Ha esordito così, Giada Ragusa, ospite in veste di relatrice, venerdì 12, presso la sede del “Museo del Costume” di Scicli che ogni venerdì ospita la nutrita programmazione culturale dell’associazione “L’Isola”.
Inizia a narrare, disponendosi in piedi, si muove e narra, non solo usando la voce, modulata in maniera appropriata, le parole scandite coi toni giusti e distanziate da pause che ne sottolineano l’importanza nel concatenarsi dei fatti, ma fa di più, gli presta il suo corpo, forse inconsapevolmente, giusto per seguire il filo logico della vicenda interiorizzata, ma la gestualità si somma alla parola, la mano ora si alza aperta per sottolineare un “basta è troppo”, ora scivola molle in avanti per simboleggiare l’inesorabile procedere degli eventi, mentre il suo volto di volta in volta si corruccia, si distende o si contrae. Anche lo sguardo segue la narrazione, a volte sembra guardare lontano come se focalizzasse il passato, a volte si fa prossimo, focalizza l’oggi. Negli intercalari, che riportano supposti sentimenti del personaggio, gli occhi si fanno vividi, presenti, per consegnare ora il dolore, ora il trionfo, ora la soddisfazione per l’esito di una saggia decisione.
Insomma Giada narra e drammatizza, così, in maniera spontanea, senza enfasi, ma sfruttando un talento innato che le consente non solo di rendere vivo il personaggio di cui narra, ma anche il clima del contesto.
Rendere il clima non è cosa semplice, specialmente se per brevità lo si deve fare usando un solo vocabolo, ecco che allora la aiuta la postura che il suo corpo assume, ritto e rigido se si deve accompagnare il vocabolo “violento”; morbido e con spalle leggermente calate se si deve accompagnare “l’attesa subita”; rigido e con il capo in posizione altera, se si deve rendere quello del riscatto, della vittoria.
E’ così che la storia diviene incarnata, e il personaggio raccontato appare presente e palpabile.
La storia narrata venerdì 12 è stata quella di Costanza d’Altavilla, l’ultima discendente direttadella dinastia normanno-sicula fondata da Roberto il Guiscardo, eccola.
Costanza nacque a Palermo il 2 novembre 1154, figlia postuma (nasce tre mesi dopo la morte del padre) di Ruggero II re di Sicilia e della sua terza moglie Beatrice di Reth.
Costanza trascorse l’adolescenza negli ambienti della multietnica corte siciliana, crescerà vedendo una donna, la regina Margherita di Navarra, succedere a suo fratello Guglielmo I come tutrice del piccolo Guglielmo II, vede dunque una donna reggere il regno normanno.
Costanza crebbe in disparte alla corte di Palermo. La sua successione al trono era ritenuta talmente improbabile che fino all’età di 30 anni i dignitari non si preoccuparono neanche di trovarle un marito. Fu messa in convento a 12 anni e vi rimase per ben venti anni, pregando e studiando, divenne colta e saggia.
Quando il secondogenito di Guglielmo I, Guglielmo II, venne incoronato, Costanza uscì dal convento per partecipare ai festeggiamenti. Probabilmente la principessa non prese realmente i voti, ma restò alla corte di Palermo, considerata come un ramo sterile della casata. Nel frattempo vide morire fratelli e nipoti, sopravvivendo a tutti coloro che erano davanti a lei per la successione alla corona. Intanto Federico Barbarossa venne incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero.
Questo finché il nipote Guglielmo (per ragion di stato, cioè di potere) non la nominò sua erede e combinò per lei un grandioso matrimonio, tramite laboriose trattative tra la corte sveva e quella normanna.
Il 29 ottobre 1184, ad Augusta venne ufficializzata la promessa di matrimonio tra la trentenne colta e saggia Costanza e il diciannovenne Enrico di Svevia, rozzo, ignorante, violento. I due non si conoscono e non hanno neanche una lingua comune con cui parlarsi.
Costanza a seguito di questo matrimonio è costretta non solo a lasciare la vita ordinata e ascetica del convento ma anche a lasciare calore e colori della Sicilia per portarsi nel grigiore e nel freddo di un continente nordico, non ci vuole molta fantasia ad immaginare la solitudine di incomunicabilità con questo consorte così distante dalla sua indole e la conseguente sofferenza del cambiamento di contesto.
Il 28 agosto del 1185 fu lo stesso re Guglielmo a scortare Costanza a Rieti, dove una delegazione sveva aspettava la sposa per poterla condurre a Milano, dove re Enrico di Svevia la stava aspettando. Si sposarono nella basilica di Sant’Ambrogio a Milano, ove il patriarca Goffredo di Aquileia incoronò Enrico VI e un vescovo tedesco fece lo stesso con Costanza.
La sposa indossava abiti ricamati e intessuti in oro e argento, era stata accompagnata da non meno di 150 cavalli che trasportavano l’appannaggio personale e il corredo, composto da oro, argento e stoffe preziose. La dote, quarantamila libbre d’oro.
Ai sontuosi festeggiamenti milanesi intervennero principi e nobili di tutto l’Occidente, ma non passò inosservata l’assenza di Urbano III. Il Papa non vedeva questa unione di buon’occhio, preoccupato che con il matrimonio le due corone potessero unirsi rafforzando il potere imperiale a danno del papato.
Nel 1189 il Barbarossa partì per la Terza Crociata, lasciando la reggenza nelle mani di Enrico, e Guglielmo II morì senza lasciare un erede diretto. L’anno seguente, in Terrasanta, Federico Barbarossa, perse la vita.
In seguito a queste due morti Enrico e Costanza ereditano un dominio immenso, unendo la corona imperiale a quella siciliana. Costanza cominciò a fregiarsi del titolo di legittima erede della corona siciliana, appoggiata dai legittimisti siciliani. Alla corte palermitana era però grande la paura di una germanizzazione del Regno.
Nel 1190, grazie all’appoggio dei baroni e dei maggiorenti siciliani, oltre a quello della chiesa di Roma, entrò in campo Tancredi di Lecce, nipote illegittimo di Ruggero II, ma in cuor suo legittimato dal diritto di sangue ad essere legittimo erede al trono, quindi si fece incoronare a Palermo, scavalcando totalmente il diritto ereditario di Costanza.
Solo un anno dopo Enrico e Costanza partirono alla volta di Roma, dove Celestino III li incoronò imperatore e imperatrice, ma alla coppia imperiale non venne ancora concessa la corona del regno di Sicilia.
Due settimane dopo Enrico si mise alla testa di un possente esercito per rivendicare i diritti di successione della sua sposa. Dopo i primi successi seguì un periodo di stallo, durante il quale l’esercito di Enrico fu costretto a rientrare in Germania per rafforzare la posizione della casata sveva. Enrico fu costretto a rientrare senza Costanza, che, alloggiata a Salerno, venne catturata e presa come ostaggio. L’imperatrice venne mandata al cospetto di Tancredi, a Messina. Tancredi la fece trasferire dapprima a Palermo e poi a Napoli, incarcerandola a Castel dell’Ovo.
Costanza non era un ostaggio semplice da gestire: usare la moglie di Enrico come mezzo di pressione politica avrebbe potuto squalificare moralmente i Normanni presso le corti occidentali. Così Tancredi accettò la mediazione di Celestino III e Costanza venne liberata e condotta verso Roma, dove sarebbe stata sotto il controllo del Papa. Durante il trasferimento il corteo venne intercettato dagli armati dell’abate di Montecassino che liberarono la prigioniera e la condussero nei territori germanici.
Nel 1194 Tancredi morì ed Enrico, dopo essersi assicuratoappoggi politici ed economici nella penisola, iniziò una lenta discesa verso la Sicilia. Ancora una volta dovette separarsi dalla consorte che, inaspettatamente, era rimasta incinta.
Costanza aveva quarant’anni, età in cui nel medioevo le donne solitamente erano già nonne. Una gravidanza in un’età così avanzata avrebbe sicuramente dato adito a pettegolezzi di ogni genere. Costanza lo sapeva, e così trovò un modo per mettere a tacere le dicerie, lo fece dimostrando la sua grande forza d’animo ed audacia, la libertà interiore e la grande intelligenza di cui era dotata, sconvolse tutti gli schemi del tempo e si procurò dei testimoni al parto per dimostrare la sua legittima maternità al mondo e al sospettoso e rozzo consorte, nonché la legittimità dell’eredità degli Svevi e dei Normanni.
L’imperatrice voleva che non ci fossero dubbi, così quando arrivò a Jesi, il 26 dicembre, e iniziarono le doglie, fece erigere una tenda nella piazza centrale. Costanza d’Altavilla, imperatrice di Germania e regina di Sicilia, erede dei Normanni e sposa di un re tedesco, incurante del freddo, dei rischi di un parto a quarant’anni e rinunciando a ogni forma di pudore partorì il suo primogenito in una tenda aperta sulla pubblica piazza. Il bambino che vide la luce era Federico II di Svevia, lo stupor mundi, re di Sicilia, Duca di Svevia, Re dei Romani, Imperatore del Sacro Romano Impero e re di Gerusalemme.
Il giorno successivo al parto, Costanza, sconvolgendo tutti, si mostrò nella stessa piazza mentre allattava il neonato.
Nel frattempo Enrico era arrivato a Palermoe il giorno prima della nascita del suo primogenito si era fatto incoronare re di Sicilia, senza attendere di avere al fianco la donna che aveva reso possibile questa incoronazione.
L’incoronazione si svolse dinnanzi a gran parte della nobiltà siciliana, invitata dallo stesso Enrico che aveva promesso loro un’amnistia. In quella circostanza il figlio di Tancredi, Guglielmo, che aveva solamente sette anni, e che era in quel momento il successore, depose la corona appartenuta al padre ai piedi dell’imperatore rinunciando solennemente a ogni rivendicazione.
Questo clima di pace apparente non durò a lungo.
Enrico, basandosi su un sospetto, o forse trovando solamente il pretesto di dover prevenire un complotto, condannò al carcere e a morte diversi centinaia di baroni siciliani. La regina Sibilla, vedova di Tancredi, che aveva regnato come reggente insieme con le sue figlie e la principessa greca Irene, vedova di Ruggero, figlio maggiore di Tancredi, vennero destinati alla prigionia nei territori tedeschi.
Il piccolo Guglielmo subì lo stesso destino, ma prima di farlo partire venne accecato ed evirato.
Costanza, in soli due giorni, divenne regina di Sicilia e madre del successore al trono imperiale.
Da questo momento, e per il resto della sua vita, cercò con tutta sé stessa di proteggere suo figlio e il suo popolo, ponendosi a volte in contrasto con i disegni di suo marito Enrico, che tendeva a trattare il regno di Sicilia come semplice appendice dell’impero.
Costanza ebbe consapevolezza della natura malvagia, sospettosa e avida del consorte, quindi, per poter difendere al meglio gli interessi della corona siciliana,affidò suo figlio alle cure della duchessa di Spoleto e raggiunse il marito a Bari, dove l’imperatore aveva convocato una Curia per cercare di dirimere le questioni ereditarie del Regno.
Lì, Enrico decise di passare la reggenza del regno normanno a Costanza, cercando di ottenere l’unione delle due corone attraverso un passaggio graduale. Costanza si insediò a Palermo e si pose come intermediaria tra il Papa e suo marito. Da regina tentò di difendere i suoi territori dal governo del marito, ma Enrico seppe regnare solo con la violenza, infatti nell’estate del 1197 tornò in Sicilia, dove aveva scoperto una nuova congiura contro di lui, al quale era riuscito a malapena a scampare. Costanza e il papa Celestino furono sospettati di aver partecipato alla congiura. Enrico costrinse la moglie ad assistere alle torture inflitte ai suoi conterranei che avevano ordito il complotto, confinò la moglie nel palazzo reale di Palermo, sotto il controllo del cancelliere Gualtiero di Palearia.
Di lì a poco tempo Enrico si ammalò gravemente e morì, lasciando la moglie e il figlio, che aveva visto solamente due volte.
Per cercare di salvaguardare i diritti ereditari della sua famiglia, Enrico, nel suo testamento, affidò al Papa la consorte e il figlio. Secondo tali volontà il pontefice avrebbe confermato al piccolo successore la imperialis dignitasin cambio della restituzione alla Chiesa dei beni matildini. Inoltre il Regno di Sicilia sarebbe dovuto passare alla Santa Sede una volta terminata la vita della reggente e qualora il figlio non avesse lasciato eredi.
Costanza, però, non conobbe mai le ultime volontà del marito, poiché Marcovando di Anweiler, siniscalco, amministratore e vassallo delle regioni destinate ad essere cedute, fece sparire il testamento in accordo con altri nobili tedeschi che intendevano continuare a governare il Paese a nome dell’Impero.
Avevano però fatto i conti senza tenere conto dell’intelligenza di Costanza,che con enorme lucidità afferrò subito le redini del potere, e, subito dopo la morte del marito, volle immediatamente recuperare il figlio, prima che Filippo di Svevia, fratello del defunto imperatore, se ne potesse impossessare.
Trasferito il piccolo Federico a Palermo, la madre lo fece proclamare re in occasione della Pentecoste nel 1198. Libera dal vincolo matrimoniale svevo, Costanza procedette contro i tedeschi che avevano acquisito posizioni di potere durante il regno di Enrico, ricostruì la Sicilia come regno normanno, assicurandone l’indipendenza e conservandone l’eredità per il figlio; sapendo di non avere molto tempo per rafforzare la posizione del figlio, capì che l’unica soluzione per assicurare un futuro al suo bambino era porsi sotto la tutela della Chiesa.
Per questo, nel 1198, prestò a Celestino III il giuramento di vassallaggio che Enrico si era rifiutato di prestare, chiedendo di essere accolta formalmente con il figlio sotto la protezione ufficiale della chiesa, saldò così gli interessi del figlio con quelli della Chiesa.
Proprio per tale motivo negli anni a venire la Chiesa puntò su Federico per la successione imperiale.
Costanza morì nel 1198 lasciando suo figlio che aveva solo quattro anni. Prima di spirare dettò il suo testamento, nominando Innocenzo III amministratore del regno e tutore di Federico, accordandogli un rimborso sperse e un compenso annuo.
Inoltre nominò un Consiglio di reggenza che avrebbe affiancato il Papa e il figlio nel governo, dimostrando una notevole intelligenza politica, assicurando al figlio un avvenire prospero e facendo in modo che il regno di Sicilia non costituisse mai una semplice appendice dell’Impero.
Dovette affrontare l’inferno, fu oggetto dei disegni del potere, ma seppe, con la grande saggezza ed intelligenza di cui era dotata, raggiungere il disegno che aveva in testa: dare continuità alla grandezza Normanna. Altro che la scialba zitella che tutti credevano destinata all’oblio! Con la forza di una leonessa seppe porre le basi per il regno di Federico II di Svevia, lo stupor mundi.
L’abilità di Giada sta nel sapere porgere questa complessa vicenda di potere, di lotte, di sofferenze, di morti, di strategie, di sospetti, di contrasti e di violenze, in meno di mezz’ora, e nel riuscire a farla percepire come un pregiato francobollo, la cui effige di spicco è Costanza, e il resto una ragnatela che costituisce lo sfondo.
Carmela Giannì