Alice atterra su un soffice tappeto di foglie, ed è l’inizio dell’avventura nel mondo dell’assurdo e del non-sense, da cui poi si risveglia tornando nella sua realtà di bambina.
Alfredino Rampi, invece, del maledetto pozzo di Vermicino non arrivò mai a vederne il fondo e a scoprirne, se ci fossero state, le meraviglie: solo buio, fango, freddo e morte.
Chissà quando, chissà come, chissà perché, l’Italia è precipitata in un pozzo che pare non aver fondo.
Continuiamo a scivolare sempre più giù e la sensazione è che non troveremo stregatti né bianconigli, e che il massimo della cattiveria non sarà la regina di cuori tagliatrice di teste, ma la morte atroce per soffocamento nel fango che noi stessi stiamo producendo con l’idiozia della furbizia al posto dell’intelligenza, con l’arroganza dell’ignoranza esibita come un vanto, con l’incongruenza che discrimina, con l’ipocrisia strisciante del semo tutti fratelli, volemose bbene.
Trieste, splendida città culla di cultura mitteleuropea relegata a periferica e misconosciuta realtà di frontiera e per questo ancora martire irredenta, in questi giorni è balzata agli onori della cronaca per il caso creato da un portuale dal cognome scomodo che, con qualche esperienza di lotte sindacali, ha cavalcato per qualche giorno la protesta contro l’obbligo del green pass per poter lavorare al porto.
I media si sono immediatamente impossessati della notizia divulgandola oltre misura e l’evento è stato immediatamente stravolto dai no-vax, seguiti dal consueto codazzo di invasati casinisti e di picchiatori professionisti.
Trieste è parecchio lontana da Roma e dai suoi palazzi, quindi poco “protetta” dall’alto: l’intervento delle forze dell’ordine, ancorchè tardivo e mal organizzato, ci ha ricordato certi comportamenti scelbiani che speravamo definitivamente affossati dallo scandalo della scuola Diaz di Genova.
Non si riesce a capire come non sia possibile bloccare i cosiddetti black block, che da anni imperversano in tutta Europa provocando violenze e disordini in qualunque manifestazione di protesta: sono personaggi ormai conosciuti e non dovrebbe essere poi così difficile isolarli… sempre che ci sia la volontà di farlo.
Che il portuale triestino non avesse santi in Paradiso né qualcuno di potente che lo avesse chiamato ad esportare la sua protesta a Roma è risultato evidente dallo sproporzionato provvedimento di polizia nei suoi confronti: il foglio di via, il DASPO!
Quindi mettere in piazza un banchetto, due manifesti e quattro sedie per comunicare le proprie idee, belle o brutte che siano, è un reato che sopravanza lo spaccio di stupefacenti, la rapina seriale e tanti altri comportamenti delinquenziali perpetrati da gente di tutti i colori che meriterebbe di essere riportata al proprio paese, e lasciata lì.
Il concetto di democrazia intesa come eguaglianza tra diritti e doveri identica per tutti i cittadini, e la stessa Costituzione, tanto lodata, invocata – e tanto inapplicata -, vengono bellamente calpestate dallo Stato stesso per mezzo dei suoi legislatori che sfornano leggi dalla tortuosa comprensione e applicabilità, quasi sempre “ad personam”, che diventano strumenti di sopraffazione per i deboli ed armi affilate per la salvaguardia dei delinquenti.
In Italia è possibile sfilare camuffati da vittime di lager nazisti, sfoggiando provocatoria ignoranza totalmente fuori contesto rispetto al motivo della protesta.
In Italia è prassi normale che assassini mafiosi, uxoricidi o terroristi vengano premiati dal rito abbreviato e scarcerati o ristretti agli arresti domiciliari, alla faccia delle vittime mai risarcite.
In Italia è possibile vedere capi di Stato, anche se tiranni assassini, ricevuti con tutti gli onori dovuti al G20, ma anche la piaggeria sconcertante di un senatore che vive solo in funzione di una campagna elettorale perpetua mentre abbraccia e si scusa a nome del popolo italiano (!) con uno come Bolsonaro.
In Italia è possibile affossare o quantomeno rallentare l’iter di leggi contro le discriminazioni e le disuguaglianze, che non gravano di un centesimo sul bilancio dello Stato ma che contano moltissimo sul grado di civiltà del paese, da personaggi facenti parte del governo che mandano al voto, contrario perché segreto, le proprie truppe cammellate senza metterci né faccia né presenza perché impegnati a farsi i propri affari privati con partner segnatamente omofobi e sessisti.
“Senza fine…” cantava Ornella Vanoni. Cantava d’amore, difficile, complicato, trascinante come un vortice, ma era amore.
Senza fine… senza fondo è il baratro dove stiamo precipitando, senza speranza né amore.
Lavinia de Naro Papa