si tratti di una favola?
C’è una parola relativamente nuova, usata da alcune femministe americane agli albori degli anni ’90, divenuta purtroppo di uso quasi quotidiano: femminicidio.
La necessità di creare un neologismo per indicare l’omicidio mirato al genere femminile è dovuta al fatto che il termine precedentemente usato, uxoricidio (dal latinouxor=moglie) specificatamente dedicato all’assassinio della consorte, ha avuto nel tempo un’estensione del significato per comprendere anche l’assassinio del marito e, in certi casi, anche i delitti compiuti contro altri membri della famiglia, perdendo così l’identità di genere.
Èsignificativo che fin dai tempi antichi fosse ovvio che era la donna l’oggetto su cui sfogare maschili vendette. Per l’uomo offeso era quasi un obbligo lavare l’onta col sangue della moglie adultera, pena il discredito presso la società.
La donna che avesse ucciso il marito, il padre o il fratello, magari dopo anni di violenze e di umiliazioni insopportabili patite spesso anche dai figli, non aveva scampo: condanna a morte. Basta ricordare la triste storia di Beatrice Cenci.
In Italia solo nel 1981 venne abolito il delitto d’onore assieme ad un altro obbrobrio, il matrimonio riparatore. Ci vollero ben 15 anni dal gesto di Franca Viola, coraggiosa diciassettenne di Alcamo che rapita, stuprata e segregata per otto giorni, rifiutò di sposare il suo bruto torturatore, perché il Parlamento decretasse la fine di un’usanza altamente incivile e lesiva… della morale pubblica! Per arrivare a definire la violenza contro le donne e i minori come delitto contro la persona si dovette arrivare al 1996, dopo gli orrori del massacro del Circeo (1975) e lo stupro di Franca Rame ad opera di un manipolo di neofascisti.
C’è da riflettere su quanta sofferenza, quanto lavoro, quanta abnegazione femminile siano costate queste conquiste di civiltà.
La tragica cronaca quotidiana ricorda alle donne che non solo non bisogna mai abbassare la guardia, ma che i diritti conquistati con tanta fatica vanno difesi ogni giorno.
In questi tempi dominati dall’incertezza del domani, i poteri del mondo sono finiti nelle mani di personaggi arroganti che, sbandierando orgogliosi la loro ottusa e proterva ignoranza, disprezzano i bisogni della gente comune e disconoscono i problemi di sopravvivenza del pianeta.
Disgustati, disamorati, disillusi, in tanti stanno appoggiando la montante marea revanscista, confidando nella restaurazione di presunti “alti valori” dei bei tempi andati.
Spiace vedere anche tante donne partecipare alla disgregazione di quel poco che è stato conquistato con tanto dolore.
Non che tutto ciò che è moderno sia un bene, tutt’altro: gli effetti devastanti sull’ambiente causati dalla specie umana negli ultimi centocinquant’anni sono evidenti, e i frutti velenosi causati da questo dissennato comportamento sono l’esodo di massa, l’odio per il diverso, il razzismo.
Nel nostro parlamento siedono persone come il senatore Pi(r)lon, che vuole riformare il diritto di famiglia restaurando i principi del più vieto paternalismo maschilista, e donne come la senatrice Pucciarelli, presidente della Commissione Diritti Umani, nota per le sue posizioni estremiste inneggianti alle ruspe e ai forni per risolvere i problemi creati da migranti e zingari. Praticamente, come affidare Cappuccetto Rosso al Lupo!
Le donne dovrebbero essere le prime a credere e a rafforzare i principi della solidarietà femminile, ma purtroppo non sempre è così.
La pakistana cristiana Aasia Bibi, accusata di blasfemia da una collega di lavoro, si è fatta nove anni di galera nel braccio della morte e adesso, finalmente riconosciuta innocente e scarcerata, vive nascosta nell’impossibilità di lasciare il paese, braccata dalle ire vendicative degli estremisti islamici che la vogliono morta comunque.
Lo stupratore irlandese di una diciassettenne si è visto assolvere grazie al lavoro dell’avvocato donna che lo ha difeso sventolando in tribunale un tanga di pizzo. Perché indossare un simile indumento, certo strumento del Demonio, sotto i jeans è indubbio segno di dissolutezza e di provocazione!
C’è ancora tanto lavoro da fare per raggiungere un modesto grado di civiltà diffusa, e tanta attenzione per non fare passi indietro e sprofondare nel buio del fatalismo, della creduloneria, del cieco fideismo.
Che le donne sappiano dare il buon esempio: autostima e nozione della propria dignità sono le basi per essere persone capaci di lasciare da parte invidie, gelosie, ripicche, chiacchiericcio e calunnie, imparando a volersi bene: basta con donne che odiano le donne.
L. deNaro Papa
La libreria La Talpa, col patrocinio del Comune di Modica, in occasione del suo 25° anno di attività, organizza, in collaborazione con “Paesaggio Barocco – Enoteca Cioccolateria – “Sotto S. Pietro”, un ciclo di incontri con i cittadini, denominati “Appuntamenti del giovedì”. Gli incontri, in tutto 5, si terranno presso i locali della Società Operaia di Mutuo Soccorso in Corso Umberto, 157. Diciamo che la libreria e il suo speciale titolare attraversano la strada e si collocano dai dirimpettai.
I cinque appuntamenti avvengono con altrettanti autori che presentano le loro ultime pubblicazioni.
Tramite i temi scelti si spazia tra la cronaca del nostro tempo, le donne esemplari che hanno fatto la storia, l’archeologia, le tradizioni siciliane.
Le date degli appuntamenti si snodano dalla metà di novembre. Il primo è stato il 15 con Giuseppe Costanza che ha presentato “Stato di Abbandono”. Giuseppe Costanza è stato autista e uomo di fiducia del giudice Giovanni Falcone dall’84 al 1992 fino al momento del tragico episodio che costò la vita al giudice, alla moglie e ai tre agenti di scorta (Schifani, Dicillo, Montinaro).
Costanza viaggiava a bordo della croma guidata da Falcone, ma sopravvisse miracolosamente. La sua testimonianza è stata raccolta da Riccardo Tassarini nel testo biografico che è risultato finalista al “premio letterario giornalistico Piersanti Mattarella”, assegnato il 20 novembre a Palermo.
L’opera narra dei momenti di vita vissuta accanto a Falcone affrontando la paura a viso aperto, ma anche del dramma personale sofferto dopo l’attentato in quanto dipendente civile del Ministero della Giustizia: da “uomo scomodo” non solo non si è visto riconoscere il ruolo di servitore dello Stato, ma ha dovuto subire anche l’indifferenza e le umiliazioni della burocrazia, delle istituzioni e dei media, come se l’essere sopravvissuto non facesse di lui una vittima ma addirittura un colpevole. Costanza durante la presentazione ha illustrato tutte le contraddizioni della vicenda e con grande trasporto ha reso onore all’eroe Falcone.
Il secondo appuntamento è stato il 22 con Vittoria de Marco Veneziani, che ha presentato “Vivian, Maxima e le altre Donne” edito da ERGA. L’opera è la raccolta di 33 donne fuori dal comune che hanno aperto la strada all’eccellenza femminile e nasce dal desiderio dell’Autrice di rendere omaggio e restituire dignità alla loro memoria attraverso una silloge di brevi profili biografici a donne che hanno fatto la storia, ma che la storia ha posto nell’oblio perché appartenenti all’universo femminile. La galleria di ritratti elencati dalla de Marco Veneziano spazia nell’arco di un millennio (1050-2018).
Seguirà, il 29 novembre, Sebastiano Tusa che presenta “Sicilia Archeologica”; poi, il 6, Vincenzo Jannuzzi col suo “Cucina Siciliana”. Concluderà la serie d’incontri Massimo Cultraro, il 13, con la presentazione di “L’ultimo sogno dello scopritore di Troia”.
il programma è vario, ben dosato, rilevante nell’offerta che propone, è una vera festa, dei libri naturalmente!
La locandina che annuncia gli eventi, spiritosa e ammiccante, disegnata da Gianni Franceschina, raffigura un buffo personaggio in cammino, con un cappello in testa, un piccone sulle spalle e una lanterna in mano e sul naso un paio di grossi occhiali che lasciano intravvedere occhi curiosi che guardano lateralmente, chissà, forse un po’ noi che alla Talpa andiamo non solo per prendere dei libri, ma anche per ritrovarci.
Gli occhiali comunque alludono a quelli di Francesco Trombadore, il nostro libraio, non un semplice venditore di libri, ma un libraio, cioè colui che i libri li conosce perché li legge, il libraio che accoglie, che consiglia perché conosce il suo pubblico come conosce i libri.
A lui, a Francesco, ci si affida quando si è incerti sulla scelta, a lui si ricorre quando si cerca un libro speciale, da lui ci si consiglia quando il libro è oggetto di regalo, a lui ci si affida quando, dopo avere letto un libro che ci ha raggiunti nel profondo dell’anima, si ritorna per scambiare effetto, emozioni e considerazioni. Lui, Francesco, sa ascoltare, interloquire, raccogliere considerazioni e restituirne altre, le sue, considerazioni che ampliano, arricchiscono quelle esposte da noi “libridinosi”, e allora dalla libreria diventa difficile staccarsi, perché il calore avvolge, l’animo si arricchisce, il corpo si carica di energia, il tempo si ferma, la dimensione del quotidiano arretra.
Dimorare in libreria, a La Talpa, è come stare in un salotto buono, un salotto dove si riceve, dove la gente che entra è varia, la conversazione si snoda in libertà ma sempre sui valori, sempre su toni alti, sempre declinata sull’esistenza, sulla bellezza del pensare e del conversare.
A La Talpa non si va solo per procurarsi un libro, si va per dare voce ai desideri, i libri vengono dopo, in genere si ordinano, lì si consegna il desiderio di leggere un libro che spesso non si trova sullo scaffale, ma si trova Francesco che annota a penna su un foglio volante il nostro desiderio, si prenota e si attende, e il desiderio rimane, lievita giorni, a volte settimane, si teme anche che il foglietto volante sia andato disperso, invece no, il libro arriva sempre, e quando finalmente arriva ti fa brillare gli occhi, allora Francesco lo prende, vi infila dentro un segnalibri, lo fa sprofondare in un sacchetto e lo consegna come un pacco dono!
A La Talpa si ricevono doni, perché i libri sono da lui, da Francesco, e da noi che frequentiamo il luogo, considerati preziosi doni, doni di tempo, doni di pensieri, doni di sapere, doni di metodo, di riflessione, doni che alimentano l’esistenza.
Il dono succede anche quando il libro letto ci delude, succede a volte, allora le delusioni si riportano a La Talpa e diventano considerazioni, diventano un processo al tempo che viviamo, alla fragilità umana, alla vanità da cui ci si lascia rapire, un processo alla società che muta senza evolversi, che arretra e che tradisce ciò che afferma. Succede che dalla critica ad un testo le considerazioni declinano sulla politica, sulla società, sulla mondialità, sul veleno che corrode le coscienze.
Ecco perché venticinque anni di attività de La Talpa sono un avvenimento da festeggiare, perché sono una tappa collettiva, i venticinque anni diventano un’occasione per ricevere nuovi amici, gli autori, perché il salotto va aperto anche a coloro che sono di passaggio, a coloro che non fanno parte della quotidianità degli incontri di questo circolo di amici che in occasione della festa entrano in fibrillazione per esserci, per non perdere neanche una goccia di quel profumo che ogni libro reca.
Carmela Giannì
La battaglia continua. Anche se quella per la riapertura dei trenta tribunali italiani soppressi dalla riforma della geografia giudiziaria del Governo Monti è una battaglia difficile. Lo è, innanzitutto, per l’indolenza della politica che non riesce a decidere su un argomento contemplato nel contratto della coalizione Lega-Cinque Stelle. Battaglia difficile anche perché, a livello locale, l’argomento stuzzica poco l’appetito da passerella dei rappresentanti politici dei territori interessati al ripristino di quella che viene definita giustizia di prossimità.
Le speranze sono riposte nell’azione del coordinamento nazionale dei comitati che, in Italia, da Nord a Sud, si battono da qualche anno per sanare le incongruenze e le “malefatte” di una riforma varata per risparmiare sui costi della giustizia ma che, in pratica, ha prodotto solo sprechi e ritardi.
Il 16 novembre scorso, a Catania, si è svolta la prima assemblea nazionale dei Comitati per la giustizia di prossimità. Rappresentanti dei trenta territori spogliati dei presidi giudiziari si sono dati appuntamento per studiare le mosse successive e per fare il punto sulle iniziative già attuate: città dell’evoluto Nord, come Tolmezzo, e quelle del profondo Sud, come Modica, Nicosia e Mistretta.
E, da un capo all’altro dello Stivale, tutti si sono trovati d’accordo su un fatto: il muro di gomma del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, che in quasi sei mesi, non ha trovato il tempo di fissare un appuntamento al Coordinamento nazionale dei Comitati per un confronto serio e chiarificatore. Tanto che si sta organizzando una missione romana, insieme ai sindaci interessati alla riapertura dei Tribunali cancellati dalle loro città, per protestare, con un sit in, davanti alla sede del Ministero, in Largo Arenula.
Mentre si continua a lottare, da Nord a Sud, aumentano i disagi degli operatori della giustizia e degli utenti per accedere a quei servizi che i Tribunali soppressi assicuravano ai loro territori di competenza. Uffici giudiziari definiti “minori” ma che riuscivano, nella maggior parte dei casi, a dare risposte ai cittadini in tempi ragionevolmente brevi malgrado la cronica carenza di personale. Una domanda, allora, sembra lecita: ma se funzionavano, perché sono stati soppressi?
Concetto Iozzia
Quando si dice che una donna ne sa una più del diavolo
si dice che di fronte a lei il demonio è un povero diavolo.
BOIA CHI MOLLA
scoreggie
A chi il popolo scoraggia
il popolo scoreggia.
Talvolta la cosa più saggia
è una scoreggia.
Un Sindaco ha faccia d’indaco
ed è anche un poco violetto
perché dopo che è stato eletto
invece di starsi a beare
dovrà saper governare.
I buoni, per sentirsi tali,
donano il proprio bene a quelli che sono nel male
perché li sentono fratelli e uguali.
Così, invece di liberarli dal male,
alimentano i loro vizi.
Che tristezza attraversare il Corso Umberto e vedere la piazza spoglia anche se piena di giovani in musica e in festa. Denudata delle sue alte palme, ne sono rimaste due su sette, le altre cinque sono rase al suolo.
E che angoscia arrivare al Monumento del Milite Ignoto e rendesi conto che, su quattro delle alte palme attorno alla memoria, ne sono rimasti solamente tre scheletri anche qui, una rasa completamente al suolo e il Milite al centro di un paese che pare piano piano spegnersi, tanto è stato denudato il suo centro storico.
E proprio durante questo giorno, sabato 17 novembre 2018, l’ultima palma ha avuto la sua fine. Una triste fine, ma era prevedibile, perché il punteruolo rosso (Rhynchophorus ferrugineus) è riuscito a distruggere le nostre palme indisturbato.
Lo so benissimo che è difficile individuarne la presenza: le larve del punteruolo rosso agiscono infatti dall’interno mangiando e succhiando la parte vitale della palma. Ma proprio per questo è importante agire in maniera tempestiva, prima che la pianta sia totalmente infestata, e soprattutto proteggere le nostre palme con la prevenzione anziché aspettare e poi rasarle fino a toccare il suolo.
Ribadisco, lo so perfettamente (perché ho studiato e mi sono informata) che il punteruolo rosso non è facile da individuare in quanto i danni provocati dalle larve sono visibili solo a danno avvenuto: le uova vengono depositate di solito nelle parti più giovani della pianta, è consigliabile quindi ispezionare quelle parti per identificarne la presenza o meno. Ogni femmina depone dalle dieci alle cento uova per volta: una volta schiuse, le larve si dirigono direttamente verso l’interno della pianta scavando delle vere e proprie gallerie. Ma per chi è del mestiere e lo pratica come lavoro nel nostro Comune o in qualsiasi altro luogo, riconoscere le larve dovrebbe essere semplice: sono biancastre, non hanno zampe ma hanno ben sviluppato l’apparato masticatore. Inoltre, un modo per capirne la presenza, è avvicinarsi alla pianta: se il punteruolo rosso è in azione, si dovrebbe sentire un rosicchiamento di legno. Se non si interviene in tempo il punteruolo non abbandona la pianta fino a quando non ha più niente da mangiare. E penso che noi tutti modicani abbiamo assistito allo scempio senza neppure rendercene conto, ma noi, io anche, siamo incompetenti. E gli altri? I competenti, dico!
La prevenzione è spesso l’unico modo che abbiamo per salvare le nostre palme dal punteruolo rosso, ma a Modica esiste la prevenzione o tutto si fa e si sa solo a fatto compiuto?
Sarebbe semplice se si agisse con rispetto e con amore, soprattutto se ci si ritrova ad essere dipendenti comunali e cioè lavorare per il proprio paese e per i propri concittadini, ma lavorare veramente e non solo per ricevere lo stipendio (anche se, effettivamente, in alcuni casi questo non arriva mai…) in qualsiasi settore ci si trovi, dovrebbe significare ringraziare il Comune e Dio per ogni giorno di lavoro e di manodopera data.
Non voglio allargare il discorso, parlo adesso semplicemente di uno o di più potatori o giardinieri che, in questo caso, dovrebbero curare con amore e controllare le piante sia sane che infette, più volte durante l’anno, eseguire la potatura coprendo le parti scoperte con del mastice che svolga anche una funzione insetticida e fungicida, utilizzare l’endoterapia anche per la prevenzione, evitando così che il fitosanitario si disperda nell’aria. Prevenire, inoltre, significa anche piantare solo esemplari di palme certificati (ma questo dovrebbe essere un atto dovuto dall’amministrazione comunale tutta), esenti quindi dal punteruolo rosso. Curare e mantenere in salute, evitando lesione del tronco, delle foglie e di tutte le palme e le piante in generale. Eliminare poi, sempre, con cura tutte le parti potate.
La cura, è una forma di prevenzione che serve per salvaguardare in modo naturale l’ambiente, le piante, gli animali e noi uomini, sin dalla nascita.
E qui mi chiedo, perché, dopo tanto perire, l’ultima palma è stata rasata e lasciata scheletrica, insieme alle altre, accanto al Milite Ignoto che, a guardarlo, l’ho visto spogliato dal calore che tra le palme infondeva al paese. Perché questo brutto evento mi ha trasmesso tanta tristezza?
Tristezza che mi ha fatto provare un senso di ripulsa per l’evento che nella domenica 18 novembre si teneva invece presso l’area attrezzata Padre Basile di Via Fontana, in occasione della Giornata Nazionale degli Alberi, e cioè l’iniziativa “Alberi per il futuro”, promossa dal Ministero dell’Ambiente e rivolta a tutti i Comuni d’Italia, senza bandiere politiche, con lo scopo di favorire la forestazione urbana e, per questo, mettendo a dimora migliaia di alberi ed arbusti per prevenire il dissesto idrogeologico e migliorare la qualità della vita.
Ero stata invitata a questo evento ma non ho avuto il coraggio di andare, mi sarei sentita un’ipocrita.
Perché? Perché forse alcuni Comuni non portano davvero nessuna bandiera ma Modica, a mio parere, una bandiera la porta davvero: è la bandiera della superficialità che, unita alle menzogne, diventa una bandiera malata, attaccata da tutti i fronti da un punteruolo rosso tanto invisibile quanto invadente.
Gli alberi si possono e si devono piantare nel nostro paese, per noi che ci viviamo, per chi grazie a loro ha un lavoro, per il nostro stare bene dentro al paese, ma non piantiamoli solo per metterci in prima linea sempre, noi non siamo ancora gli ignoti che guardano solo all’ignoto e sappiamo bene che prima di piantare un albero dobbiamo pensare a come curarlo.
Sofia Ruta
Filetti di triglia con carciofi croccanti
Ingredienti:
20 filetti di triglia rossa, 3 carciofi, 1 cucchiaio abbondante di capperi, 1/2 bicchiere di vino bianco, Il succo di un limone, 1 spicchio d’aglio, un ciuffo di prezzemolo, q.b. di olio evo, sale e pepe
Preparazione:
Pulire i carciofi, ricavarne i cuori e tagliarli a spicchi sottili, se teneri tagliare anche i gambi a fiammifero e metterli in acqua acidulata. Asciugare gli spicchi di carciofi e i gambi e friggerli in olio profondo in modo che diventino dorati e croccanti, salare dopo la cottura. Far riscaldare una padella antiaderente, ungerla con un filo d’olio e sistemare le triglie dalla parte della pelle; quando il pesce comincia a cambiare colore, girarlo, aggiungere i capperi e un trito di aglio e prezzemolo, sfumare con il vino e il succo di limone, spegnere, sistemare i filetti nel piatto di portata, contornarli con i carciofi croccanti e servire.