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La Modica di Enzo Belluardo




Le ricette della Strega (a cura di Adele Susino)

Polpo arrosto su crema di fave fresche alla menta

Ingredienti:

1 polpo da un chilo,  500 gr di fave fresche, 1 porro. 1 mazzetto di menta fresca, q.b. di olio evo e sale, pepe di Timut appena macinato

Preparazione:

Cuocere il polpo in poca acqua aromatizzata con 2 foglie di alloro, farlo raffreddare nella stessa acqua di cottura. In un tegame far stufare le fave con il porro tritato, olio, sale e qualche rametto di menta, non aggiungere acqua, devono cuocere a fuoco lento con il liquido che si forma. A fine cottura, togliere la pellicina esterna e frullarle unendo il liquido di cottura e l’ olio, deve risultare una crema fluida e liscia, aggiustare di sale e unire il pepe di Timut, che ha un aroma agrumato, e ancora della menta. Far scaldare molto una griglia, arrostire il polpo fin quando diventa ben dorato e comporre il piatto: fare una base di crema di fave e adagiare il polpo con i tentacoli aperti, finire con un filo d’olio.

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E ODIO FU

Quasi tre mesi chiusi in casa protetti dalle sue mura ma certamente non dalle informazioni che sono entrate con forza a farci compagnia, non dalla porta principale, bensì da uno o più schermi.

Un’informazione che ha letteralmente martellato la mente di ogni singolo essere umano, animale o vegetale da essiccare completamente cervello, istinto e radici, perchè tutto ha favorito il degrado sociale, l’amorevolezza agli animali, l’acqua da dare a bere alle piante, al loro posto solo veleno nelle bocche.

Ma come ho da sempre affermato sin dall’inizio di questa pandemia e continuo a sostenere, nulla accade per caso. Tutto quello che ci viene dato ha un costo ben preciso: la libertà.

Già, la libertà di pensiero, di parola, di culto, d’espressione, di circolazione, di lavoro, di salute, di spensieratezza, di amare, persino la libertà di essere felice che insieme a tante altre che non ho menzionato, presto verranno eliminate anche dal vocabolario.

Trattati tutti come insicuri e malviventi, accusati di non rispettare le regole, elemosinati e poi multati per questo, gli esseri umani si sono visti e sentiti trattati come delinquenti, il tutto però a fin di bene: proteggere il prossimo dal virus ma nello stesso tempo, infettarsi di cattiveria da donare a tutti coloro che, indistintamente buoni o cattivi, hanno lavorato senza più fiato.

Aprire, chiudere, riaprire, uscire, non uscire, lavorare, non lavorare, distanziare, potenziare, distribuire, allontanare, baciare, non baciare, abbracciare non abbracciare, partire, non tornare, tamponi, mascherine, igiene, al primo posto, insieme a questi verbi del senso essere, sempre la cattiveria.

Che sia proprio questo il non caso?

Tutti cattivi e senza cuore, questo è lo scopo di chi vuole fare dell’uomo e di ogni cosa, una macchina.

Una macchina che con accettazione viene guidata da mani fredde e dure, facilmente punibile se cambia rotta.

La mia certezza, è il mio pensiero e non quello che mi è stato offerto senza che io l’abbia chiesto.

E certezza e pensieri miei, si sono ancora di più ratificati in me quando coi miei occhi ho visto le fredde ossequiose presenze ma mostrate alla grande a tutti insieme all’acquistata libertà, dopo 18 mesi di prigionia, di Silvia, la giovane volontaria liberata “dai servizi segreti” e atterrata a Ciampino dove l’attendevano proprio il giorno della festa della mamma, fra i suoi genitori e la sorella, in tanti.

Come in tanti poi l’hanno attesa al suo arrivo a Milano ma qui, diversamente non protetta dal contagio, dallo sciacallaggio della gente, dall’informazione, dalla paura. Una punizione forse per aver causato fastidio a qualcuno? O semplicemente un dato di fatto per accentuare e tastare l’odio e il razzismo che stanno prendendo il sopravvento al posto dell’amore per l’umanità?

Non meritiamo certamente questo, ma questo è quello che ci spetterà in un futuro molto prossimo e già alla porta, qualcuno ha deciso per noi e noi lo stiamo aiutando col peggiore dei modi.

Io di questo, impotente, ho paura!

Sofia Ruta




ECONOMIA IN RIANIMAZIONE E COVID-19 IN STANDBY

Dopo la crisi del 2008 gli economisti ricevettero critiche pesanti per non aver capito che cosa stava succedendo nel sistema economico-finanziario.

A ragion del vero molti studiosi non afferrarono subito la fenomenologia che stava mettendo in difficoltà il mondo finanziario, ma alcuni lo avevano capito benissimo e tra questi il prof Robert Shiller dell’università di Yale, che per queste ricerche nel 2013 ricevette il Nobel per l’economia.

Purtroppo, non sono stati ascoltati dalla politica.

Dopo il fallimento di una delle più importanti banche statunitensi (Lehman Brothers) gli economisti reagirono in fretta, evitando che la crisi si trasformasse in una seconda Grande  Depressione (quella del 1929-33 ).

Tutto questo è stato fatto grazie alla lezione che gli economisti hanno imparato studiando la Grande Depressione degli anni trenta del secolo scorso e gli errori che allora furono compiuti.

Oggi si tratta di una crisi pandemica tutta in mano ai virologi famosi (come i professori Giuseppe Ramazzi, Ilaria Capua, Giuseppe Mantovani e altri) che si alternano al capezzale del cosiddetto Covid-19 dallo scorso inverno (2019), quando i primi allarmi arrivarono in Italia dalla Cina.

Ma questi pochi virologi che avevano già  capito il rischio  – come gli economisti del  prima 2008 –  purtroppo non sono stati ascoltati in tempo dalla politica.

Ai virologi, ai medici, agli infermieri e operatori sanitari per il grande impegno dato e al terribile tributo pagato in vite umane per salvaguardare la vita di tutti noi va il nostro vivo ringraziamento.

In Italia abbiamo – in questo strano momento –  anche un altro tipo di esperto: il “tuttologo”. I tuttologi sono sempre disponibili a riempire gli spazi dei talk show. Sono soggetti capaci di parlare di qualunque cosa, dalla politica all’astronoma, passando per l’economia e la virologia. Nulla di male, a volte è pure divertente. Ma deve essere  sempre chiara a tutti la differenza che passa tra uno scienziato e un tuttologo.

Ci chiediamo: il coronavirus è in fase calante?

Speriamo, ma non cantiamo vittoria fino a che non salta fuori un vaccino. Quindi la cautela è d’obbligo.

Ora veniamo a un altro virus che ha messo in ginocchio il nostro Paese.

Parlo dell’ “Economia ammalata”, in terapia intensiva per noi economisti.

E la politica, anche qui in ritardo, che fa?

Dopo tre mesi di cincischiamenti il governo ha pensato di curare l’ammalata, anziché con una cura da cavallo per farla riprendere, ripiegando  – ancora una volta –  su una terapia palliativa (fatta di bonus a pioggia). Eppure c’erano e ci sono tute le condizioni perché questa tremenda emergenza sanitaria potesse fare anche da spinta  a recuperare i tanti ritardi del Paese.

Infatti il decreto Rilancio in questione (di 55 miliardi di euro) partorito dopo tre mesi di litigiosità tra i partiti che compongono la maggioranza, formato da ben 464 pagine con 256 articoli di difficile lettura, è arrivato finalmente in porto. Ma la scelta degli strumenti di attuazione e i tempi sono oscuri.

Non solo deve essere ancora approvato dal Parlamento per essere convertito il legge. Quindi è ancora emendabile.

Tale decreto è un affastellamento di misure nel tentativo di creare  un giustificato ombrello sotto il quale chiunque possa sentirsi aiutato.

Si passa dagli aiuti alle compagnie aeree ai voucher vacanze, dall’agricoltura  all’ecobonus passando per le imprese, e poi bonus per badanti e baby sitter e smart working. Insomma, una serie di provvedimenti coi quali accontentare tutti.

A proposito del Dl Rilancio, il prof Sabino Cassese ha ben detto sul Corriere della sera quanto segue: “trattasi di un Dl con intento prevalentemente risarcitorio e vede lo Stato proporsi innanzitutto nella sua veste di redistributore”.

Aggiungiamo anche che è pieno di lacci e laccioli (come era solito dire Guido Carli) per le imprese e le partite iva.

Signori politici, l’Italia del futuro non può e non deve essere soltanto quella dei redditi di emergenza, di cittadinanza e di sanatorie per immigrati e clandestini.

Una delle priorità del Paese sono invece le infrastrutture.

C’è ancora bisogno di specificare quanto se ne avverta la necessità?

E che dire del fisco? Che vuol dire per ora rimandiamo tutti i pagamenti a settembre per aiutare imprese,  commercianti e cittadini,?

E poi…. si ricomincia dove eravamo rimasti con tasse e norme che si rincorrono come birilli per strozzare i malcapitati?

Noi consigliamo invece di rinviare ogni gravame fiscale al 2021 per favorire nell’anno in corso la ripresa economica. Auspichiamo inoltre che il governo trovi il coraggio di porre mano a una seria riduzione della pressione fiscale.

Caro presidente Conte, diciamoci la verità: a questo punto che differenza passa tra il cosiddetto Decreto Rilancio e la Legge di Bilancio? Sappi che quest’ultima nel nostro Paese  è stata sempre usata come mezzo per amministrare il consenso. Quindi siamo alle solite?

L’emergenza avrebbe dovuto consigliarlo ad agire per singoli provvedimenti, da dedicare a imprese (vero motore dell’economia), alla scuola e via dicendo.

Ma questo avrebbe significato fare scelte  e assumersi la responsabilità – non più eludibile – di dare al nostro Paese una direzione. Invece lei sceglie la via più facile con meno rischi: le scorciatoie.

Caro premier Conte, oggi le imprese di qualunque grandezza sono in ginocchio e per farle ripartire hanno bisogno di sussidi e non di prestiti. Se vogliamo tenere in vita aziende, negozi, ristoranti, bar, pesca e così via, metta mano ad aiuti concreti e molti  a fondo perduto.

E confermando ancora una volta – se ce ne fosse bisogno – che la passione della politica nazionale è di occuparsi di risorse e soldi da distribuire. Ma col particolare che, quando non si tratta di sussidi, spesso quel denaro resta in cassa, perché la parte facile è annunciare e stanziare, quella difficile è come spendere.

Concludo qui, poco speranzoso come economista per l’incompetenza dell’attuale esecutivo ma fiducioso nelle capacità innate dei nostri imprenditori capaci oggi, come ieri, di fare grande questo Paese.

Anton Cechov mi viene incontro – per chiudere questa mia disamina – con la riflessione che segue: “Verrà un giorno in cui sapremo il perché di tutto questo, di tante sofferenze… Allora non ci saranno più misteri, ma nel frattempo dobbiamo vivere”.

Salvatore G Blasco




Siamo entrati nella Fase 2




MEDITAZIONI AL NERO DI SEPPIA

Medito sull’Orestea di Eschilo (458 avanti Cristo) e la hybris, la tracotanza che sfida l’universale ordine cosmico, la saga degli Atridi che, col loro peso di sventure e di morte, rimbomba nel mito classico: Agamennone, Ifigenia, Clitemnestra, Elettra, Oreste. Inanellati di lutti e cadaveri ed Erinni anguicrinite e follia disumana nel semicerchio di una cavea teatrale. Di nome in nome piangono tutti, innocenti e colpevoli, ma tu soprattutto, Elettra, in te si sono sommate, concentrate, le tare del sangue, il retaggio immane di azioni nefande. Nera ti muovi annaspando, chiedendo l’aiuto che speri possa giungere a consolare te in quell’oscurità di vesti e di cuore mentre macchini vendette e agisci in segreto. La tua opera al nero risuonerà nei tempi dei tempi, sarà il viatico di tutte le donne private del lievito di un sorriso. Credi possano esserci Coefore ed Eumenidi che ti diano sollievo? No, sarà tuo destino soffrire in silenzio, sperare  che le cose migliorino col tempo e illudersi che sia stato solo un indicibile incubo a toglierti l’ingenuo sorriso di bimba nelle stanze della reggia un tempo abitate di giochi fraterni.
Nel freddo buio dell’anima non splenderà il raggio confortante di una carezza materna. Mai…
Allora mangia, sáziati del Kairos che è graffiato nel tuo cuore tenebroso, banchetta col lutto che ti si addice e fanne la tua battaglia, la tua bandiera.
Forse volevo solo divertirmi, poi mi sono accorta che il femminile di Elettra può valere anche per il femminile in generale, oltre che per la nostra isola, (la “fimminazza triquedra” di Marilina Giaquinta), la Sicilia, che ha partorito questa eccellenza gastronomica, e mi pare che di gramaglie oggi ne abbia ben d’onde.

Marisa Scopello




versi di versi per versi e detti male detti (di Sascia Coron)

Capita che alcuni si diano l’aria di essere

il contrario di quello che sembrano.

 

Chi non è servo né padrone

ha buone probabilità d’essere un uomo libero.

 

Nell’anima ci sono radici

per ogni genere di passioni.

 

Io, pellegrino di sogni,

qualunque cosa agogni.

 

Nessuna arringa di Socrate

spaventa quanto un silenzio di Santippe.

 

È facile incutere terrore

in chi ha già paura.

 

 

 




GALILEO HA VINTO!

Alla vigilia della scorsa Pasqua, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ha messo in allarme le prefetture circa la probabilità che il regime segregatorio, a cui tutta la nazione è sottoposta, possa generare moti di piazza di ampie frange intolleranti e recrudescenza delle attività criminali, fenomeni pilotati da estremismi politici e da interessi della malavita organizzata.

La preoccupazione è nata dopo le rivolte carcerarie dei primi di marzo, innescate da una serie di notizie riguardanti la diffusione del corona virus all’interno degli istituti penitenziari. Le notizie erano in larghissima parte false ma ben diffuse da chi ha orchestrato le proteste, che si sono diffuse a macchia d’olio in tutto il Paese. Ci sono state evasioni in massa, incendi e vandalismi. Anche parecchi morti, non da improbabili precoci contagi, ma da overdose di sostanze tossiche e stupefacenti procurate con il sistematico saccheggio delle infermerie.

Lo Stato insiste nel carcerare individui tossicodipendenti, autori di reati minori legati all’uso di sostanze stupefacenti, insieme a criminali incalliti e pericolosi. Ci dovrebbero essere invece strutture rieducative specifiche o pene alternative alla galera: è troppo facile, per chi ha interesse a creare disordini, abusare del malessere causato dall’astinenza per pilotare la protesta, aizzando i soggetti psichicamente più fragili. Ricordiamoci che dalla fine di febbraio erano state sospese le visite dei parenti che, come si sa ma si finge di non sapere, sono la via preferenziale per l’ingresso delle droghe nelle prigioni, e che quindi lo stato di astinenza era molto diffuso.

Le carceri, come le residenze per gli anziani, dovrebbero essere istituzioni protette, di massima sicurezza. Invece, per insipienza e cattiva percezione del fenomeno, è stata lasciata via libera alle visite ai vecchi, e figli e nipoti inconsapevoli hanno causato la strage dei nonni. Nelle carceri i contagi sono stati minimi e comunque causati da elementi esterni: si sono contati più contagiati tra gli agenti di custodia che non tra i detenuti. Per evitare danni maggiori in situazioni di sovraffollamento, stato purtroppo comune delle patrie galere, sono state fatte uscire alcune migliaia di detenuti per pene minori.

Ma lo scopo delle rivolte era quello di riportare a casa, con la scusa della pandemia associata all’età e a malanni preesistenti, i capimafia sottoposti al regime del 41/bis assieme ai trafficanti e agli esattori del pizzo. Ci sono riusciti, grazie ai giudici di sorveglianza che applicano la legge. Legge discutibile? Dura lex, sed lex!

Tutti questi bei tomi, quasi quattrocento persone, sono state scarcerate e mandate agli arresti domiciliari, pronti a ricevere l’omaggio dei devoti e certamente in grado, fosse pure in punto di morte, di riprendere in mano lo scettro del comando.

Vista l’ondata immediata di indignazione popolare, il ministro guardasigilli Bonafede sta cercando adesso di mettere delle pezze per rattoppare una tela lisa e strappata, ma il danno è fatto e l’immagine della giustizia ha avuto una nuova, pesante mano di fango dal popolo, dai media, dall’opposizione e, come ciliegina sulla torta, dall’affaire Di Matteo: una faccenda oscura e maleodorante nella sostanza, e devastante per come è stata resa pubblica.

Il 2 maggio, in occasione dell’ennesimo miracoloso scioglimento del sangue di San Gennaro, il cardinale Crescenzio Sepe, oltre ad aver affidato Napoli e i suoi cittadini alla Madonna e al santo patrono, ha ritenuto opportuno mettere in guardia la popolazione, specie quella dei rioni più problematici, da un virus ben peggiore del Covid19: le mani della camorra sui traffici innestati dalla pandemia! Eminenza, non le pare di essere fuori tempo massimo? Il malaffare si è già annidato dentro quest’emergenza fin dalle prime avvisaglie, e non si tratta solo di camorra o di ‘ndrangheta, ma anche di gente organizzata meno pittoresca, ma altrettanto pericolosa e con le cosche collusa: affaristi, imprenditori disonesti, mezze tacche politiche sono all’opera come iene e sciacalli, esattamente come fu al tempo del terremoto dell’Aquila e poi di quello di Amatrice. Riusciranno santi e madonne ad aver ragione della pestilenza?

In un rigurgito di medievale idolatria, perfino un uomo esperto delle cose del mondo e della Chiesa come Papa Francesco se n’è andato a piedi a pregare davanti al crocefisso trecentesco “miracoloso” conservato nella chiesa di San Marcello al Corso. Il simulacro è stato poi portato in Piazza San Pietro, unico testimone sotto una pioggia battente, della liturgia del Venerdì Santo officiata in spettrale e drammatica solitudine dal Santo Padre. Riuscirà questa immagine a ripetere il miracolo di sconfiggere questa moderna pandemia, come si narra che fece nel ‘500 contro la peste?

Vista la solerzia inaspettata con cui la Chiesa ha bloccato i pellegrinaggi verso tutti i santuari fin dall’inizio dell’epidemia, a cominciare dalla chiusura della piscina della miracolosa acqua di Lourdes, viene il sospetto che neanche la Chiesa stessa creda alla possibilità di un intervento miracoloso di qualcuno della Santa Famiglia…

A ben vedere però forse un miracolo è già avvenuto se la Scienza è entrata nelle sacre stanze e ha convinto a non esitare nell’impedire che masse di fedeli oranti potessero infettarsi, anche a costo di provocarne le proteste. C’è voluto del tempo, ma Galileo ha vinto!

Lavinia de Naro Papa




CULTURA SICILIANA

…se mala segnoria, che sempre accora
li popoli suggetti, non avesse
mosso Palermo a gridar “Mora, mora!”

Paradiso, canto VIII, vv.73 – 75
Lo ha scritto un uomo perbene, tale Dante Alighieri, a proposito dei Vespri siciliani. Anche oggi, come nell’anno del Signore 1282, la misura è colma e le offese impudenti di parole e di azioni non sono più tollerabili. Offendere i siciliani, dividerli in uno “sparuto” gruppo di facinorosi e in un gregge silenzioso di acquiescente connivenza “perbene”, ha acceso la miccia del dissenso e il giocattolo dell’ARS si sta sfaldando.
Se qualcuno (non ne farò il nome, non vale la pena citarlo) ritiene che i buoni siciliani siano quelli che stanno in silenzio, non c’è altro da dire per tararne la statura morale e umana. L’assessore da lui nominato pochi giorni fa con squilli di tromba e rullo di tamburi è un buon siciliano? Lo dimostra la sua attività di giornalista all’avanguardia (nel senso di avanguardista, con tutto quel che tale termine da retrobottega di rigatteria storica richiama…).
Peccato che ora è costretto a dimettersi dal ruolo di direttore del giornale online dal nome che si presenta da sè, IlSicilia.it. Il Sicilia? Che originalità è mascolinizzare il femminile? Ma cosa posso capirne io dell’operazione di un finissimo intellettuale perbene, tanto perbene da usare il viso di una bimba che preferisce “Giovinezza” a “Bella ciao”, di affermare che Mattarella divide gli italiani con la festa della Liberazione?
Mi fermo qui nell’elenco delle gesta recenti perché la scelta delle parole qualifica la personalità più degli atteggiamenti. In un’intervista a caldo, ha definito “stantio” il modo con cui i siciliani prendono le distanze dalla Lega. Come per dire che non siamo in grado di capire le magnifiche opportunità della risaputa intelligenza leghista per la Cultura isolana. Siamo stantii come un tozzo di pane ammuffito noi sparuti ribelli. Bene, ci sono diverse vedute e diversi punti di vista. Si è liberi di pensare, e nel privato è sacrosanto che ognuno creda in ciò che vuole, esserne orgoglioso. Ma nel privato, ripeto. A chi può interessare se il suo pensiero si è modellato sulle baggianate esoteriche di Julius Evola e del Gruppo di Ur (scusate, questo appellativo mi ha fatto pensare ad Aldo, Giovanni e Giacomo nello sketch del figlio di Ptar e nipote di Kmer), sulla cospirazione da quattro soldi del “Protocollo dei Savi di Sion” della mente patologicamente devastata di Céline (non ne metto in dubbio gli esiti letterari, solo quelli). In privato, l’ineffabile Samonà può anche credere che “Il  codice Da Vinci” sia un catalogo  di occulte verità che noi, povera e bassa plebe, non potremo mai capire. Ma da un assessore alla cultura non possono accettarlo. Se il governatore (minuscolo voluto) avesse detto che non poteva fare diversamente per il patto d’alleanza che doveva essere onorato, forse gliela si passava ob torto collo (“mischinu, deve tenersi buono il Salvinio”), lui invece ha aggiunto al danno la beffa, definendo questo nuovo compare un uomo illuminato. E questo i siciliani non possono accettarlo, ne hanno subíto troppo dagli illuminati di tutti i tempi, dai francesi Angiolini in poi.
Illuminati siamo? Abbagliati siamo rimasti da questo portento carismatico deflagrato dopo il buio bimestrale tutt’altro che esoterico e senza doni del Paraclito; appena usciti dalle capanne interiori, abbiamo ricevuto la massiccia dose dei politicanti fenomenali che allegrano le nostre contrade. Avremmo voluto brindare per aver superato la “mascherata” indenni, ma le mascherine carnascialesche si aggirano ancora e sempre tra di noi, evocando fantasmi del passato. Mi è passata la voglia di brindare.

Marisa Scopello




SE FOSSIMO UN POPOLO MATURO…

E’ appena iniziata la cosiddetta fase 2, ovvero la ripresa delle attività lavorative sospesa da ben 70 giorni, come provvedimento necessario a rallentare l’impetuosa avanzata dei contagi del Covid 19. L’interruzione dei contatti interumani ha dato buoni frutti, il virus non è sconfitto, ma poiché siamo una nazione economicamente fragile non possiamo permetterci più di stare fermi, dobbiamo misurarci con il ritorno al lavoro mettendo in atto quello che in questi mesi abbiamo interiorizzato, cioè precauzione massima nei contatti interpersonali e utilizzo dei mezzi di protezione individuale.

Gli effetti economici da fronteggiare sono talmente gravi che non possiamo che metterci in gioco sapendo che la durezza dei sacrifici sarà lunga, quindi dovremo mettercela tutta, tirando fuori la forza che forse non abbiamo, ma che troveremo perché non c’è alternativa.

Nei due mesi di fermo abbiamo affrontato la paura, il trauma dell’imprevisto, il cambio repentino di abitudini, la solitudine, ma ci accorgeremo che quello che rimane da affrontare, da ora in poi,  è ben più duro e soprattutto di durata ben maggiore, lo sapevamo, ma adesso ci dobbiamo fare i conti.

Se fossimo un popolo maturo e adulto avremmo voglia solamente di tacere e di stringere cinghia e denti. Purtroppo non lo siamo, e gli strepiti che si odono dimostrano che siamo bambini in preda agli impulsi che non sappiamo governare, bambini confusi e arrabbiati, incapaci di tenere conto che il tetto che ci è crollato in testa non ha un responsabile unico, ma è causato da tutti noi incasellati in un sistema aberrante di utilizzo delle risorse.

Però i bambini, si sa, non riescono a discernere, non riescono a contestualizzare, e allora giù a gridare e a chiedere aiuto, economico innanzitutto, perché nella testa abbiamo il prima, a cui pensiamo di tornare presto, senza cambiare niente.

Chiediamo anche guida, protezione, assistenza, se lo chiedessimo senza strepitare sarebbe naturale, invece sbattiamo i piedi come infanti incapaci di fare i conti con la realtà.

Stiamo dimostrando di non avere capito che nessun padre può fare per noi se non ci disponiamo a fare la nostra parte.  Stiamo strepitando infantilmente e certo non gioverà ai più fragili, mi riferisco a coloro che si sostentavano con lavoretti in nero che hanno perso, e che devono ricercare, sperare di ritrovare, e poi ingoiare anche la mortificazione della dignità di cui ciascun essere è dotato naturalmente, sì, perché codesti lavoretti di sopravvivenza, fuori da ogni regola e norma, sottopagati, sono la forma attuale della schiavitù, su cui si tace perché fa molto comodo, ai soliti.

Si strepita e si scaglia rabbia contro il padre da cui ci si attende tutto, però, siccome il sistema di governo della nostra nazione è organizzato a guisa di polipo, una testa centrale e tanti tentacoli quante sono le regioni, per funzionare testa e tentacoli dovrebbero collaborare in armonia di intenti, lo suggerisce la logica elementare. Purtroppo, la sana logica non viene applicata per via dell’infantilismo cui si accennava, e a prevalere è l’infantilismo che nel tempo ha preso la forma del narcisismo patologico.

Per la ragione sopradetta, la distribuzione di potere fra centro e regioni viene agita per trarne fini politici, cioè propagandistici, utili ad ogni singolo amministratore per aumento di potere personale, infischiandosene della disarmonia e degli effetti di ricaduta sulla comunità. L’esito di questa disarmonia è che il polipo ha assunto la funzione di piovra malefica.

Ecco, in questa fase di rimessa in gioco personale, dovremo fronteggiare questo fastidioso rumore assordante che depotenzia ciascuno.

Ascoltando le critiche che i tentacoli, rafforzati dalle ventose che li circondano, avanzano al corpo centrale, quella che più mi ha impressionato è che le risorse messe in campo sono state indirizzate a pioggia, e non solamente all’impresa da cui dovrebbe venire il bene (lavoro) per tutti come manna calante dal cielo.

Inutile dire che la critica rivolta viene accompagnata con l’accusa secca di incapacità a governare, ma cela altro, cela l’egoismo di una parte, la più forte, e al contempo rivela una maliziosa quanto ignobile calunnia, così facendo il governo allarga il proprio consenso, ecco svelata una proiezione psichica, è quello che farebbero coloro che accusano, in maniera strumentale, per allargare il loro consenso ai fini della carriera personale.

Codesta posizione, frutto della miserabile invidia, nei fatti rimprovera al governo centrale di assumere un comportamento “politico”, cioè di cercare di comporre interessi diversi e contrastanti, in modo da non escludere, cioè di fare quello che la politica deve fare per statuto.

Insomma si chiede alla politica di essere di parte, da una sola parte, la propria, ma questa non sarebbe la politica, sarebbe la banca che si schiera col più forte, sarebbe il mercato che punta sul gruppo con più fatturato, sarebbe dare ad una sola parte dei soldi che pagheranno tutti, anche quelli che non ricevono niente, e anche quelli che non sono ancora nati, ma che dovranno sobbarcarsi il debito.

La politica deve invece assolvere alla funzione del direttore d’orchestra che ascolta le stonature di ogni orchestrale, e su queste lavorare per ottenere un’orchestra intonata, un’orchestra capace di realizzare armonie, ce lo ha dimostrato, prima dirigendo e poi esprimendo il concetto con parole semplici e sagge, il compianto Maestro Ezio Bosso.

Un’altra accusa paradossale è quella dell’intralcio della burocrazia, cosa verissima, altro nodo irrisolto che non fa scorrere il pettine, insieme a quello della fragilità del mercato del lavoro, nodo nominato ma mai affrontato da tutti i governi che si sono succeduti da trent’anni a questa parte. Tanti governi, frutto di combinazioni differenti, ma tutti incapaci di lavorare alla questione cruciale di mettere la nazione nelle condizioni di rapportarsi al mutare del contesto e dei tempi.

Purtroppo, si sa, lavorare stanca, ma soprattutto non è possibile farlo con il disturbo insopportabile del rumore da “martello pneumatico” della litigiosità degli esponenti politici a cui non interessa certo il bene della collettività.

Intanto che allineo le parole sento levarsi il grido indignato, rabbioso e sarcastico di qualche potenziale lettore che le classificherà asservite al governo attuale, mi lascio scivolare l’accusa come fossi statua di marmo, perché verso il governo attuale avrei parecchio da fare osservare, ma la consapevolezza della difficoltà di questa fase  mi consiglia di tacere, anche perché ai cittadini è dato il voto, quello è il loro potere, il biasimo individuale è solo confusione e spreco inutile di energia.

Per finire voglio precisare che prima di emettere giudizio ho l’abitudine di  mettermi sempre nei panni del prossimo, lo faccio non per buonismo, lo faccio per rispetto verso me stessa. Bene, ascoltando l’accusa della divisione a pioggia del denaro mi sono chiesta: io cosa avrei fatto? Mi sono risposta che avrei scelto la medesima linea, mi sono detta che le promesse vanno sempre onorate, e la promessa di questo governo nell’ordinare il blocco è stata: nessuno sarà lasciato indietro!

Voglio aggiungere che avrei scelto, per quanto riguarda la distribuzione delle risorse economiche, la medesima modalità, con la piena consapevolezza di lavorare contro un personale futuro in politica, perché nessuno mai proverà gratitudine per quello che riceve, l’umanità è infantile, l’ho già affermato, quindi attenderla è utopico ed anche sciocco, però l’avrei fatta ugualmente per rispondere alla mia coscienza e a quel giuramento sulla Costituzione che ogni capo di governo pronuncia.

Non so quale ragione guida la scelta dell’attuale governo, non posso indovinare le intenzioni che lo animano, ma, se sono illuminate dalla consapevolezza che non verrà ricompensa, bisogna riconoscere che, per un caso fortuito, attualmente al governo ci sono degli uomini degni del nome di politici, una razza che credevamo estinta.

Carmela Giannì