martedì, 3 Ottobre 2023

PIANETA SICILIA. CASTELLUCCIO E DINTORNI

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Il sole è rovente. Mi faccio strada faticosamente tra fasci di stoppie riarse, cercando di non incespicare. Attorno a me solo rocce scoscese e qualche arbusto spinoso. Mi trovo nella Cava della Signora, una crepa inospitale situata tra Noto e Siracusa.  Quando meno me l’aspetto, mi appare finalmente quello che sto cercando: la Tomba del Principe. Si tratta della più importante testimonianza architettonica della civiltà castellucciana, presente nella Sicilia sudorientale nell’alta età del bronzo.

Dobbiamo la sua scoperta ad un archeologo genovese, Paolo Orsi, vissuto all’inizio del secolo scorso, in un’epoca in cui non era certo agevole addentrarsi in una Sicilia impervia, quasi priva di strade e di locande. Assente nei manuali di storia dell’arte e relegata in pubblicazioni archeologiche di nicchia, la cultura di Castelluccio è poco conosciuta, come del resto altre civiltà pre-greche. Di fatto la storia antica della Sicilia si identifica quasi esclusivamente con la civiltà greca, madre primigenia da cui la nostra terra ha ereditato lingua, arte, cultura.

Osservo la tomba più da vicino, emozionata come un archeologo dopo la scoperta di un sito mai esplorato. Il nome della tomba è dovuto al suo aspetto monumentale, attribuibile a un uomo di potere o a un sovrano. Benché il complesso si presenti di dimensioni inferiori rispetto alle mie aspettative, la perizia di questi ignoti costruttori è innegabile: una sorta di corridoio scavato nel calcare e sostenuto da pilastri a tutto tondo, sulla cui parete si staglia l’apertura rettangolare del luogo destinato alla sepoltura.

Mi accorgo tutt’intorno della presenza di altre tombe più modeste, con i pilastri appena accennati – presenti anche nei siti di Cava d’Ispica e Baravitalla – o addirittura assenti.

Il canyon dirupato in cui mi trovo è solo una delle numerose cave strette e tortuose di origine fluviale che solcano l’altopiano ibleo, all’epoca percorse da fiumi che facilitavano le comunicazioni, mantenevano il clima fresco e la terra fertile. A giudicare dal numero di tombe si trattava di piccoli insediamenti di poche decine di abitanti. La presenza di paletti sul terreno ci racconta di capanne circolari, così come i resti di oggetti in osso e pietra testimoniano le attività di cui vivevano: caccia, agricoltura, pastorizia, artigianato. I reperti del Museo P. Orsi ci mostrano esempi di vasellame decorato con motivi geometrici scuri su fondo giallastro.

Il ritrovamento di amuleti, perle, pendagli e collane testimonia la produzione di beni voluttuari che lascia pensare ad una diversificazione dei gruppi sociali. Il ritrovamento più singolare è quello dei cosiddetti ossi a globuli, oggetti di forma allungata decorati con globuli a rilievo e fini incisioni a reticolo. A cosa servivano? Possiamo solo fare delle ipotesi. Impugnature di coltelli? Strumenti musicali? Idoletti schematizzati? Il fatto più interessante è che sono stati trovati dei reperti simili a Troia, in Puglia e a Malta, ulteriore conferma che queste popolazioni, tutt’altro che isolate, intrattenevano rapporti commerciali non solo con il resto della Sicilia e con Malta, ma anche l’Egeo.

Come spesso accade nelle civiltà antiche, l’aspetto più singolare è però il culto dei morti. Castelluccio conta un centinaio di tombe a grotticella artificiale, camerette ovali di circa 70-90 cm. Ogni tomba poteva essere utilizzata più volte e si soleva distinguere il sesso dei defunti disponendo una selce sotto il capo dei maschi. La forma tondeggiante delle camerette e la posizione fetale dei defunti suggeriscono l’idea di un utero materno. In più in alcuni portelli monumentali troviamo incisi dei motivi spiraliformi, presenti anche nel complesso megalitico di Tarkien, a Malta. Queste decorazioni rappresenterebbero l’atto sessuale in forma stilizzata. Un affascinante binomio vita /morte, simbolo di una visione circolare del tempo e di rigenerazione, collegato con il culto primordiale della Dea Madre.

Queste piccole comunità generalmente pacifiche che abitarono la nostra Isola dal XVIII al XV secolo a.C. non potevano certo sapere che, di lì a poco, popolazioni più strutturate e combattive avrebbero cambiato per sempre il corso della loro storia.

Claudia Sudano

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