Tellure mi fa entrare nella sua casa portando il cesto di pesci, il suo salario. È una casa non grande, con reti e nasse appese ad asciugare fuori; c’è un recinto diviso a metà: da una parte ci sono le galline, dall’altra un maiale nero ben pasciuto.
“È la nostra preziosa scrofa: spesso trova i funghi che crescono sottoterra sulle nostre colline coperte di querce.”
“Oh, i tartufi! Quale tipo?”
“Quelli neri in settembre, ora quelli bianchi profumatissimi. Li conosci?”
“Certo. Quelli bianchi hanno anche il nome che richiama la gente picena, tuber magnatum pico, ma non li ho mai assaggiati.”
“Bene, dirò a mia madre di preparare un piatto con questo ingrediente per te.”
Ringrazio con l’acquolina in bocca, dovevo venire qui per poterli assaggiare.
La donna piccola che è la madre di Tellure prende in consegna i pesci, assentisce alle indicazioni del figlio e ci invita a riposarci in attesa della cena. Lo faccio con piacere perché l’umidità marina di dicembre necessita di un fuoco caldo e di un letto accogliente.
Mi sveglio con l’odore del cibo che invade la casa e vado in cucina dove i profumi sono molto intensi. Tellure, già seduto a tavola, mi porge una coppa di vino rosso condito col miele e allungato con acqua calda, un grog piceno che scalda lo stomaco. La donna mette nei piatti laganelessate, condite con pezzetti di carne (forse prosciutto) soffritta con porri e pastinache viola; porta in tavola su un tagliere un tartufo bianco grosso come un’arancia, lo affetta e mi invita a metterlo sulla pasta. Uhm, che bontà!
Non m’importa se mancano le forchette, anche col cucchiaio di legno si può assaporare una simile leccornia.
Ora dal forno estrae due grandi vassoi di coccio con il pesce, li porta in tavola e Tellure sorride orgoglioso di questo banchetto degno degli Dei.
“Questo è il rombo che hai visto ieri notte. La mamma lo ha tagliato in tranci, infarinato e irrorato d’olio per esaltare la delicatezza delle carni. Nell’altro vassoio c’è la coda di rospo la cui carne soda e dolce somiglia a quella del pollame. Anche su questa sta molto bene il tartufo. Serviti quanto vuoi.”
E io non me lo faccio dire due volte… Un pasto simile non me lo aspettavo in una casa tanto modesta.
Mentre mangiamo al lume della lampada a olio, entra un gatto bianco e nero, si avvicina miagolando e si mette a fare le fusa strusciandosi nelle mie gambe.
“Lui è Cato, ci aiuta a distruggere i topi che altrimenti sarebbero una piaga. Se ti infastidisce, dillo pure.”
Dico di no sorridendo e leccandomi le dita. Lui non sa che nella mia vita reale mi trovo spesso a scrivere col gatto di turno che passeggia sulla pagina e tenta in tutti i modi felini di catturare la mia attenzione mordicchiando la biro!
Tellure lo chiama e gli dà qualche pezzettino di pesce come premio per i suoi servigi di sterminatore di ratti.
“Ancora non abbiamo finito. Mamma ha preparato anche il dolce: si chiamano basynias e sono palline di pasta fritta immerse nel miele.”
Riconosco gli struffoli e penso che nel mio stomaco ormai non c’è spazio per nulla.
Ringrazio la bravissima cuoca con un sacchetto del safran di Polus e le spiego come usarlo per rendere i suoi intingoli dorati e aromatici.
“Domani andremo in giro ad assaggiare altri piatti e a farti conoscere il nostro mondo.
Grazie, madre, per aver onorato la nostra ospite.”