Chiedo a Zenone se conosca il riso perché finora non ho visto un piatto a base di questo cereale ad Alessandria.
“So che Teofrasto e Aristobolo ne hanno parlato. Qui ce n’è poco e lo si usa come medicamento. Perché me lo chiedi?”
“Perché a me piace moltissimo e, nel mio tempo, se ne fanno piatti regali come il risotto – e gli spiego il procedimento.
“Allora, quando andrai via, assocerò al tuo nome questa pietanza e nei miei sogni ti evocherò come Marisotta – e sorride con gli occhi.
Siamo vicino al porto e mi viene in mente Ungaretti con “Il porto sepolto”, la famosa lirica del 1916:
Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde.
Di questa poesia
mi resta
quel nulla
d’inesauribile segreto.
“Bellissima e struggente. Capisco il senso di queste parole. – dice Zenone stringendomi la mano.
“Il porto sepolto è l’inconscio dentro di noi, l’insieme di pensieri ed esperienze che spesso rimuoviamo per sopravvivere, ma è pure la città sommersa di Herakleion, vicino ad Alessandria, finita in fondo al mare per un terremoto e coperta dalla sabbia. Una cosa molto affascinante. – e gli stringo la mano anch’io.
“Oggi ti porto a vedere il palazzo dei Tolomei ma non possiamo entrarci dentro, però stasera uscirà dal colonnato una processione: la mummia di un dignitario verrà portata alla sua sepoltura fuori città.”
“Mentre ci avviciniamo al Faro, possiamo chiedere a qualche pescatore un passaggio per me? Ricordi, domani devo ripartire…”
“Se così deve essere, lo faremo. Sto già soffrendo. – ha gli occhi lucidi e guarda da un’altra parte.
All’ombra proiettata dal Faro ci sono dei pescatori che stanno arrostendo le sarde appena uscite dal mare; ci invitano a mangiare con loro i pesci, i gamberi crudi e l’aysh . sham, il pane del sole, così chiamato per la forma rotonda e dorata. Uno dei pescatori mette a disposizione la sua imbarcazione per il mio viaggio verso oriente. Seduta sulla sabbia disegno un cuore per Zenone, non abbiamo parole, proviamo solo timore per la perdita imminente.
“Quando non sarai più qui fisicamente, continuerai ad essere presente nel mio cuore; sarai il mio faro, immenso come questo. Sarai la mia luce. – e traccia nella sabbia il suo cuore dentro al mio.
“Andiamo ad annegare i brutti pensieri nella birra, Marisotta?”
Andiamo. E già l’aria si fa bruna, e si sente risuonare il gong del palazzo che dà il via al rito. Ci sono fiaccole, moltissime e brillanti, ai lati della scalinata, i sacerdoti dalla testa rasata aprono il corteo, il basso e continuo suono delle tube bronzee, le volute dell’incenso profumato si alzano fino al cielo insieme al salmodiare degli officianti. Scendono lentamente i dignitari di corte vestiti di bianco mentre il Faraone con la consorte si mostrano al popolo nella ieratica immobilità da semidei, con ricche vesti colorate e paramenti d’oro. Quando il sarcofago con la mummia si allontana, loro rientrano nel palazzo.
Noi andiamo via e ci fermiamo a cenare insieme per l’ultima volta.
“Stasera mangerai la melokhia, una zuppa di verdura con carne d’anatra a pezzetti, aglio, cipolle, sale, olio e pepe.”
È simile ai nostri spinaci ed è dolce e gustosa. Anche la fresca birra alla melagrana sembra giusta per questo addio. Ma c’è ancora la notte, l’ultima e infinita notte d’amore.