mercoledì, 31 Maggio 2023

LE PAROLE SBAGLIATE

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Suggerimmo di farlo e continueremo a suggerirlo di fare il mea culpa, perché la nostra categoria, quella di noi giornalisti, spesso è colpevole di deviare con le sue parole il pensiero di chi legge e magari, in alcuni casi, di favorire un modo di ragionare che noi stessi riteniamo sbagliato. Per lo più i nostri sono errori di leggerezza, ed è proprio su questi che ci vogliamo soffermare oggi.

Troppo spesso nel riportare un fatto, dovendo indicare la persona o le persone che ne sono state protagoniste, si tende a specificare, ad esempio, “il guidatore, un extracomuniario di tot anni”. Perché non “il guidatore, un uomo di tot anni”? Cosa cambia se chi guidava il mezzo di cui si parla è di nazionalità italiana o di un’altra nazionalità, visto che non si tratta di una caratteristica che possa incidere in qualche modo sul fatto in sé? E perché poi specificare che il suo paese non fa parte della Comunità Europea? Parlando di Dustin Hoffman o Mel Gibson scriviamo forse “attori extracomunitari”? No, e sapete perché? Perché il termine “extracomunitario” continuiamo a usarlo in senso spregiativo alimentando in tal modo l‘atteggiamento di tante persone convinte di non essere razziste ma che piano piano lo stanno diventando. E lo stanno diventando anche per colpa nostra. Insomma, accade a volte che noi, del tutto inconsapevolmente ma solo per abitudine, un’abitudine che però è incuria (e questo, da parte nostra, è grave perché dobbiamo sempre tener presente il peso che le nostre parole hanno sull’opinione pubblica, quindi dei danni che, se usate male, possono fare) usiamo parole che non servono alla cronaca che stiamo facendo, dunque perché le usiamo? Accade anche che si definisca extraccomunitario qualcuno solo perché ha l’aspetto di un africano o di un sudamericano (perché poi gli africani e i sudamericani debbano essere definiti extracomunitari e tutti gli altri extracomunitari no, non si capisce, come abbiamo detto sopra) mentre poi è italiano per nascita o per matrimonio o altro. Così, cadiamo nel ridicolo. Basta che la nostra strada sia seminata dai tranelli delle fake news, ci manca pure la nostra faciloneria a farci perdere la credibilità!

Già, le parole se le porta il vento, si usa dire. Non è vero. Le parole sono ragnatele che catturano chi le riceve e ne diventa prigioniero. Le parole sono coltelli, che affondano nella carne e possono uccidere. Le parole sono oro o sono melma, sono cura o sono veleno.

Quando facciamo la cronaca di fatti violenti, di comportamenti ingiuriosi, di reazioni aggressive nei nostri confronti non facciamolo con lo stupore dello spettatore innocente ma chiediamo a noi stessi se una parte di colpa non l’abbiamo anche noi: sicuramente proveremmo vergogna, perché colpa ne abbiamo, eccome se ne abbiamo!

LuM

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