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CRONACHE “MARZIANE” TRE

Modica, 26 -03 – 2020
Non basta la clausura. Marzo, sempre più marziano, regala giorni di pioggia e temporali, un aiuto a restare chiusi in casa anche per le condizioni climatiche proibitive.
Il detto siciliano “comu l’acqua nna marzu”, così pregnante della vita vegetale che presto germoglierà favorita dalla pioggia, contraddice con la nostra constatazione odierna; una pioggia per niente gentile ma rabbiosa, invernale, ritmata dal tambureggiare di tuoni e raffiche di vento, una pioggia che si insinua nell’anima.
L’unico calore resta quello degli affetti, delle amicizie antiche e recenti, oltre a quello della borsa d’acqua calda, la mia special guest star del momento. Si chiacchiera per esorcizzare la durezza del comune clima interiore, come se niente fosse, sfidando tutti quelli che finora si sono dichiarati refrattari a Facebook, tutti gli arcigni estimatori (laudatores temporis acti…) del contatto esclusivamente reale. Sul Web si scopre di essere comunità, di essere amici senza bisogno di sfiorarsi e stringersi la mano, con una canzone o un video postati a mo’ di consolazione. Così, il temporale di ieri si trasfigura nelle magiche note di Jobin, nella voce di Elis Regina che eseguono “Agua de março” con la promessa di vita “no teu coraçao”. È successo anche che il mio amico americano, William Parker, mi dedichi scene del musical “Carousel” con la canzone “You’ll never walk alone” e sai che si sta camminando insieme, con lo stesso intento: non siamo soli in questa comune resistenza che non ha nemici visibili.
Non esci e ti prendi in giro sorridendo del caffè che “è uscito”, lo versi fumante nella tazzina e non ti mancano gli espressi del bar preferito fino al gennaio a.C. (leggi giusto: avanti Covid).
Stai dentro casa perché lo ritieni necessario, senza bisogno delle urla di primi cittadini et similia che cominciano a colpevolizzare i privati, arringandoli oltre ogni tollerabile soglia di sopportazione, facendo nascere invece una bastardissima voglia di disobbedienza perché le imposizioni sono pericolose dappertutto, a Messina come a Timbuktu.
Serve solo un grande amore per la vita, come ha detto ieri Alberto Angela puntando l’attenzione sui valori stratificati nel “modello Italia”.
Oggi, questo mese marziano non demorde col gelo e la pioggia, ma stamattina ci ha svegliati con un sorriso e con quel patto che Noè ha stretto con Dio quaranta giorni dopo l’inizio del diluvio universale, quando una colomba ha portato un ramoscello di ulivo e in cielo è apparso l’arcobaleno.

Marisa Scopello

 




La Modica di Enzo Belluardo




VITA SOSPESA

Senza fretta, tanto non c’è nessun piano B. Ho depennato la festa del papà, la sciclitana Cavalcata di S. Giuseppe, le frittelle con uvettta e noci. Libera da impegni che poi tanto pressanti non erano, libera di non fare nulla solo per il mio stupido piacere personale, attraverso la colazione nel sole sbiadito che promette una giornata altrettanto sbiadita. Dove lo trovo l’entusiasmo di recitare queste ore mentre sfilano i camion dell’esercito a Bergamo? Peggio dei medievali Trionfi della Morte e Branduardi continua a cantare Lei che porta la Corona, signora e padrona di tutti noi.
Mentre la maglia si disfa e i punti scivolano giù creando binari di vuoto, il tempo di riprenderli si congela. Annaspiamo fingendo il tifo da curva Sud in questo stadio di mascherine e disinfettante cercando appigli, ciambelle di salvataggio che abbondano
(la musica, la danza, gli affetti) ma lasciano il tempo che trovano. Il problema è che è brutto, infinitamente brutto, sentirsi chiusi in gabbia per quanto dorata possa essere; un recinto senza pascolo e transumanza, pochi metri e una ruota su cui fingiamo di percorrere chilometri restando fermi nello stesso punto. Non si può andare a teatro? Il teatro viene da te. Non si può passeggiare lungo il mare lontano? Una spiaggia caraibica viene da te. Non si può guardare dal vivo un panorama mozzafiato? Viene anch’esso da te grazie al Web. Un’apparenza di consolazione.
Anche parlare diventa un’arte difficile perché spesso il dialogo, anche quello più interessante, diventa monologo. Forse è sempre stato così ma, in questa solitudine da monade senza porte finestre balconi, la sensazione si acuisce: tutti scimmie sul comò, ambarabà ciccì cocò.
Stamattina ho salutato con la mano Peter Pan che spiccava il volo seguendo la sua rotta certa (seconda stella a destra…), però oggi ho piedi di balsa e non so trovare l’aire, l’impulso ad alzarmi da terra per intraprendere un viaggio qualunque. Troppi Lestrigoni, Scilla e Cariddi, senza canto di sirene, illusorie ma balsamiche per ferite che non rimarginano. Provo ad abbracciare il mio bagolaro, provo a mandare a memoria una battuta di Amleto ma le parole del copione assumono forme cirilliche illeggibili; impasto polpette e sorrido di me col sorriso storto che mi riesce meglio “Pensi ancora a mangiare, Marisa? Brava, impegna le mani e lo stomaco, non ti resta altro”
Altro? Come no, ci sono i castelli in aria…Quattro anni fa ne ho ricamato uno sulla copertina di mia nipote, l’ho piazzato sopra una nuvola contornata di rosa, con torri svettanti, finestre e tanti merli. Poi penso che quei “merli” oggi sono spennacchiati. E buonanotte.

Marisa Scopello

 




LA SCUOLA AI TEMPI DEL CORONAVIRUS

“E’ nella separazione che si sente e si capisce la forza con cui si ama”. Questa frase del grande autore Dostoevskij mi ha fatto riflettere molto… In queste settimane così buie, dove ogni cosa sembra aver perso improvvisamente il suo vero senso, ecco che in questa solitudine forzata, in questo silenzio di disperata ricerca, ricompare l’unica vera forza che ci riporta tutti a sperare: la forza dell’amore! La separazione violenta dai nostri cari, la separazione dai nostri parenti e amici, la separazione dai nostri colleghi, dai miei ragazzi, da quei volti che ogni giorno riempivano di sguardi e parole le nostre frenetiche vite, questo brusco distacco ci ha segnato nel profondo…

Devo ammettere che non è semplice tradurre in parole l’insieme di sentimenti ed emozioni che sto provando in queste settimane.

Sono una madre che deve mostrarsi sempre forte e speranzosa, sono un’insegnante che ce la sta mettendo tutta per infondere ottimismo agli allievi e per non perdere soprattutto quei ragazzi che anche prima di tutto questo tendevano a sfuggire di fronte alle proprie responsabilità. Ma non è semplice, per nessuno di noi lo è! Il distacco ferisce, la distanza disorienta, avvilisce, deprime con la sua ingombrante presenza, il vuoto della separazione ti circonda, ti costringe a ricordare azioni, gesti, sguardi che nella routine neanche vedi: piccole cose che ogni giorno intrecciano la relazione con l’altro, gesti quotidiani che quasi non curi perché scontati, aspetti dell’altro che solo adesso mancano davvero, adesso che non ci sono e sei costretto ad inseguire dietro un rigido schermo… L’isolamento ti costringe a guardarti dentro, a scavare per ritrovare momenti, sguardi, parole e comportamenti dove si è costretti a rileggere le tue azioni come da uno specchio ed infine capire… Capire quanto in verità ami, che persona sei e cosa semini ogni giorno della tua vita, la solitudine ti costringe a comprendere quanto ti spendi veramente per gli altri in questo tuo piccolo universo di relazioni…

DAD l’hanno chiamata, la didattica a distanza attivata immediatamente dalla maggior parte di noi docenti, subito incitati dalla Ministra ma certamente spinti da un forte senso di responsabilità verso gli alunni che di colpo si sono ritrovati a casa, senza una guida concreta con cui interagire. Il Ministero dell’Istruzione ha immediatamente messo in campo una serie di provvedimenti per attivare ogni misura che consenta di non “perdere” gli allievi, è stata allestita anche una sezione appositamente dedicata alle scuole dove è possibile trovare piattaforme, webinar e contenuti digitali di supporto ai docenti e agli studenti, così che possano continuare le lezioni senza la brusca interruzione forzata dall’emergenza sanitaria. Inoltre il MIUR ha predisposto che i dirigenti scolastici organizzino un attento monitoraggio del lavoro DaD attuato nel proprio istituto e relazionino tale ricerca attraverso un questionario online di monitoraggio.

Sta funzionando davvero? Nel mio istituto ci siamo attivati subito, soprattutto si sente il peso e la responsabilità per gli allievi che devono affrontare la maturità, e non solo per quelli!  Ho tirato fuori ogni mia pregressa conoscenza in campo per attivarmi e non perdere i contatti con gli studenti, ma l’aspetto che salta subito fuori e che a mio parere rappresenta la grande controversia a questa forma di didattica è che non tutti i ragazzi hanno pari opportunità. Infatti c’è chi tra loro non è dotato di strumenti che gli consentano di fruire di tutti i servizi attivati da noi docenti, e questo è un aspetto antidemocratico che genera disparità, e nello stesso tempo ti fa comprendere che ogni azione deve essere fruibile a tutti, senza distinzione alcuna. Oltre alla preparazione tecnologica e informatica è ovvio che un docente deve dare altro, in questo momento così difficile ciò che conta prima di ogni contenuto o programma è la relazione. Ho sentito subito il dovere di non perdere con i miei studenti la relazione, il dialogo e l’attenzione per ognuno di loro, ma devo ammettere che non è per nulla semplice. La scuola è RELAZIONE, è confronto attivo, è dialogo, è crescita, non è una fredda trasmissione di contenuti da imparare e riportare a memoria. Insegnare significa donare ogni giorno una parte di te, delle tue passioni, dei tuoi interessi, ma è anche ricevere… Insegnare significa mettersi ogni giorno in discussione con se stessi e avere la capacità di mutare per riuscire a trovare la chiave d’accesso di ogni studente che ti ritrovi davanti, una chiave che lo aiuti a scoprire ciò che è e la strada che vuole percorrere… Ed è proprio questo che più manca in una forma DaD di scuola: crescere insieme nella relazione e nel confronto, ogni giorno. Ma so che i ragazzi non si perderanno, perché in questi giorni più che mai tutti sentiamo dentro una forza che ci ricorda un grande dovere: resistere, per poter tornare alla nostra quotidianità magari con una maggiore consapevolezza di quanto prezioso sia l’incontro quotidiano con l’altro!

Graziana Iurato




I PUFFI E IL DEGUELLO

“Che è meglio”, una frase di Puffo Quattrocchi che torna come un mantra in questi giorni: sto in casa che è meglio, non guardo telegiornali che è meglio…
La mattina, col sonno appena lasciato, per un attimo pensiamo a organizzarci la giornata secondo i consueti canoni, poi ci rendiamo conto che non andrà così e allora ci difendiamo con i nostri “che è meglio”. Piccola e povera consolazione quando la musica prevalente è quella di un Requiem che stride con le immagini di tenera bellezza delle lepri che saltano per i prati milanesi.
Requiem che tocca sino in fondo se tra i morti anonimi (idea falsa, perché i morti sono sempre di qualcuno) incominciamo a riconoscerne alcuni; fa sentire più accanto l’alito pestilenziale e, su un proscenio immaginario, vediamo scorrere le mura sfondate, gli spari, gli ordini urlati dal gen. Santa Ana a Fort Alamo, e Davy Crockett assediato mentre la tromba suona il Deguello, avvertendo che nessuno sarà risparmiato. Il nemico invisibile soffia nella sua tromba e si dilata senza rispettare confini, si espande e pianta le sue tende luttuose in ogni dove; realizziamo la sensazione di sentirci come il toro accerchiato da picadores e banderilleros, spettacolo atroce e fatale a senso unico.
Eppure resistiamo sorridendo (per quel che si può) con Michele Arezzo che, in streaming, domenica 22 racconta di Giovannino Guareschi, del suo “Zibaldino” e porta un po’ di bellezza con le sue letture sempre eleganti e motivate.
E sorridi di quelle lepri, dei delfini in laguna, sorridi alla tortora che si posa sul cortile tubando e non sapendo.
Oggi voglio chiudere fuori la pioggia, scaldarmi con l’ennesima borsa d’acqua calda e sforzarmi di credere alla “social catena” di persone che aiutano persone come canta la mia amica Ilde nel suo video. Ci debbo credere, ci dobbiamo credere. Che è meglio.

Marisa Scopello




UNA NOVELLA NON SOLO UNA NOVELLA

I nostri lettori conoscono bene Sascia Coron, autore da anni della rubrica “versi di versi per versi e detti male detti” di questo giornale. Sascia Coron altri non è che Saro Jacopo Cascino, il cui libro “Una fra quelle delle novelle nate e narrate sotto le stelle” è stato recentemente presentato alla Biblioteca Comunale.

Se oggi ci accingiamo a parlare di questo libro non è per farne la recensione, ché già è stata ampiamente trattata splendidamente da Carmela Giannì nell’articolo in cui ha raccontato la serata, ma vogliamo soffermarci sul personaggio Saro Jacopo Cascino attraverso la sua scrittura.

Leggerlo è affascinante, così come è affascinante la lettura di questa sua “novella”, che trascina il lettore in un mondo fantastico, come il fluttuare in un sogno, come il perdersi a guardare le stelle in una notte d’estate.

A rileggerlo però si scivola nel raziocinio, che disvela il pensiero generatore della favola, che individua l’essenza della natura umana, dei rapporti sociali, dei limiti della mente.

Ma a rileggerlo ancora il fascino del testo appare in tutta la sua bellezza, perché ne emerge l’ironia, che si evidenzia man mano in tutta la sua eleganza, sottile, molto sottile, ma che, una volta afferrata, trasforma il sogno nella realtà più vera. Una realtà amara, che solo attraverso l’ironia si può affrontare e vincere.

Forse è un’ironia penetrata in lui dalla lunga parte della vita trascorsa a Roma, dove questa costituisce una componente integrante del carattere, che consente di affrontare la vita con tutte le sue vicissitudini, le sue difficoltà, i suoi drammi, con un sorriso, a volte amaro, a volte elemento di quel coraggio che ha consentito ai romani di conquistare un impero, di perderlo, di essere servi e re, umili e orgogliosi, ma di andare avanti, sempre e comunque, con la “tigna” che li contraddistingue e mai li abbandonerà.

Ci piacerebbe riportare qualcuno dei passi più significativi, di quelli che più ci hanno affascinato, di quest’aspetto della “Novella”, ma, a malincuore, non lo facciamo per lasciare al lettore tutt’intero il gusto della scoperta, della scoperta e della riscoperta, il godimento puro che nasce da questi passi, da questi guizzi, da queste puncicate (per dirla proprio alla romana) dell’anima, dell’intelletto.

Perché sì, la forza narrativa che appartiene alla scrittura di Cascino avviluppa ogni lettore accompagnandolo sia sotto che sù fra le stelle, ma non è, non può essere, questo il messaggio del suo libro, quanto piuttosto la condivisione del gusto di scavare ironizzando nel cuore delle cose, delle anime, delle menti.

Abbandoniamoci dunque al gusto delle sue parole e dei suoi pensieri. Forse questo difficile momento che stiamo vivendo è proprio quello migliore per farlo… nel modo migliore. E’ il momento di volar via e di sognare, ma anche di pensare, di riflettere e soprattutto di riflettere sulle tante sciocchezze che sono dentro e fuori di noi e di riuscire a coglierne quella scintilla di sorriso che sola saprà darci l’energia e la voglia di saltar fuori dalle nostre e dalle altrui pene per riconquistare noi stessi e una più nostra realtà.

LuM




Semplicemente, grazie!




CONOSCERSI

Che sia scappato da un laboratorio o che sia stato elaborato da pipistrelli cinesi, il Covid 19 ha un grandissimo merito: è un preciso messaggio, un segnale ultimativo che la Natura ci manda.

La Natura ha le sue leggi che a noi umani possono sembrare a volte ingiuste e crudeli, ma sono quelle che hanno permesso al pianeta Terra di nascere e che ne determineranno la fine. In un momento del suo tempo incommensurabile, a un certo punto è comparsa la razza umana.

Siamo scesi dagli alberi, ci siamo evoluti, e abbiamo incominciato ad usare le risorse del pianeta come roba nostra, convinti che tutto il Creato fosse stato fatto solo per noi. Questa convinzione ci ha spinti, spesso a causa di credenze religiose da noi inventate per confortarci davanti allo sgomento dell’ignoto, ad andare contro le leggi della Natura modificando territori, manipolando geneticamente il mondo vegetale, violentando il mondo animale. Per secoli il pianeta, che ha spalle larghe, ha sopportato le nostre ingerenze. Certo ogni tanto, per ricordarci chi è il vero padrone, un bel terremoto, un diluvio, una lunga siccità o una pestilenza la Natura non ce li ha fatti mancare, ma mai come dall’inizio del secondo millennio d.C. l’allarme per la nostra probabile imminente estinzione si è fatto così pressante. La Natura, di cui noi facciamo parte, ci vuole bene: siamo figli suoi, e ci corregge quando eccediamo.

Non tutte le catastrofi naturali avvengono per caso: l’estrazione dissennata di gas e petrolio potrebbe aver causato dissesti nel sottosuolo, e c’è oramai la certezza che l’uso dei carburanti fossili abbia generato i disastrosi mutamenti climatici di cui tutti ci siamo accorti, tranne certi capi di stato incoscienti, ignoranti e probabilmente corrotti e conniventi. Anche gli eccessi di violenza e di fanatismo stragista che negli ultimi tempi si fanno sempre più folli e frequenti sembrano mirare allo stesso obiettivo: Umanità, stai andando verso il baratro e il tempo per fermarti, riflettere e rimediare è sempre più corto!

Ora che mezzo mondo è in guerra contro un nemico invisibile e subdolo, si dovranno giocoforza riscoprire valori antichi: solidarietà, collaborazione, amicizia, umiltà e non pecorile obbedienza. Rinchiusi in casa, completamente soli o in coabitazione forzata, avremo tutto il tempo, se ne abbiamo la voglia, di conoscere meglio noi stessi e chi ci sta vicino.

Il prezzo da pagare per questa opportunità dataci per rinsavire è certo molto alto: migliaia di persone morte soffocate, in crudele solitudine, senza il conforto di una parola o di uno sguardo dei propri cari, lasciati piangenti a vedere file di camion militari carichi di bare da portare ai crematori chissà dove, senza un abbraccio, senza un fiore.

Il peso sulle strutture sanitarie pubbliche è mostruoso, e il sacrificio richiesto ai medici e agli infermieri è sovrumano. A tutti pesa l’obbligo di stare chiusi in casa rinunciando alle tante abitudini che rendono sopportabile, se non addirittura piacevole, il tran tran quotidiano.

Il malefico virus coronato, nel colpirci così duramente, ci sta dando delle opportunità insperate di rilettura di scelte fatte a tutti i livelli.

Salta agli occhi di tutti lo scempio compiuto su un servizio sanitario nazionale che era uno dei migliori del mondo. La Sanità è stata trasformata in azienda e messa in mano a manager scelti esclusivamente con criteri di appartenenza politica rivelatisi incompetenti e ladri, con sprechi dissennati di soldi dei contribuenti e avvilimento di eccellenze professionali. L’introduzione del numero chiuso per l’accesso alle facoltà di medicina e lo smantellamento della sanità pubblica in favore di quella privata hanno determinato incapacità e disorganizzazione di fronte all’emergenza: troppo pochi medici e pochissimi posti letto.  La sperequazione tra nord ricco e sud arretrato è stata per ora brutalmente livellata dal virus che ancora sta seminando morte prevalentemente nelle regioni settentrionali ma, se come è probabile che avverrà, la sua diffusione colpirà alla stessa maniera nel meridione, la anticostituzionalità della sistematica divisione tra cittadini di serie A e di serie B rivelerà in pieno e senza scampo questa vergogna nazionale agli occhi di tutto il mondo.

La frammentazione dei poteri decisionali tra regioni e comuni, enti creati come cloni del parlamento nazionale con tutti i suoi difetti e gli scarsissimi pregi, è la fonte dell’incapacità di affrontare l’emergenza in modo efficiente ed univoco. Il caos creato da ordini e contrordini, da proclami terrorifici e da false notizie, se da un lato ha permesso al virus di diffondersi velocemente, dall’altro ha messo in luce quanto il senso del termine Democrazia abbia perso anche la più esile traccia di potere del popolo, trasformata in mera demagogia da una classe politica indecente che si azzuffa  per scippare quanto più possibile a proprio vantaggio, alla faccia del popolo sovrano. Fortunatamente, nei momenti più tragici l’Italia riesce sempre a tirar fuori l’asso dalla manica, anzi due: il Presidente Mattarella e il premier Conte, che si stanno impegnando senza tregua mettendoci la faccia e caricandosi di responsabilità enormi per rassicurare e confortare la gente e in contempo redarguire severamente chi rema contro e dare rapidamente direttive quanto più efficaci possibili. Naturalmente c’è gente dalla faccia di bronzo che, pur profumatamente pagata, raramente ha messo piede alla Camera o al Senato e ora pretende che ogni decisione debba seguire l’iter parlamentare con sedute fiume, denunciando un vulnus alla democrazia di stampo fascista!

La chiusura delle scuole sta facendo toccare con mano quanto il sistema scolastico sia arcaico e quanto ancora sia lontana la capacità di servirsi intelligentemente delle moderne tecnologie. La stessa esistenza dell’edilizia scolastica potrebbe essere messa in crisi da una didattica esclusivamente esperita per via informatica, certamente più agile, veloce e plasmabile a seconda delle esigenze e delle capacità del singolo studente, ma la Scuola perderebbe quella funzione socialmente educativa e di confronto che, solo stando insieme a stretto contatto tutti i giorni, permette la crescita armonica della personalità e del carattere.

A scuole chiuse e con l’obbligo di stare a casa, molte famiglie si ritroveranno se i genitori sapranno dedicare il tanto tempo a disposizione al dialogo tra di loro e con i figli.

Tante coppie “scoppieranno” definitivamente, speriamo ricorrendo ad un civile divorzio e non ad un uxoricidio. Per contro, a bilanciare le perdite dovute alla pandemia, si potrebbe verificare un baby-boom: l’INPS, con tanti vecchi morti e tanti futuri versatori di contributi nati, accenderà un cero alla Madonna per grazia ricevuta!

Mai come adesso la solitudine dei vecchi, l’accudimento dei disabili, la vita raminga dei senza tetto e dei tanti immigrati, la tossicodipendenza di tanti ragazzi spiccano come problemi mal affrontati e irrisolti, drammi nel dramma della pandemia.

Tanta gente ha riscoperto i valori del buon vicinato, del darsi una mano. La vita in condominio sembra aver abbandonato i tradizionali atteggiamenti di insofferenza e di litigiosità endemica tra condomini: c’è chi si offre di fare la spesa per gli anziani, si canta tutti insieme in flash-mob sui balconi… e c’è anche chi presta il proprio cane al vicino per consentire a quest’ultimo un’uscita lecita da casa: classica furbata italica.

Al pubblico ludibrio vengono additati comportamenti stupidamente pericolosi che fino a pochi giorni fa sarebbero stati assolti con un sorrisetto complice scioccamente buonista, in ammirazione dell’astuzia. Quanti sono rientrati dal nord infetto o hanno avuto contatti con persone possibili portatrici del virus senza autodenunciarsi per evitare la quarantena sono classificati come untori. Se poi certe “leggerezze” connotano operatori sanitari o impiegati a contatto col pubblico, la crocifissione è assicurata. Anche la incredibile quantità di gente che corre per strada e nei parchi, o che porta a fare pipì otto volte al giorno il cane non è più tollerata: fino a qualche giorno fa il popolo italiano più che da eroi, santi e navigatori sembrava essere fatto di maratoneti e di dog sitter.

C’è ancora qualcuno che riesce di straforo a frequentare palestre compiacenti: certo che il passo da palestrati a palestronzi è breve assai. Per combattere comportamenti idioti come questi e per regolare l’accesso ai supermercati, dove intere famiglie continuerebbero ad entrare in massa senza guanti e senza la scomodità della mascherina per accaparrare di tutto – tranne le penne lisce, beninteso! – oltre alle forze di polizia è dovuto scendere in campo l’esercito! Stanno fioccando migliaia di denunce penali e di salate multe: chissà se con un po’ più di bastone e meno carota si riuscirà ad attivare le cellule cerebrali di certi individui.

Viene assolutamente esecrato il sistematico ricorso alla truffa e al furto di miserabili speculatori che non si fermano davanti a niente, lucrando sui presidi di protezione approfittando della paura della gente!

Andrà riformata quanto prima la struttura e la funzione dell’Europa Unita, che sta reagendo scomposta all’emergenza, permettendosi di sbeffeggiare l’Italia e di sottrarci financo i soccorsi mandati dalla Cina o di rubare carichi di presidi medici già pagati in transito nei loro paesi. L’atteggiamento borioso dei paesi occidentali e il nazionalismo becero dei paesi dell’est nei nostri confronti, con la mancanza di collaborazione e la chiusura delle frontiere sono stati puniti e di fronte al dilagare dell’epidemia l’Europa si è dovuta allineare al nostro modo di affrontare il morbo,            con goffe scuse tardive. Quello che ancora l’Europa fatica ad accettare è l’ammissione che Maastricht è stato un errore, così come tutta la politica monetaria che da quel nefasto accordo è derivata. Se quest’Europa continuerà ad essere un coacervo di nazionalismi prevaricanti, miranti solo al mantenimento di un regime economico che ha impoverito la gente e arricchito senza alcun merito banche d’affari e speculatori, incapace di esprimere un’unità politica interna e una politica esterna univoca, non ha senso tenerla in vita.

Quando questa situazione di emergenza sarà passata, nulla sarà come prima: se oltre ad aver imparato tutti a lavarci le mani come fanno i chirurghi avremo anche capito che la vita dell’Homo Sapiens continuerà solo ripensando il nostro modo di confrontarci con la realtà che ci circonda, con la riscoperta dei valori del rispetto, dell’amicizia e della collaborazione, ne saremo grati al Covid-19 e alla Grande Madre che ce lo ha mandato.

L.de Naro Papa

 




UNA CORONA TROPPO PESANTE

Siamo già assenti.

Era gennaio quando abbiamo sentito per la prima volta la parola coronavirus, da quel giorno, in poco più di due mesi, quella “corona” la stiamo portando tutti addosso ed è pesantissima, sia i contagiati, sia tutto il resto della gente  che sta chiusa a casa o che lavora con le dovute accortezze e anche quell’altra parte di gente che non ha casa e vive sulla strada abbandonata a se stessa, soprattutto, ad oggi, sono già troppi coloro che, pur lottando, aiutando, non mollando, sono rimasti schiacciati dal suo peso e se ne sono andati all’insaputa di tutti pur apparendo ogni giorno in una conta.

I bambini, prima di tutti noi, sulla loro testa stanno portando una corona troppo pesante, stanno vivendo e hanno già imparato a mantenere la distanza di un contatto fisico, chiusi in una stanza, seduti davanti a uno schermo studiano, giocano, fanno palestra, viaggiano.

Per gli adulti è più difficile, soprattutto per gli anziani che hanno sentito parlare di tecnologia ma non l’hanno mai vissuta completamente e quindi, soli, chiusi in casa o in casa di riposo, senza essere visitati neppure dai propri figli, aspettano con paura il momento in cui avranno più bisogno di una carezza e di una mano stretta nella loro consapevoli che nessuno oserà avvicinarsi ad abbracciarli per sentirne l’ultimo respiro.

Noi che siamo tutti gli altri, intanto ci additiamo dentro a un contesto surreale, fatto di silenzi se ci incontriamo a un metro di distanza, di teste basse, di occhi che non si incontrano più, di sorrisi che non esistono più, arrabbiati col mondo intero e non con noi stessi giudichiamo chiunque osi transigere le regole che ci sono state inflitte, senza sapere niente l’uno dell’altro e come va a finire, però cantiamo dentro a una catena quasi già del tutto spezzata e aspettiamo tempi migliori senza voler neppure immaginare che quando torneremo non saremo più gli stessi.

Non sorrideremo più a nessuno per strada, non alzeremo più i nostri occhi al cielo neppure per pregare, non guarderemo più il mare, non abbracceremo più i nostri figli.

Forse avremo salvato il pianeta terra ma non noi uomini che di superficialità abbiamo vissuto con codardia e senza rispetto, soprattutto senza nessuna responsabilità verso noi stessi.

La storia siamo noi, ma queste pagine che stiamo scrivendo sulla nostra pelle, un giorno avranno cancellato la maggior parte dell’esistenza umana sulla terra e nessuno saprà mai come le abbiamo scritte, perché le cose non raccontano ma si fanno manovrare a piacimento da altre cose.

A questo punto le altre cose siamo noi, oggetti e non soggetti.

La corona la stiamo portando tutti in testa e non ne siamo orgogliosi, siamo tutti re dentro a una reggia senza corte.

Sofia Ruta   




CHIARA CIVELLO. SEMPLICEMENTE MUSICA

Un’idea intelligente e generosa nei confronti di un pubblico relegato a casa, preoccupato, ma anche annoiato, è quella dei concerti in streaming che alcuni artisti hanno voluto offrire. Fra questi, la nostra Chiara Civello, che si è esibita in un repertorio delle sue canzoni più amate dal pubblico.

L’ha fatto con la solita eleganza, ma anche con la sua semplicità, in jeans e maglietta, come se accogliesse un gruppo di amici (tanti amici!) in casa sua, mettendoli a loro agio, ma offrendo un regalo prezioso, il regalo della musica. E cosa può esserci di più importante in questo momento di tristezza e di paura della musica, quella medicina che placa l’animo, che infonde speranza, portando dentro di noi la bellezza e quindi rendendo belli anche noi, belli, sani, forti, invincibili?

Molti dei brani eseguiti li possiamo ascoltare nei suoi dischi, ma questi, per quanto costruiti in modo pregevole e professionalmente molto alto, sono comunque privi di quell’afflato che nasce tra artista e pubblico nell’ascolto della musica dal vivo. E c’erano anche quei pezzi che, pur non avendoli incisi, è solita cantare nei suoi concerti, come la bellissima “Moon river”, la colonna sonora di quel delizioso film “Colazione da Tiffany” interpretato dall’indimenticabile Audrey Hepburn. Proprio a proposito di questa canzone, vorrei raccontare un mio ricordo lontano, del tempo in cui Chiara era ancora una ragazzina e assistevo ai suoi primi passi nel mondo delle esibizioni in pubblico. Non so se fu al suo primo concerto o a un’esibizione tra amici, a un tratto lei disse che avrebbe cantato una vecchia canzone che amava moltissimo. Era “Moon river”. Finito il concerto, le chiesi come mai proprio quella canzone: “E’ la mia canzone preferita” rispose. Non so se lo è ancora, dopo tanto tempo, ma fu in quell’istante che capii fino a che punto Chiara appartenesse alla musica: nonostante la sua giovanissima età, per lei non esistevano le canzoni del momento, quelle che i suoi coetanei amavano cantare, per lei esistevano le canzoni, le canzoni di ogni tempo e di ogni luogo, la Musica insomma.

Ora so di poter dire (forse pure con un po’ d’orgoglio) che non mi sbagliavo.

Oggi Chiara Civello è una cantante di fama mondiale ma continua a pescare fra le canzoni del passato così come ne compone di nuove. In questo concerto in streaming, oltre all’amata “Moon river”, alla splendida “Io che amo solo te” e a tante altre del suo repertorio, ci ha voluto regalare un’esecuzione di “Besame mucho” per solo voce e percussioni di un fascino e un’eleganza da mozzare il fiato.

Musica, semplicemente Musica.

Ai tanti appassionati, vogliamo ricordare che la cantante ha in cantiere due nuovi dischi, uno di canzoni brasiliane e uno in cui per la prima volta si esibirà in un repertorio tradizionale francese. L’anno scorso, quando uscì il suo ultimo disco, “Eclipse”, scrissi che il suo stile, la sua eleganza invogliavano ad ascoltarla proprio in un repertorio francese. Sicuramente nemmeno lesse quelle mie parole, ma il suo cammino non poteva non portarla anche lì. Ora non ci resta che aspettare, con ansia, questi dischi.

Luisa Montù