Da un po’ di tempo constato che nell’uso della lingua, soprattutto parlata, nelle interviste e nelle conversazioni più o meno salottiere, in trasmissioni sia radiofoniche sia televisive, i parlanti sentono il bisogno di ricorrere ai superlativi assoluti.
Esempio “classico”, nel senso che ormai pare che sia entrato nell’uso, il super-superlativo “ultimissimo”.
Ignoriamo che “ ultimo” è già superlativo! Forse che può esserci ancora qualcuno o qualcosa dopo ultimo? No! Eppure senza pensarci due volte, anzi proprio perché parlando non si pensa e non si riflette abbastanza, molti “parlanti” ricorrono a ultimissimo: ultimissime posizioni, ultimissime notizie, ultimissima edizione ecc…. Insomma c’è l’ultimo, ma subito dopo l’ultimo c’è l’ultimissimo! Non c’è? Ci deve essere per forza, non può non esserci..
Senza che l’avvertiamo, senza volerlo, molti parlanti, parlando, esageriamo. Dobbiamo esagerare, altrimenti ci pare che non occupiamo l’attenzione dell’altro, tutta l’attenzione di cui sentiamo il bisogno. Forse perché ci accorgiamo che nessuno ci ascolta o ci pare che ci ascolti. Sentiamo il bisogno di occupare la scena, tutta la scena. Prestateci attenzione, quando state ad ascoltare o la radio o la televisione, anche in trasmissioni colte, tra persone acculturate.
Comuni parlanti, ma anche fior di giornalisti, di cronisti, di politici, di sportivi, di conduttori di programmi ecc… ci cascano.
La lingua evolve, sì è vero, evolve in peggio (almeno a me pare così!).
Potrei continuare con altri super-superlativi, se ne usano e se ne sentono tanti. Anche tanti basterebbe a indicare un numero indefinito, tanto indefinito che non ci sarebbe bisogno di dire tantissimi! Eppure non ci basta!. Insomma voglio dire che a fondamento di quest’uso del superlativo e del super-superlativo c’è un estremo (o estrremissimo?) bisogno di esagerare, di estremizzare, anche da parte dei cosiddetti moderati… in politica. Fateci caso.
Ecco un altro esempio. Quando lo sento mi rivolto (ma non ancora nella tomba).
Assolutamente sì! Ma è proprio necessario premettere “assolutamente”? Non basta dire: sì!
Assolutamente no. Non basta dire semplicemente? No! E’come se usare il semplice si o no, non fosse sufficiente. Come se sì o no fossero “impoveriti” di valore, di significato; come se il no o il sì potessero significare meno di quello che vogliono dire.
Il vostro parlare sia: sì, sì; no, no!
Il resto proviene dal maligno. L’abbiamo dimenticato!
Questo nostro tempo è il tempo delle maschere!
Un altro vezzo di alcuni parlanti è di dire grazie davvero. Se non aggiungi davvero, aggiungi mille! Forse fra breve, inflazionati come siamo, diremo grazie… diecimila!
Perché quel davvero?, forse che si può ringraziare e non essere vero il sentimento che si prova di dire grazie? Grazie veramente! Questa poi è imperdonabile! E’ come se chi riceve ed ascolta il grazie, possa sospettare che il grazie non sia veramente sentito e detto. In questo caso penso proprio che le parole abbiano perso di significato, del loro significato e si senta il bisogno di dare loro senso e significato con l’aggiunta di davvero o mille o tante o tantissime o infinite…
Ci si mette anche la pubblicità, anzi proprio i messaggi pubblicitari ne fanno un uso massiccio, facendo scempio della lingua. Ad esempio Opera reclama le sue pere: “per due buonissimissime ragioni”. Se il messaggio dicesse correttamente: “buonissime o ottime ragioni”, direbbe sì correttamente, ma il messaggio sarebbe troppo ordinario e non colpirebbe l’orecchio del consumatore. La pubblicità deve stupire, proprio come il verso barocco del Marino o del Gòngora. Pensate però all’orecchio del giovinetto scolaro o studente di scuola media, che ingenuo e inerme, accoglie il nuovo super-superlativo e all’occorrenza lo scaraventa nel pieno del suo cosiddetto tema in classe. Temo però che, al giorno d’oggi, il “nuovissimissimo” super-superlativo passerebbe inosservato alla lettura della maestra / prof.
Credo, mi pare di ricordare (è passato parecchio tempo), che prima dell’avvento dei mezzi di comunicazione di massa, la gente si accontentasse di usare aggettivi semplici, di grado positivo, specchio di rapporti umani semplici, positivi appunto. Credo anche che la gente fosse più autentica, più sincera, più alla mano. Vi corrispondeva un vestire, un abbigliamento semplice senza tanti fronzoli, senza tanti orpelli. Il volto si presentava come natura lo aveva “maturato” col tempo, anche quello delle donne. Ora invece si ricorre al maquillage, anche da parte dell’uomo. Prima infatti c’erano i barbieri e solo quelli; ora ci sono i parrucchieri per uomo e pare che siano frequentati abbastanza da taluni garzoncelli alla moda. Prima bastava dire: barba e capelli, ora invece il parrucchiere propone questo o quel tipo di taglio.
“Non v’era giunto ancor Sardanapalo, / a mostrar ciò che in camera si puote”.
La lingua è specchio dei tempi, dei costumi e usi, del sentire “nuovo” dei parlanti.
v. dmr