Si sa che, a far nascere le Satire di Orazio (chiamate da lui Sermones), sia stato il modello della diàtriba stoico-cinica nata in Grecia. Così a Roma il genere satirico divenne un modo di fare poesia, poesia alta per discutere di aspetti della vita, di ambizioni degli uomini che si muovevano a Roma e dintorni, di riflessioni e deliziosi quadretti di tipologie umane, per sorriderne senza eccedere. Orazio osservava i difetti, i vizi, l’arrivismo, sapendo di non esserne scevro, forte di quell’est modus in rebus che non gli faceva sollevare le sopracciglia per lo sgomento. Doveva passare un po’ di tempo perché un certo Giovenale cambiasse le carte in tavola e la sua indignatio rendesse acuminato lo stiletto del genere satirico.
Mettiamo che una fantastica Macchina del tempo catapultasse Orazio e Giovenale a Modica nei nostri giorni; come si muoverebbero nel cortile della realpolitik di galli, oche, papere mute, tacchini e perniciosissime pernici che razzolano e fanno chicchirichì? La diàtriba (Giove fulmini i sostenitori della diatrìba!) scatenata dal sindaco sul destino dell’Ospedale modicano, l’odierno casus belli, sembra l’ultimo retaggio del campanilistico “a Rausa a provincia e a Muorica ‘sta mincia”. Una barzelletta figurata con tanto di paladino Abbate che affronta il saracino Razza con botte e risposte fulminanti, l’intervento moderatore del presidente Aliquò che cerca di placare gli animi in nome dell’amore (a prescindere…).
Quali sarebbero le reazioni a caldo dei nostri Viaggiatori del tempo? Immagino che Orazio si farebbe una sonora e sana risata, Giovenale arriccerebbe i baffi (li aveva? Boh…) e urlerebbe sbraitando al modo di Sgarbi.
E noi? Guardiamo la pallina rimbalzare da un lato all’altro della rete attendendo un Ace e sperando che non ci venga il torcicollo.
Marisa Scopello