E’ appena iniziata la cosiddetta fase 2, ovvero la ripresa delle attività lavorative sospesa da ben 70 giorni, come provvedimento necessario a rallentare l’impetuosa avanzata dei contagi del Covid 19. L’interruzione dei contatti interumani ha dato buoni frutti, il virus non è sconfitto, ma poiché siamo una nazione economicamente fragile non possiamo permetterci più di stare fermi, dobbiamo misurarci con il ritorno al lavoro mettendo in atto quello che in questi mesi abbiamo interiorizzato, cioè precauzione massima nei contatti interpersonali e utilizzo dei mezzi di protezione individuale.
Gli effetti economici da fronteggiare sono talmente gravi che non possiamo che metterci in gioco sapendo che la durezza dei sacrifici sarà lunga, quindi dovremo mettercela tutta, tirando fuori la forza che forse non abbiamo, ma che troveremo perché non c’è alternativa.
Nei due mesi di fermo abbiamo affrontato la paura, il trauma dell’imprevisto, il cambio repentino di abitudini, la solitudine, ma ci accorgeremo che quello che rimane da affrontare, da ora in poi, è ben più duro e soprattutto di durata ben maggiore, lo sapevamo, ma adesso ci dobbiamo fare i conti.
Se fossimo un popolo maturo e adulto avremmo voglia solamente di tacere e di stringere cinghia e denti. Purtroppo non lo siamo, e gli strepiti che si odono dimostrano che siamo bambini in preda agli impulsi che non sappiamo governare, bambini confusi e arrabbiati, incapaci di tenere conto che il tetto che ci è crollato in testa non ha un responsabile unico, ma è causato da tutti noi incasellati in un sistema aberrante di utilizzo delle risorse.
Però i bambini, si sa, non riescono a discernere, non riescono a contestualizzare, e allora giù a gridare e a chiedere aiuto, economico innanzitutto, perché nella testa abbiamo il prima, a cui pensiamo di tornare presto, senza cambiare niente.
Chiediamo anche guida, protezione, assistenza, se lo chiedessimo senza strepitare sarebbe naturale, invece sbattiamo i piedi come infanti incapaci di fare i conti con la realtà.
Stiamo dimostrando di non avere capito che nessun padre può fare per noi se non ci disponiamo a fare la nostra parte. Stiamo strepitando infantilmente e certo non gioverà ai più fragili, mi riferisco a coloro che si sostentavano con lavoretti in nero che hanno perso, e che devono ricercare, sperare di ritrovare, e poi ingoiare anche la mortificazione della dignità di cui ciascun essere è dotato naturalmente, sì, perché codesti lavoretti di sopravvivenza, fuori da ogni regola e norma, sottopagati, sono la forma attuale della schiavitù, su cui si tace perché fa molto comodo, ai soliti.
Si strepita e si scaglia rabbia contro il padre da cui ci si attende tutto, però, siccome il sistema di governo della nostra nazione è organizzato a guisa di polipo, una testa centrale e tanti tentacoli quante sono le regioni, per funzionare testa e tentacoli dovrebbero collaborare in armonia di intenti, lo suggerisce la logica elementare. Purtroppo, la sana logica non viene applicata per via dell’infantilismo cui si accennava, e a prevalere è l’infantilismo che nel tempo ha preso la forma del narcisismo patologico.
Per la ragione sopradetta, la distribuzione di potere fra centro e regioni viene agita per trarne fini politici, cioè propagandistici, utili ad ogni singolo amministratore per aumento di potere personale, infischiandosene della disarmonia e degli effetti di ricaduta sulla comunità. L’esito di questa disarmonia è che il polipo ha assunto la funzione di piovra malefica.
Ecco, in questa fase di rimessa in gioco personale, dovremo fronteggiare questo fastidioso rumore assordante che depotenzia ciascuno.
Ascoltando le critiche che i tentacoli, rafforzati dalle ventose che li circondano, avanzano al corpo centrale, quella che più mi ha impressionato è che le risorse messe in campo sono state indirizzate a pioggia, e non solamente all’impresa da cui dovrebbe venire il bene (lavoro) per tutti come manna calante dal cielo.
Inutile dire che la critica rivolta viene accompagnata con l’accusa secca di incapacità a governare, ma cela altro, cela l’egoismo di una parte, la più forte, e al contempo rivela una maliziosa quanto ignobile calunnia, così facendo il governo allarga il proprio consenso, ecco svelata una proiezione psichica, è quello che farebbero coloro che accusano, in maniera strumentale, per allargare il loro consenso ai fini della carriera personale.
Codesta posizione, frutto della miserabile invidia, nei fatti rimprovera al governo centrale di assumere un comportamento “politico”, cioè di cercare di comporre interessi diversi e contrastanti, in modo da non escludere, cioè di fare quello che la politica deve fare per statuto.
Insomma si chiede alla politica di essere di parte, da una sola parte, la propria, ma questa non sarebbe la politica, sarebbe la banca che si schiera col più forte, sarebbe il mercato che punta sul gruppo con più fatturato, sarebbe dare ad una sola parte dei soldi che pagheranno tutti, anche quelli che non ricevono niente, e anche quelli che non sono ancora nati, ma che dovranno sobbarcarsi il debito.
La politica deve invece assolvere alla funzione del direttore d’orchestra che ascolta le stonature di ogni orchestrale, e su queste lavorare per ottenere un’orchestra intonata, un’orchestra capace di realizzare armonie, ce lo ha dimostrato, prima dirigendo e poi esprimendo il concetto con parole semplici e sagge, il compianto Maestro Ezio Bosso.
Un’altra accusa paradossale è quella dell’intralcio della burocrazia, cosa verissima, altro nodo irrisolto che non fa scorrere il pettine, insieme a quello della fragilità del mercato del lavoro, nodo nominato ma mai affrontato da tutti i governi che si sono succeduti da trent’anni a questa parte. Tanti governi, frutto di combinazioni differenti, ma tutti incapaci di lavorare alla questione cruciale di mettere la nazione nelle condizioni di rapportarsi al mutare del contesto e dei tempi.
Purtroppo, si sa, lavorare stanca, ma soprattutto non è possibile farlo con il disturbo insopportabile del rumore da “martello pneumatico” della litigiosità degli esponenti politici a cui non interessa certo il bene della collettività.
Intanto che allineo le parole sento levarsi il grido indignato, rabbioso e sarcastico di qualche potenziale lettore che le classificherà asservite al governo attuale, mi lascio scivolare l’accusa come fossi statua di marmo, perché verso il governo attuale avrei parecchio da fare osservare, ma la consapevolezza della difficoltà di questa fase mi consiglia di tacere, anche perché ai cittadini è dato il voto, quello è il loro potere, il biasimo individuale è solo confusione e spreco inutile di energia.
Per finire voglio precisare che prima di emettere giudizio ho l’abitudine di mettermi sempre nei panni del prossimo, lo faccio non per buonismo, lo faccio per rispetto verso me stessa. Bene, ascoltando l’accusa della divisione a pioggia del denaro mi sono chiesta: io cosa avrei fatto? Mi sono risposta che avrei scelto la medesima linea, mi sono detta che le promesse vanno sempre onorate, e la promessa di questo governo nell’ordinare il blocco è stata: nessuno sarà lasciato indietro!
Voglio aggiungere che avrei scelto, per quanto riguarda la distribuzione delle risorse economiche, la medesima modalità, con la piena consapevolezza di lavorare contro un personale futuro in politica, perché nessuno mai proverà gratitudine per quello che riceve, l’umanità è infantile, l’ho già affermato, quindi attenderla è utopico ed anche sciocco, però l’avrei fatta ugualmente per rispondere alla mia coscienza e a quel giuramento sulla Costituzione che ogni capo di governo pronuncia.
Non so quale ragione guida la scelta dell’attuale governo, non posso indovinare le intenzioni che lo animano, ma, se sono illuminate dalla consapevolezza che non verrà ricompensa, bisogna riconoscere che, per un caso fortuito, attualmente al governo ci sono degli uomini degni del nome di politici, una razza che credevamo estinta.
Carmela Giannì