Ogni tanto partiva e ti capitava d’incontrarlo a Roma, a Venezia, ma da qualche anno non aveva più lasciato la sua città che rallegrava con le sue canzoni per strada, sempre con una bottiglia di birra in mano. Sì, era proprio lui, Aristide Poidomani, il figlio più grande dello scrittore Raffaele Poidomani e della pianista Federica Poidomani Dolcetti.
Aveva avuto un passato burrascoso, al di fuori della legalità, poi aveva scoperto la musica, non la musica immortale tanto amata da sua madre, ma la canzone e in particolare la canzone da strada, quella che cantava in giro per Modica, e non solo, accompagnato dal suo amico Carlino.
La pecora nera della famiglia. Già, però, dopo la scomparsa dei suoi genitori, quando tutti pian piano hanno cominciato a riscoprire e a vantarsi del modicano Raffaele Poidomani (indubbiamente un grande scrittore non ancora sufficientemente valorizzato e fatto conoscere al mondo), solo lui ha mantenuto viva dentro di sé la memoria della madre, la veneziana (quindi non appartenente al mondo modicano) Federica Dolcetti (eppure lei amava mantenere accanto al suo cognome quello di Poidomani, per il profondo amore che l’aveva legata a suo marito e anche per un sincero amore per Modica, la città di Raffaele, la città che lei non aveva più lasciato, una città ingrata popolata da figli ingrati).
Aristide era diventato un clochard, l’aveva scelto lui. Voleva sentirsi libero. Libero anche di mantenere un legame profondo col ricordo di quella veneziana che si era permessa di sbarcare in Sicilia a suonare il pianoforte come pochi, perché lui forse era un po’ matto, forse uno sbandato, ma non era un figlio ingrato, questo no.
Adesso se n’è andato anche lui e ci piace pensare che stia vagabondando tra le nuvole, magari a incontrare Federica e a farla ridere cantandole qualche canzoncina da strada. Ma lassù una bottiglia di birra riuscirà a trovarla? Chissà…
L.Montù