“Ti ho detto che saremmo andati a Sybaris; – mi dice Labduco sull’imbarcazione che viaggia verso occidente. In realtà di quella grande città orgogliosa non resta più nemmeno il nome: fu distrutta dai crotoniati guidati dall’atleta Milone che fece deviare le acque del Crati per sommergerla. Al suo posto fu costruita Thurii che adesso dai Romani è stata inglobata nella nuova colonia di Copiae. A me piace chiamare ancora questi luoghi col loro nome originale perché Sybaris mi ricorda che la grandezza e il lusso possono sparire nella spirale del Tempo ma la miseria rimanda al fulgore mitico di quella polis.
“Sai che i greci hanno coniato addirittura un verbo al riguardo? Symbarízein significa proprio vivere alla sibarita fra banchetti, feste, lussuria e giochi.”
“Oh, era quello che avrei voluto vedere coi miei occhi! La cosiddetta tryphè sibarita sarebbe stata una tappa interessante… – e il sogno di godermi un banchetto magnifico svapora miseramente. Dovrò continuare con le verdure sciape e i magri pasti di Labduco.
“Però avrai modo di bere vini eccellenti. I Brettii o Bruttii, la popolazione che vive qui, producono ottimi vini quali il thurino, l’amineo, il lagaritano, conservati in orci internamente spalmati di pix bruttia, una resina nera estratta dai pini, abbondanti in queste terre, ed esportata in tutto il Mediterraneo per calafatare le barche.”
Menomale, non mi ingozzerò di cibi squisiti, ma non mi mancherà il vino!
“Il famosissimo garum romano ha origine dal garon sibaritico, un miscuglio segreto di pesce con l’aggiunta di olio e aceto.”
“Parlami ancora dei Brettii; perché si chiamano così?”
“È un popolo italiota con apporti orientali e prendono il nome da una donna guerriera, Brettia, che guidò cinquecento giovani a ribellarsi e a sconfiggere i mercenari africani al soldo del tiranno siracusano Dionisio, alleato dei Lucani.”
“Le donne alla riscossa! Mi piace la storia di Brettia.”
Intanto arriviamo a Thurii o Copiae, posta sul delta del Crati, e scendiamo a terra nel tardo pomeriggio estivo di un tramonto in tecnicolor.
È vero, non vedo nessun lusso, la gente del porto è la stessa di tutti i porti mediterranei: affaccendata a sbarcare ceste di pesce, riparare reti, pulire nasse. Andiamo nella solita prima taberna a portata di mano e, guarda guarda, stanno arrostendo anguille e gamberoni. Labduco sceglie un piatto di cavoli bolliti (dice che sono un piatto tipico), tanto per non smentirsi; io mi tuffo nella lucanica secca, negli spiedi di anguille sfrigolanti di grasso e ne godo alla maniera sibaritica accompagnando il tutto con molte coppe di vino e pane speziato con i semi di papavero. Infine ci servono un grosso orcio pieno di fichi secchi aperti a metà, imbottiti con noci e buccia d’arance, messi a forma di croce e immersi nel miele.
Non ho trovato Sybaris ma, chiudendo gli occhi mentre gusto queste crocette di fichi, posso sentire il sapore dell’antico lusso.