E’ uscito il 19 novembre “Chanson”, l’ultimo album di Chiara Civello, attesissimo dai suoi fan perché per la prima volta la cantante affronta la canzone francese.
In passato, proprio su questa testata, avemmo a manifestare la speranza che Chiara si cimentasse giusto in questo tipo di repertorio, perché la sua raffinatezza, la sua eleganza, ci sembrava spingessero proprio in quella direzione. Adesso l’ha fatto, ma non certo scimmiottando quelle cantanti che nel territorio francese affondano le proprie radici, ché sarebbe stato banale e certo la personalità della Civello al banale proprio non potrebbe indulgere; l’ha fatto a modo suo, col patrimonio jazzistico che sempre l’accompagna, con la musicalità che è insita nella sua personalità, col ritmo e la dolcezza, l’eleganza e la sensualità che la contraddistinguono, insomma l’ha fatto alla Chiara Civello.
Particolarmente interessante è la scelta delle canzoni, che vanno dalla francesissima La vie en rose a My way, che ha fatto parte del repertorio di Frank Sinatra, Elvis Presley e innumerevoli altri cantanti americani al punto che si è finito per considerarla americana mentre nasce col titolo Comme d’habitude ed era cantata da Claude Francois. Quanti di noi lo ricordavano? Ci ha pensato lei a rammentarcelo. O meglio, ci ha pensato il titolo dell’album, che, per molte canzoni, ci ha spinto ad andare a guardare i nomi dei loro autori, ci ha fatto sorgere la curiosità di sapere chi ne era stato il primo interprete. Quanti giovani conoscono Jacques Brel, cantante, autore, poeta, o Charles Aznavour o Gilbert Becaud o Claude Francois?
Sì, ci ha pensato il titolo, perché il fascino della canzone francese è anche il fascino che appartiene a tutte le interpretazioni di questa cantante che non si dona alla musica ma costringe la musica a donarsi a lei.
Non dimentichiamo che la sua formazione viene dal jazz e appartiene proprio al jazz l’appropriarsi della musica, interiorizzarla e trasmetterla non come insieme di note ma come respiro dell’anima. Sì, proprio questo il jazz vuole dalla musica: che ti strappi l’anima e la faccia sua.
Questo Chiara lo sa. Ma lo sa davvero? O non è piuttosto quel suo essere musica che nel jazz deve scivolare inevitabilmente, più che per gli studi affrontati, per una sua sensibilità che in altro modo non avrebbe senso si esprimesse? E’ una scelta o non piuttosto un inevitabile andare sull’onda della musica alla quale Chiara irrimediabilmente appartiene? Noi crediamo sia lei, lei nel suo sciogliersi in musica, lei nel suo attraversare una musica senza confini.
L.Montù