mercoledì, 6 Dicembre 2023

PER RIVEDER LE STELLE

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image0image1image2“Due cose riempiono l’anima di ammirazione: il cielo stellato sopra di me, la legge morale in me”. Così Immanuel Kant nella conclusione della Critica alla ragion pratica del 1788. In quella fine del ‘700, innervato nel razionalismo illuministico trascolorante nel fermento preromantico che si profilava all’orizzonte delle coscienze europee. Certo, il filosofo teutonico, preciso più di un orologio svizzero, aveva annusato nell’aria le istanze della nuova sensibilità, e per quel suo “cielo stellato” gli perdoniamo tutta la fatica di studiarne il pensiero sui banchi del liceo; ne comprendiamo anche la difficoltà a rendersi conto dell’immensa Volta Celeste, privo di immagini come quelle che Hubble ci regala da decenni e impossibilitato, soprattutto, a entrare nell’ex Convento dei Carmelitani di Modica la sera del 22 agosto scorso e lasciarsi sconvolgere dalla Mostra fotografica di Alessia Scarso, organizzata dalla Fondazione Teatro Garibaldi-Modica.
In realtà, non si tratta solo di foto, è una vera e propria esperienza di Infinito multimediale e multisensoriale che non si può esaurire in una sola visita perché le emozioni del primo assaggio sono volatili e sfuggenti… ci si deve fermare a leggere le didascalie che spiegano la tecnica dello startrail, si resta a bocca aperta e cuore in tumulto nel turbinio di stelle, davanti alla Luna, piena e spettacolare, che sorge tra monumenti modicani, davanti alla sua sottile falce posata su un carrubo, all’alba lunare su un mare di inchiostro, alla Via Lattea sulla fornace Penna con le Perseidi danzanti.
E l’architettura tardo barocca di S. Giorgio incoronata dalla Luna, la volta di S. Pietro che si dilegua in un baluginio di stelle come nelle volte delle chiese medievali (Sante Chapelle di Parigi, quella rifatta di Montecassino); volte architettoniche e Volta Celeste, tetto di tutti noi umani che guardiamo sotto qualsiasi latitudine quando riusciamo ad andare oltre l’inquinamento luminoso e ci lasciamo andare alla meraviglia cosmica muniti solo di occhi ghiotti per viaggiare tra stelle note e visibili, tra quelle timide e sfuggenti, e trarne un immenso piacere. Alessia Scarso, insieme agli altri Pictores caeli, i suoi amici astrofotografi, abitatori della notte e dei crepuscoli, hanno captato i colori della Luna, quella blu – rosa – verde – rossa – diamante che tanti hanno cantato, quella della meraviglia di Ciaula, la leopardiana di Recanati, quella antica di Saffo e dei lirici greci. E poi quella che osservano gli occhi di una bimba affacciata al davanzale, spiandone il movimento apparente mentre coglie il lieve brillio delle lucciole. Con Alessia viviamo lo stupore di una pennellata di arcobaleno, ci sentiamo al sicuro mentre una tempesta di fulmini squassa l’orizzonte marino. Lei ha messo a disposizione la bussola del sublime visivo (senza scomodare la teoria dello Pseudo Longino) e col suo linguaggio immaginifico, forse senza volerlo, induce i visitatori a esercitare molte sinestesie come corollario agli scatti: non è difficile sentirsi seduti sulla sabbia fresca di una spiaggia locale nel profumo dei gigli di mare ormai rari, appoggiarsi a un muro a secco che conserva ancora la calura estiva tra l’odore delle stoppie, il canto discreto dei grilli, vecchi ruderi agresti ingentiliti da cespugli di gelsomino notturno. Queste e tante alte sensazioni, distribuiti lungo il percorso che ne apre tanti altri nella labirintica e interiore profondità. Così avviene la saldatura kantiana tra sublime estetico e sublime interiore senza che venga richiesta alcuna astrazione filosofica, nemmeno di oscuro sapere iniziatico: il cielo notturno rischiarato da Luna e astri è mezzo per diventare coscienti del proprio “stare” qui e ora e Dante lo ha mirabilmente sintetizzato nell’ultimo verso dell’Inferno “e quindi uscimmo a riveder le stelle”. Anche Alessia Scarso lo ha fatto con la sua sensibilità e il suo linguaggio fotografico. La mostra, aperta fino a metà ottobre e dedicata a suo padre, smuove emozioni da recuperare in tempi così avari di claritas polifonica, perché ri-guadagnarsi il cielo guardandolo dal basso  aiuta a vivere l’epifanica rivelazione del verso lucreziano “caeli subter labentia signa”.

Marisa Scopello

 

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