Alla vigilia della scorsa Pasqua, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ha messo in allarme le prefetture circa la probabilità che il regime segregatorio, a cui tutta la nazione è sottoposta, possa generare moti di piazza di ampie frange intolleranti e recrudescenza delle attività criminali, fenomeni pilotati da estremismi politici e da interessi della malavita organizzata.
La preoccupazione è nata dopo le rivolte carcerarie dei primi di marzo, innescate da una serie di notizie riguardanti la diffusione del corona virus all’interno degli istituti penitenziari. Le notizie erano in larghissima parte false ma ben diffuse da chi ha orchestrato le proteste, che si sono diffuse a macchia d’olio in tutto il Paese. Ci sono state evasioni in massa, incendi e vandalismi. Anche parecchi morti, non da improbabili precoci contagi, ma da overdose di sostanze tossiche e stupefacenti procurate con il sistematico saccheggio delle infermerie.
Lo Stato insiste nel carcerare individui tossicodipendenti, autori di reati minori legati all’uso di sostanze stupefacenti, insieme a criminali incalliti e pericolosi. Ci dovrebbero essere invece strutture rieducative specifiche o pene alternative alla galera: è troppo facile, per chi ha interesse a creare disordini, abusare del malessere causato dall’astinenza per pilotare la protesta, aizzando i soggetti psichicamente più fragili. Ricordiamoci che dalla fine di febbraio erano state sospese le visite dei parenti che, come si sa ma si finge di non sapere, sono la via preferenziale per l’ingresso delle droghe nelle prigioni, e che quindi lo stato di astinenza era molto diffuso.
Le carceri, come le residenze per gli anziani, dovrebbero essere istituzioni protette, di massima sicurezza. Invece, per insipienza e cattiva percezione del fenomeno, è stata lasciata via libera alle visite ai vecchi, e figli e nipoti inconsapevoli hanno causato la strage dei nonni. Nelle carceri i contagi sono stati minimi e comunque causati da elementi esterni: si sono contati più contagiati tra gli agenti di custodia che non tra i detenuti. Per evitare danni maggiori in situazioni di sovraffollamento, stato purtroppo comune delle patrie galere, sono state fatte uscire alcune migliaia di detenuti per pene minori.
Ma lo scopo delle rivolte era quello di riportare a casa, con la scusa della pandemia associata all’età e a malanni preesistenti, i capimafia sottoposti al regime del 41/bis assieme ai trafficanti e agli esattori del pizzo. Ci sono riusciti, grazie ai giudici di sorveglianza che applicano la legge. Legge discutibile? Dura lex, sed lex!
Tutti questi bei tomi, quasi quattrocento persone, sono state scarcerate e mandate agli arresti domiciliari, pronti a ricevere l’omaggio dei devoti e certamente in grado, fosse pure in punto di morte, di riprendere in mano lo scettro del comando.
Vista l’ondata immediata di indignazione popolare, il ministro guardasigilli Bonafede sta cercando adesso di mettere delle pezze per rattoppare una tela lisa e strappata, ma il danno è fatto e l’immagine della giustizia ha avuto una nuova, pesante mano di fango dal popolo, dai media, dall’opposizione e, come ciliegina sulla torta, dall’affaire Di Matteo: una faccenda oscura e maleodorante nella sostanza, e devastante per come è stata resa pubblica.
Il 2 maggio, in occasione dell’ennesimo miracoloso scioglimento del sangue di San Gennaro, il cardinale Crescenzio Sepe, oltre ad aver affidato Napoli e i suoi cittadini alla Madonna e al santo patrono, ha ritenuto opportuno mettere in guardia la popolazione, specie quella dei rioni più problematici, da un virus ben peggiore del Covid19: le mani della camorra sui traffici innestati dalla pandemia! Eminenza, non le pare di essere fuori tempo massimo? Il malaffare si è già annidato dentro quest’emergenza fin dalle prime avvisaglie, e non si tratta solo di camorra o di ‘ndrangheta, ma anche di gente organizzata meno pittoresca, ma altrettanto pericolosa e con le cosche collusa: affaristi, imprenditori disonesti, mezze tacche politiche sono all’opera come iene e sciacalli, esattamente come fu al tempo del terremoto dell’Aquila e poi di quello di Amatrice. Riusciranno santi e madonne ad aver ragione della pestilenza?
In un rigurgito di medievale idolatria, perfino un uomo esperto delle cose del mondo e della Chiesa come Papa Francesco se n’è andato a piedi a pregare davanti al crocefisso trecentesco “miracoloso” conservato nella chiesa di San Marcello al Corso. Il simulacro è stato poi portato in Piazza San Pietro, unico testimone sotto una pioggia battente, della liturgia del Venerdì Santo officiata in spettrale e drammatica solitudine dal Santo Padre. Riuscirà questa immagine a ripetere il miracolo di sconfiggere questa moderna pandemia, come si narra che fece nel ‘500 contro la peste?
Vista la solerzia inaspettata con cui la Chiesa ha bloccato i pellegrinaggi verso tutti i santuari fin dall’inizio dell’epidemia, a cominciare dalla chiusura della piscina della miracolosa acqua di Lourdes, viene il sospetto che neanche la Chiesa stessa creda alla possibilità di un intervento miracoloso di qualcuno della Santa Famiglia…
A ben vedere però forse un miracolo è già avvenuto se la Scienza è entrata nelle sacre stanze e ha convinto a non esitare nell’impedire che masse di fedeli oranti potessero infettarsi, anche a costo di provocarne le proteste. C’è voluto del tempo, ma Galileo ha vinto!
Lavinia de Naro Papa