Medito sull’Orestea di Eschilo (458 avanti Cristo) e la hybris, la tracotanza che sfida l’universale ordine cosmico, la saga degli Atridi che, col loro peso di sventure e di morte, rimbomba nel mito classico: Agamennone, Ifigenia, Clitemnestra, Elettra, Oreste. Inanellati di lutti e cadaveri ed Erinni anguicrinite e follia disumana nel semicerchio di una cavea teatrale. Di nome in nome piangono tutti, innocenti e colpevoli, ma tu soprattutto, Elettra, in te si sono sommate, concentrate, le tare del sangue, il retaggio immane di azioni nefande. Nera ti muovi annaspando, chiedendo l’aiuto che speri possa giungere a consolare te in quell’oscurità di vesti e di cuore mentre macchini vendette e agisci in segreto. La tua opera al nero risuonerà nei tempi dei tempi, sarà il viatico di tutte le donne private del lievito di un sorriso. Credi possano esserci Coefore ed Eumenidi che ti diano sollievo? No, sarà tuo destino soffrire in silenzio, sperare che le cose migliorino col tempo e illudersi che sia stato solo un indicibile incubo a toglierti l’ingenuo sorriso di bimba nelle stanze della reggia un tempo abitate di giochi fraterni.
Nel freddo buio dell’anima non splenderà il raggio confortante di una carezza materna. Mai…
Allora mangia, sáziati del Kairos che è graffiato nel tuo cuore tenebroso, banchetta col lutto che ti si addice e fanne la tua battaglia, la tua bandiera.
Forse volevo solo divertirmi, poi mi sono accorta che il femminile di Elettra può valere anche per il femminile in generale, oltre che per la nostra isola, (la “fimminazza triquedra” di Marilina Giaquinta), la Sicilia, che ha partorito questa eccellenza gastronomica, e mi pare che di gramaglie oggi ne abbia ben d’onde.
Marisa Scopello