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…MA IO PERCHÉ DEVO CAPIRE?

Mio padre, in età matura, aveva sviluppato una sua filosofia di vita che gli consentiva di lasciarsi scivolare addosso, apparentemente senza coinvolgimento, qualunque evento o notizia: davanti ad accadimenti lontani mille miglia dalla logica e dal buonsenso di padre di famiglia se ne usciva con questa constatazione, tra il rassegnato e l’ironico: ma io, perché devo capire?

E certamente si sarebbe posta la stessa domanda davanti alle cose che succedono in questo periodo di malessere. Il corona virus ha accelerato la schizofrenia di certi pensieri che circolano senza freni né controlli nelle menti di politici, giornalisti e digitatori di tastiera e che tutti costoro diffondono come fosse ogni volta la Lieta Novella, salvo poi contraddirsi nel tempo di un amen.

Il governo che abbiamo, piaccia o non piaccia, sta gestendo un evento malefico di portata planetaria che nessuno ancora conosce pienamente in tutti i suoi aspetti. L’emergenza sanitaria è quella che da subito è stato obbligatorio che venisse affrontata. Quando ci si è resi conto che il Covid19 è più di un’influenza stagionale, perché straordinariamente contagioso e capace di fare danni irreversibili specialmente in organismi malandati per età e/o malanni preesistenti, di questo nemico subdolo ed invisibile non si conosceva altro. L’ unica difesa veramente valida è ancora quella di non entrare in contatto con escreti polmonari di persone portatrici del virus: tosse e starnuti, ma anche spruzzi di saliva vanno tenuti alla larga.

Inevitabile dunque l’imposizione della distanza di sicurezza tra le persone, chiamata ufficialmente con brutta ed ambigua dicitura distanza sociale, e l’uso di mascherine e guanti, oltre il lavaggio accurato e frequente delle mani e la disinfezione con soluzioni idroalcooliche.

Ma attenzione! Con l’inizio della fase 3 alcune certezze si sono sgretolate: l’OMS ha decretato che i guanti sono pericolosi, perché danno un senso di falsa sicurezza! Meglio lavarsi spesso le mani… questo già si sapeva. Intanto alcuni miliardi di guanti usa e getta hanno impestato terre emerse ed oceani.

Poi è venuta fuori la notizia che le mascherine chirurgiche, quelle che sono state oggetto di innominabili traffici speculativi e di pasticciate decisioni calmieratorie governative, possono essere dannose. A seconda del grado di farloccagine della notizia, si è andati dagli sfoghi di acne sul mento fino alla morte per intossicazione da anidride carbonica autoprodotta!

Nelle more di un’effettiva disponibilità sul mercato dei presidi medici, visto che le mascherine servono solo a non infettare gli altri, la fantasia italica si è scatenata con la produzione di mascherine di ogni materiale e colore, da quelle fatte in casa a quelle d’alta moda, da coordinare all’abito indossato, cosa che una volta si chiamava mise, alla francese, ma che adesso guai a non chiamare outfit!

La Gran Bretagna è uscita dalla UE, ma l’inglese continua linguisticamente ad imperare e a corrompere le altre lingue, un po’ per praticità ma anche parecchio per stupido snobismo, almeno da parte di noi italiani, da sempre malati di esterofilia. Sempre che l’estero non sia extra comunitario o, peggio, africano, nel qual caso un buon numero di italiani-brava-gente si rivela odiosamente razzista.

Mentre statunitensi e cinesi litigano su chi è il colpevole della creazione e diffusione del corona virus, questo mostriciattolo se ne va ovunque, favorito da atteggiamenti di certi imbecilli, contrari all’unica evidenza scientificamente provata del contagio per contatto personale, che per una serie di sfortunati eventi planetari, si trovano ai posti di comando di grandi paesi.

Dopo mesi di quarantene e di vita da sequestrati in casa, adesso ci viene detto che bastano tre giorni senza sintomi per essere dichiarati guariti, e che i portatori asintomatici, che fino a ieri erano considerati pericolosissimi untori, non sono contagiosi!

Le reazioni della gente si dividono tra chi non crede a questi messaggi rasserenanti e continua ad avere comportamenti prudenti, e quelli che non solo pensano che sia tutto finito e che giulivamente si assembrano ovunque in barba alle regole vigenti, ma che sono assolutamente convinti che tutta la faccenda sia stata solo una montatura voluta dai poteri occulti.

Dei mesi claustrofobici e distruttori dell’economia mondiale vengono accusati i cinesi mangiatori di pipistrelli e/o incauti manipolatori genetici che si sono fatti scappare il virus dal laboratorio di Wuhan e che non hanno avvertito subito del pericolo, che però forse erano al soldo di Bill Gates il quale, col gesto filantropico di finanziare la ricerca di un vaccino, ha in realtà scoperto le sue carte di mostruoso manipolatore della salute mondiale mediante l’imposizione di obblighi vaccinali. Quindi la colpa di tutto va attribuita ai governanti collusi con le multinazionali del farmaco, con la massoneria, col Grande Fratello, con gli alieni: e tutto questo avviene su un pianeta che si è rivelato inequivocabilmente piatto!

  Per i gestori delle attività che con grandi difficoltà sono riusciti a riaprire, la maleducazione e la sfrontatezza di certa gente rende veramente difficile poter garantire il rispetto delle regole. Tuttavia certe regole sembrano veramente dettate da chi non ha alcuna esperienza pratica, tipo mangiare con la mascherina o radere una barba a un metro di distanza. Riportare i giovani nelle discoteche con la proibizione di ballare o di sedersi senza rispettare le distanze potrebbe solo incentivare l’abuso di droghe ed alcool…

L’argomento “distanza sociale” è fonte di grande incertezza: come mai al chiuso dei supermercati il virus si disattiva a un metro mentre all’aperto ce ne vogliono almeno quattro?

Andare al mare è un bel problema, specie per chi è abituato ad andarci libero di scegliere dove e quando, come da tempo immemorabile si fa dalle nostre parti.

Contingentamento dello spazio, prenotazione obbligatoria on-line, il bagnino che misura la temperatura, la mascherina da togliere solo per fare il bagno e se si sta nei metri quadrati assegnati coi propri congiunti…

A Marina di Modica e a Maganuco bisognerà stare molto attenti a non azzopparsi andando ad urtare contro i manufatti di cemento semisepolti e color sabbia – come da prescrizioni della Soprintendenza! – dove infiggere il proprio ombrellone. Se questo malaugurato sistema verrà veramente adottato nei tratti di spiaggia libera, sarà impossibile la pulizia della spiaggia coi normali mezzi meccanici: si potrebbero però adoperare gli assistenti civici, figure mitologiche assimilabili ai navigator, che da bravi volontari, con rastrello e paletta e assolutamente aggratis, sopperiranno alla bisogna. Facile prevedere l’abbandono delle spiagge modicane, sporche e pericolose, e per contro assembramenti a Sampieri e a Pozzallo…

Non si è ancora capito come si pensa di regolamentare la balneazione lungo le scogliere, che sono spesso difficilmente accessibili: i poveri assistenti civici, oltre a rischiare una mano di botte controllando la movida notturna, quando la gente si ammucchia a bere birre e shottini, rischierebbero fratture multiple calandosi in posti come il Covo dei Contrabbandieri, e tentativi di affogamento da parte di bagnanti infastiditi.

Tra conteggi malfatti dei malati e dei morti – pare che in questi mesi siano tutti morti di Covid19! – e incertezze sanitarie e governative, si è generato un effettivo sbandamento nella gente che non sa più a chi credere e non si fida più di nessuno: si è passati dai canti sui balconi tutti insieme appassionatamente alla sindrome della stalla, dalle giulive impastate di pane familiari, con relativa complicatissima caccia al lievito madre, alla ricerca compulsiva degli spacciatori nel tentativo di stemperare artificialmente l’angoscia dovuta all’isolamento. Agli arcobaleni dell’andrà tutto bene si contrappone un rinnovato e rafforzato complottismo che vede uniti in un groviglio inestricabile di diffidenze incrociate NoWax, No5g, xenofobi, misogini, fanatici assortiti e… tanti deficienti.

La cosa che però sorprende è la giravolta ideologica degli esponenti del centro destra che accusano il Presidente del Consiglio di questo povero governo raccogliticcio e stupidamente litigioso tra fazioni, di fare quello che avrebbe voluto fare con tanta goduria Salvini, quando ebbe la faccia tosta di chiedere i pieni poteri, per poi dimettersi rovinosamente.

Conte è accusato perché ha avuto il coraggio di prendere decisioni importanti nei tempi brevissimi imposti dall’incalzare del virus, senza passare dal parlamento e neanche convocando i “tavoli” tanto amati dagli alleati piddini. Nel bene e nel male, ci ha messo la faccia e si è assunto tutte le responsabilità.

Questo comportamento emergenziale sta ancora facendo urlare la destra, che lo accusa di aver istituito un regime affossatore della democrazia in cui esercitare poteri assoluti sul popolo bue, in torbidi accordi con Putin e Xi Jin Pin…

Se al posto di Conte ci fosse stato il Capitano – come amano chiamarlo i suoi accoliti – il suo negazionismo ci avrebbe portato a fare come i suoi massimi referenti, Trump, Johnson e Bolsonaro, e a quest’ora staremmo ancora a contare centinaia di morti al giorno. Quando il Nostro si è reso conto dell’effettiva pericolosità del virus, si è dovuto piegare giocoforza alla mascherina, però rigorosamente tricolore per una stucchevole auto appropriazione dei colori nazionali e, appena possibile, portata alla sans façons.

Salvini non è uomo di governo, è nato per combattere in campagna elettorale, cosa che sa fare egregiamente. L’unica.

La destra al governo avrebbe visto l’ascesa al potere della Donna, Mamma, Italiana, insomma di Giorgia Meloni, quella che vuole i blocchi navali, che userebbe l’esercito per reprimere qualunque anelito libertario, che chiuderebbe le frontiere dopo l’uscita dall’Unione Europea e dalla schiavitù dell’euro, che farebbe di tutto per tornare ai tempi belli di quando c’era LUI!

Quello straccio di democrazia che abbiamo ce lo avrebbero tolto di mano i giovinastri di CASAPOUND, i naziskin delle curve, i cretini dal cranio rasato con la svastica tatuata sul bicipite palestrato. Tutta gente che non ha vissuto il dramma della guerra e lo sfacelo causato dal fascismo, gente di poche e monodirezionali letture, infatuata da concetti tipo l’affermazione della superiorità della razza ariana o della lotta contro il potere plutogiudaico.

Non sappiamo quale Italia uscirà dagli Stati Generali convocati dal nostro premier, ancora con gesto autonomo che ha fatto storcere la bocca a parecchi dei suoi alleati, veri fratelli-coltelli, e vomitare le budella in un duetto d’amore per la perduta democrazia Giorgia e Matteo, questa volte senza la paterna benedizione di Silvio, vecchia volpe che ha capito che non conviene isolarsi… hai visto mai che ci fosse modo di sponsare il ferringozzo in qualche nuovo affaruccio miliardario!

Travolti da questa girandola di incertezze, tra ordini, contrordini, proclami e voltafaccia, penso che non ci resti che dire come faceva mio padre… in attesa di capire bene che cosa sta succedendo, e valutare se scendere in piazza a scassare tutto o rivoltarsi le maniche e ricostruire.

Alla prossima.

Lavinia de Naro Papa

 




LOGARITMI… ALGORITMI…

Dove aveva messo la Tavola dei logaritmi? Gli usciva il fumo dalle orecchie per il cervello in ebollizione e quella Tavola non si trovava! I numeri gli si ingarbugliavano in testa, interi e negativi, fratti e proporzionali, tra insalate di radici quadrate e incognite inconoscibili. Come aveva fatto a superare l’esame di statistica? Ci pensava ma non l’avrebbe espresso mai a parole, ne andava della sua dignità e autorità conquistata a Palermo di Massimo Comune Divisore.
In effetti si sentiva Minimo Comune Multiplo e non voleva che il team di collaboratori se ne accorgesse. Però i conti non tornavano, nemmeno tutti gli altri titoli nobiliari che gli venivano in mente. Che fare? Trovare un capro espiatorio pronto ad accollarsi la sua debacle matematica? A parole sembrava facile…
E se la colpa fosse stata dei cervelli elettronici in dotazione? Una bella pensata, e poteva salvare la situazione. Pensa che ti pensa, senza farsi accorgere inserì un algoritmo (ne aveva tanti a disposizione) nell’elaboratore dei dati. Fatto. Il giorno dopo ci sarebbe stata la lieta sorpresa per tutti i siciliani facili da abbindolare (la serietà della politica leghista, il ponte sullo Stretto…) e per Musumeci allorché  avrebbe saputo che i positivi isolani al Coronavirus non erano 805 ma 153, praticamente una bazzecola.
Il giorno del solstizio d’estate 2020 si sarebbe illuminato molto di più, nonostante le polemiche per la scelta di nominare Samonà e Bertolaso. Se il Governatore poteva fare errori di tale portata, perché lui no? Se doveva andare in punizione dietro alla lavagna, sarebbe stato in ottima compagnia: tra compari ci si capisce e ci si perdona sempre. Ma sapeva che in sogno la sua baffuta e zitella maestra elementare lo avrebbe castigato a ripetere le tabelline. A proposito, quanto fa 7 x 8? Madonna mia…

Marisa Scopello

 




#MATURITÀ2020

Entrata con passaggio dal termomisuratore, mascherina, autodichiarazione di responsabilità, igienizzante, distanziamento, percorso di sicurezza, non si può sostare nelle zone di passaggio anche solo per salutare colleghi o studenti, non si possono introdurre vivande o altro, si deve attendere l’igienizzazione tra uno studente e l’altro, attenzione, tanta attenzione…

Sono queste le azioni messe in atto dal decreto scuola speciale maturità 2020, protocollo che ha effettivamente messo in moto la “macchina degli esami di Stato” per i 480 mila maturandi italiani di cui 2992 solo in provincia di Ragusa, giovani studenti che si sono trovati ad affrontare una prova ben più ardua di ciò che si prospettava. Tra le novità introdotte nel decreto, abbiamo la presenza di una commissione interna con un presidente esterno chiamato a coordinare i lavori, sono state annullate le prove scritte ma durante il colloquio orale di almeno un’ora lo studente ha dovuto esaminare un testo letterario e presentare una tesina d’indirizzo per poi procedere con la discussione pluridisciplinare e di cittadinanza, per concludere infine con la relazione sull’esperienza di alternanza scuola-lavoro. Insomma, non si può dire che l’esame sia stato semplificato, anzi, direi che è all’altezza di una maturità, da tutti i punti di vista, ma sicuramente più ardua dal punto di vista della notevole tensione e dallo stress generato anche dai numerosi protocolli da seguire per accedere negli ambienti scolastici. Certamente il clima non si può considerare quello delle maturità passate, molti forse cercano di non pensare troppo ai rischi a cui si può andare incontro, ma la cosa che tutti cerchiamo con una certa preoccupazione è una vera sensata risposta alla domanda: come si procederà a settembre? Come farà una folla di studenti ogni mattina ad accedere a scuola in sicurezza e con le dovute precauzioni, senza alcuna distrazione o negligenza? E infine, dove sono le aule che serviranno ad accogliere tutti gli studenti con la giusta distanza di sicurezza? Si sta pensando agli spazi? Cosa stanno facendo i nostri governanti? Forse attendono il 30 agosto, così in extremis possono emanare un altro “fanta” DPCM risolutivo: una terapia che da mesi noi tutti continuiamo a digerire come palliativo a ciò che davvero ci attende.

Ma intanto porgiamo i nostri migliori auguri ai neodiplomati 2020 che certamente negli anni penseranno alla loro maturità come ad un’esperienza davvero incomparabile che nessuna memoria riuscirà mai a cancellare!

Graziana Iurato

 




Quanta voglia di pallone!




A tavola con gli Dei (a cura di Marisa Scopello)

Notte di bonaccia sull’Egeo. Il tramonto di ieri si era acceso di porpora e viola su quel mare colore del vino che sciabordava indolente intorno all’imbarcazione, affiancata dal gioco dei delfini che emergevano e si tuffavano allegri (pensavano ci fosse Arione lì lì per cadere in acqua e salvarlo ancora?).
Nella calma illune sento le voci dei marinai che additano stelle e costellazioni, le nominano a bassa voce per non disturbare, con rispetto per la vetusta bellezza del cielo, sbadigliando assonnati mentre gli altri, di guardia, scrutano l’orizzonte liquido.
Il nocchiero tiene dritto il timone in direzione di Rodi, la nostra meta, che raggiungeremo presto. Mai c’è stato un momento così propizio: entrare nel porto dell’isola delle rose sul far dell’aurora “dalle dita di rosa”, preannunciata da quel leggero sospiro di vento solare (lo conoscono bene gli insonni estimatori dell’albeggiare) mentre in controluce si staglia il Colosso, mi sembra il modo più degno di inaugurare i miei viaggi mediterranei alla scoperta del cibo di antichi Dei. Tra questi il primo, Timachida di Rodi, è l’ouverture dai polifonici accordi del clima simposiaco e conviviale.
Chi è Timachida? Autore de “I banchetti”, poema in undici libri, si può considerare un geniale erede di Esiodo per la cultura materiale greca, ne supera la frugalità dell’ambientazione rurale e ne esalta la creatività del primo secolo a.C.
Mi sta aspettando nell’atrio del suo palazzo con il benvenuto (χαίρε) e la Xenia per me, ospite di riguardo. La tavola è già imbandita: pite fragranti di forno, olive nere al cumino, olive verdi con aglio e prezzemolo, pastinache viola condite con menta, aceto e sedano marino. Troneggia il grande cratere nero a figure rosse di vino da diluire con acqua di fonte. Al centro della tavola il τρύβλιον (grande piatto da portata) sovraccarico di uova, cibo propiziatorio per eccellenza, metafora della vita che nasce.
Sono uova dorate, tipico pasto di Rodi. Timachida mi invita ad assaggiarne uno; al mio palato si rivela il sapore pieno e gradevole.
“Sono καταπλέοντα αύγα (uova ripiene)”, dice Timachida, e me ne racconta ingredienti e procedimento: uova sode, tonno di Bisanzio, acciughe sott’olio, ricotta di pecora, prezzemolo, olive verdi denocciolate, farina, pane secco pestato e uova sbattute; si dividono le uova sode a metà (tenendo attaccato l’albume per una porzione), si estraggono i tuorli a cui si aggiungono il tonno bollito, le acciughe, la ricotta, le olive e il prezzemolo riducendo il tutto nel mortaio a una consistenza morbida; con le mani vengono formate le palline che sono collocate nella cavità degli albumi; si ricompongono le uova, si passano nella farina, nelle uova sbattute, nel pangrattato e, infine, si tuffano a friggere nell’olio caldo.
Il pranzo sarà lungo di portate sorprendenti ma, intanto, mi godo l’antipasto.

Maria Scopello




I MODI DELLA POLITICA

Si sa che, a far nascere le Satire di Orazio (chiamate da lui Sermones), sia stato il modello della diàtriba stoico-cinica nata in Grecia. Così a Roma il genere satirico divenne un modo di fare poesia, poesia alta per discutere di aspetti della vita, di ambizioni degli uomini che si muovevano a Roma e dintorni, di riflessioni e deliziosi quadretti di tipologie umane, per sorriderne senza eccedere. Orazio osservava i difetti, i vizi, l’arrivismo, sapendo di non esserne scevro, forte di quell’est modus in rebus che non gli faceva sollevare le sopracciglia per lo sgomento. Doveva passare un po’ di tempo perché un certo Giovenale cambiasse le carte in tavola e la sua indignatio rendesse acuminato lo stiletto del genere satirico.
Mettiamo che una fantastica Macchina del tempo catapultasse Orazio e Giovenale a Modica nei nostri giorni; come si muoverebbero nel cortile della realpolitik di galli, oche, papere mute, tacchini e perniciosissime pernici che razzolano e fanno chicchirichì? La diàtriba (Giove fulmini i sostenitori della diatrìba!) scatenata dal sindaco sul destino dell’Ospedale modicano, l’odierno casus belli, sembra l’ultimo retaggio del campanilistico “a Rausa a provincia e a Muorica ‘sta mincia”. Una barzelletta figurata con tanto di paladino Abbate che affronta il saracino Razza con botte e risposte fulminanti, l’intervento moderatore del presidente Aliquò che cerca di placare gli animi in nome dell’amore (a prescindere…).
Quali sarebbero le reazioni a caldo dei nostri Viaggiatori  del tempo? Immagino che Orazio si farebbe una sonora e sana risata, Giovenale arriccerebbe i baffi (li aveva? Boh…) e urlerebbe sbraitando al modo di Sgarbi.
E noi? Guardiamo la pallina rimbalzare da un lato all’altro della rete attendendo un Ace e sperando che non ci venga il torcicollo.

Marisa Scopello 

 




La Modica di Enzo Belluardo




L’EREDITÀ RACCOLTA

Piero Vernuccio ha lasciato un’eredità impegnativa, immateriale ma consistente, un patrimonio di valore perché alimentato dalla testimonianza, il giornale Dialogo.

Per Piero è stato un progetto attraverso il quale ha militato per ben 43 anni per dare spazio ai valori universali dell’esistenza umana: la verità, la libertà, la giustizia. E’ stato una piattaforma d’azione che ha molto amato e costantemente curato.

In Dialogo Piero ha profuso energia per l’intera vita, una sorta di figlio, infatti gli somiglia, nello stile asciutto, nella linea politica schietta, nel rigore della coerenza. Dialogo ha sempre ospitato contributi di differenti opinioni, ma accomunate dall’essere svincolate dai poteri e dai potentati, questo è stato il rigore della coerenza che lo ha caratterizzato.

Ma Dialogo non è stato un progetto individuale, è stato un progetto condiviso con centinaia di persone, cittadini modicani e non, collaboratori e lettori, per tutti il periodico è stato un punto di riferimento, atteso dagli abbonati, letto anche da coloro che preferivano prenderlo in edicola. Dialogo si è appoggiato su molteplici colonne, ha prosperato come una sorta di pianta rampicante i cui tralci d’appoggio sono aggrappati in tante realtà, imprese, intellettuali, donne e uomini, una sorta di progetto ragnatela costruito col compito di raccogliere tutte le voci libere del territorio, tutti i soggetti capaci di esprimere contributi per il bene della città.

Dialogo, per oltre quarant’anni, ha accomunato quella fetta di società che non si adagia, che non si rassegna, che non tifa per il potente di turno, ma piuttosto si riserva il diritto di agire il proprio spirito critico, quella fetta di umanità che vuole approfondire e ragionare  sull’oggettività, è stato al servizio della fetta di cittadinanza non schiacciata sulla compiacenza.

Il prodigio compiuto da Piero è stato quello di legare a questo “filo” tantissimi individui per comporre la tela interconnessa dello scambio, del dibattito, dell’approfondimento sui fatti, del commento sulle opinioni, insomma il prodigio dell’agorà.

Piero tramite Dialogo ha saputo creare una rete solida di scambi, una sorta d’intesa tra individui diversi tra loro, intesa legata dall’amore per la città, per la verità dei fatti, un’intesa fatta di complicità emotiva e di attenzione razionale, un afflato in difesa del territorio, espresso in parte silenziosamente ed in parte in maniera manifesta, ma sentita.

L’aspetto prodigioso di questa connessione tra individui, legata al giornale come strumento di dibattito, consiste nel fatto che Piero, col suo lavoro certosino, con la sua inflessibile tenacia, con la perseveranza ostinata, contattando uno ad uno collaboratori e lettori, è riuscito a far nascere, fra tutti, una rete di relazioni significativa, un legame, un aggancio identitario. Ciascuno, non importa se lettore o collaboratore o sponsor, ciascuno si è sentito parte della comunità e come tale ha riconosciuto l’altro, tutti, a vario titolo, ma tutti ugualmente parte della medesima comunità, una sorta di circonferenza con al centro Dialogo, cioè Piero, che, con costanza ha saputo tenere accesa una sorta di fiaccola della libertà, un simbolo verso cui ciascuno ha provato l’orgoglio di esserne parte.

Con la dipartita di Piero è caduta la trave su cui si reggeva il tetto, come succede quando si verifica un terremoto, il tetto si è steso sul pavimento, ma non si è divelto, è rimasto integro in attesa di essere riposizionato su una nuova trave in grado di reggerlo al suo posto.

Dialogo, perdendo Piero, ha perso il suo curatore affettivo, solo quello, perché come ogni essere che è stato nutrito dall’amore si è irrobustito al punto da reggere all’urto che certo lo ha fatto vacillare. Adesso bisognerà andare avanti senza di lui, lo si farà, tutti pronti a raccogliere questa preziosa eredità, ripartirà, ritornerà in edicola già a luglio.

Martedì 16 in tanti si sono ritrovati a dire io ci sono, io farò la mia parte, tutti insieme perché lo dobbiamo a Piero, a luglio uscirà il primo numero non curato da Piero ma sarà interamente dedicato a lui, ciascuno dei collaboratori formulerà il ricordo che gli vibra dentro. Ritornerà presto ad assolvere la sua funzione, ritroverà i lettori che lo attendono. A dirigerlo sarà Paolo Oddo, ma a portare avanti l’associazione editoriale sarà l’intero direttivo appena rinnovato, l’ing. Giovanni Savarino è il presidente, fra i componenti il direttivo  anche Emanuele Vernuccio.

Carmela Giannì




Le ricette della Strega (a cura di Adele Susino)

persico trota con burro di mandorle e erbe aromatiche

ingredienti

4 filetti di persico trota, 100 gr di mandorle, 1 ciuffo di prezzemolo,1 di basilico,1 di menta e 1 di erba cipollina, 1 noce di burro, scorza di limone,  succo di 1/2 limone, 1 bicchiere di spumante extra dry, 1 pizzico di pepe di Timut, q.b. di sale

preparazione:

tenere le mandorle a bagno per almeno due ore, poi scolarle e tritarle in un mixer, lavorando a intermittenza, fin quando diventano cremose, aggiungere le erbe aromatiche, la noce di burro, la scorza grattugiata e il succo di limone, il pepe e il sale e continuare a frullare per ottenere un composto omogeneo. Spalmare i filetti di pesce con questa crema, disporli in una pirofila e irrorarli con il vino, cuocere in forno già caldo a 180 gradi per circa trenta minuti, servire caldo con un’insalata di patate novelle e germogli misti.

 




versi di versi per versi e detti male detti (di Sascia Coron)

Un lavoro male non va

se ha piacere chi lo fa.

 

I misteri sono

conoscenze a metà.

 

L’ingegno non fa compagnia.

 

Sapere di non poter sapere

quello che accadrà

è come intravvedere ma non avere

mai la felicità.

 

Burocrazia

Se il cittadino contesta gli errori

entra nel tunnel degli orrori.

 

Uno Stato accattone

molte tasse inutili pone.