venerdì, 24 Marzo 2023

A tavola con gli Dei (a cura di Marisa Scopello)

image_pdfimage_print

Mentre sulla nave mi avvio al porto mercantile di Cartagine, non posso non pensare al “Carthago delenda est” di Marco Porcio Catone che segnò il destino della città con la terza guerra punica, città minata oltretutto dall’ambizione di Massinissa, re di Numidia, che pensò nel 174 di occupare territori cartaginesi suscitando una guerra così che Roma, sfidata da un possibile Stato esteso dall’Egitto all’ Atlantico, ruppe il trattato di pace stilato nel 201 e diede inizio alla terza (e ultima) guerra nel 149 a.C.
Entrando nel porto avverto l’atmosfera di crisi che si addensa ma ancora non traspare nella quotidianità. Solo un avvertimento tragico per me che so della battaglia di Cartagine, mentre la gente comune ne ignora la prossimità.
Sbarco sul molo tra la concitazione di ordini ai marinai che lanciano le cime per assicurare l’imbarcazione. Il sole africano ha una violenza molto dissimile alle ventose mattinate di tarda primavera mediterranea finora vissute. Mi dirigo verso la città bassa e guardo Byrsa, l’acropoli svettante sul promontorio come la prua di una nave superba, di cui vedo i templi di Eshmoun, Melqart e Tanit, unita alla zona pianeggiante da poderose gradinate di arenaria. Mi aggiro  tra quartieri di insulae a più piani, botteghe di artigiani, vasai e tintori, fabbri e vetrai, orefici e scalpellini, produttori di garum e porpora, intenti alla loro fatica giornaliera che mi appare quasi frenetica forse perché ne conosco l’esito. Magari è solo una mia impressione…
Entro in un cortile dove molti tannur stanno cuocendo il pane e alcune donne preparano i brik, le sottilissime sfoglie cotte su grandi testi di metallo. Oggi assaggerò sapori esotici e cibo condito col “ras el hanout”, il miscuglio di spezie che pare abbia anche proprietà afrodisiache. Mi siedo su una panca all’ombra, sotto un pergolato di gelsomini il cui profumo inebria insetti e persone, in attesa del mio brik ripieno di ceci in purea, prezzemolo, la spezia  citata, pasta di sesamo e tonno sott’olio. Guardo le mani sapienti che avvolgono la pasta sottile intorno al ripieno foggiandola in forma triangolare e tuffandola nell’olio caldo per friggerla; la pasta diventa croccante, dorata, e aprendola rivela il gustoso e morbido ripieno. Mentre mangio, osservo altre donne che bagnano di acqua e sale il grano frantumato in modo grossolano, lo fanno cuocere a vapore sopra un intingolo di pesci e verdure che stanno sobbollendo in un tegame di coccio.
È il couscous; mai mangiato? – mi dice un signore in attesa, come me. Non posso rivelargli che il couscous è uno dei piatti preferiti della mia vita nel XXI secolo, non capirebbe mai. Accenno di no con la testa.
“Le tribù berbere dell’interno sono molto brave nel prepararlo.”
Sarà lì che lo assaggerò presto. Ora, dopo due brik, mi basta solo la frutta che ho visto in un angolo del cortile. Sono datteri e banane, un commiato dolcissimo per salutare questa città, destinata al fuoco e al sale (se dobbiamo dare credito alla leggenda).
Dei dromedari in attesa al sole mi porteranno in carovana lontano da qui, in quel mare di sabbia esteso all’infinito in cui vivono i berberi.

Condividi