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SEMU TUTTI MUNNIZZARI

Finalmente, dopo anni di impegno e fatiche, la città di Modica è riuscita ad issarsi al livello di altre più grandi e blasonate città d’Italia. Come – e forse meglio – di Roma o Catania, ad esempio, Modica è orgogliosamente straripante di spazzatura in quasi ogni suo angolo – il quasi è palesemente volontario ed allusivo -.

I turisti che, per loro incredibile fortuna, si trovano a passare per Modica, già arrivando alla Sorda vengono accolti da maestosi cumuli di rifiuti che sommergono indifesi cassonetti invadendo prepotentemente il marciapiede per decine e decine di metri. Uno spettacolo che, molto più di quanto di bello offra la città – e non è poco -, riesce a lasciare tutti letteralmente a bocca aperta.

Ci sono voluti anni per trasformare un gioiello dell’arte barocca in un fulgido esempio di discarica cittadina e adesso i cittadini di Modica potranno finalmente vantarsi di abitare in una città che nulla ha da invidiare alle metropoli del terzo e quarto mondo sudamericano, asiatico ed africano. Con un insospettabile colpo di reni, Modica è riuscita a raggiungere la cima delle classifiche della sporcizia e dell’inciviltà mostrando con orgoglio che anche le attuali generazioni sono in grado di tramandare ai posteri dei magnifici capolavori.

Che dire poi della classe imprenditoriale della città, non si può far altro che elogiarla in massa; essa non ha intralciato in alcun modo il capolavoro compiuto dall’amministrazione evitando di disturbare quanti si sono faticosamente impegnati nel raggiungimento di tale traguardo. E’ proprio il caso di suggerire che un tale evento venga immortalato con una lapide commemorativa affiancata da foto, o ritratti, dei protagonisti di tali gesta eroiche ed è sperabile che le associazioni di categoria diano il loro solido contributo per tramandare ai posteri tali esempi di rara virtù ed encomiabile impegno civico.

Infine, non può mancare un plauso ai cittadini modicani; in altri paesi europei/occidentali le proteste sarebbero state veementi – ignare e ingrate – a Modica invece nessuno fiata e tutti approvano gioiosamente quanto viene loro destinato. Nessuna manifestazione, nessuna richiesta; solo un totale assenso ed un’entusiasta accettazione degna di paesi asiatici dotati di ferree ed invidiate democrazie.

Il tutto poi mentre paesi e città vicine, evidentemente fornite di poco o nullo spirito di collaborazione, si impegnano in scelte decisamente controcorrente insistendo pervicacemente in attività quali la raccolta differenziata porta a porta, con il risultato di aver eliminato cassonetti e discariche pubbliche.

Che dire, meno male che a Modica nessuno, negli ultimi anni, abbia deciso di copiare, sarebbe davvero stato un peccato.

Solo i turisti restano un po’ perplessi, poverini. Qualcuno si chiede se sia normale accumulare tanta spazzatura per le strade, altri invece – più sfrontati – vanno in giro a cercare il cumulo più alto o quello più lungo oppure quello più puzzolente. Altri ancora, schifati, promettono a se stessi che non metteranno mai più piede in un posto più simile ad una discarica a cielo aperto che ad una città d’arte – i soliti ingrati di cui non si riesce mai a fare a meno -.

Quello che rimane da capire è come sia stato possibile raggiungere un risultato del genere in totale concordanza con tutte le parti in causa; insomma politici, amministratori, classe imprenditoriale e cittadini tutti a favore di questo splendido esempio di discarica a cielo aperto.

E’ ormai così tanto difficile e raro, al giorno d’oggi, raggiungere un tale consenso che una domanda sorge spontanea: ma non è che forse semu tutti munnizzari?

Michele Purrello




Le ricette della Strega (a cura di Adele Susino)

Sformato di melanzane 

Ingredienti:

4 melanzane violette, 100 gr di prosciutto cotto, 50 gr di primosale, 50 gr di parmigiano, 500 ml di latte, 50 gr di farina, 50 gr di burro, q. b. di sale e olio evo, un pizzico di noce moscata, un pizzico di pepe di Sechuan, 1 albume

Preparazione:

tagliare a fette le melanzane e tenerle a bagno in acqua e sale per 30 minuti, asciugarle spennellarle con l’albume sbattuto, così assorbono meno olio. Scaldare una padella antiaderente, ungerla con un filo d’olio e fare imbiondire le fette di melanzana da entrambi i lati. Preparare la besciamella e aromatizzarla con la noce moscata e il pepe. Tagliare a dadini il primo sale e grattare il parmigiano. Comporre il piatto sistemando a strati, in una pirofila, la besciamella, le melanzane, il prosciutto e i formaggi, poi ancora besciamella e continuare a formare gli strati fino ad esaurire gli ingredienti, l’ultimo strato deve essere di besciamella e parmigiano. Passare in forno caldo a 200 gradi fino a doratura. Fare intiepidire e servire.




CASTELLI IN ARIA

Narra una inusuale leggenda siciliana che Artù e Morgana, stanchi delle nebbie di Avalon, abbiano costruito un magico castello fluttuante tra l’Etna e il mar Tirreno che appare e scompare a seconda dei loro desideri. È possibile, dato che Morgana può far apparire in pieno deserto palazzi dorati che si specchiano nell’azzurro all’orizzonte del viaggiatore assetato poco prima del suo ultimo respiro. La bella fata non è tanto diversa dai mostruosi Scilla e Cariddi; ha solo il pregio del fascino che lusinga.
Forse a lei hanno chiesto aiuto i candidati siciliani alle votazioni regionali per avere uno slogan che colga l’aspetto più calzante all’ uopo… Così lungo le strade di intenso transito vediamo manifesti a mo’ di lenzuola matrimoniali variopinti o di un verde soft con effigi accattivanti e frasi programmatiche pompose (molto divertenti in realtà, perché sappiamo che occultano il vuoto pneumatico e un’imbarazzante mancanza di pensiero e azione). Reduci dall’archiviato “Sarà bellissima!”, ora è il turno di “Il coraggio di una nuova storia”, il comico “Cambierà tutto, finalmente!”, “Non…scambio idea” e “Il tuo aiuto è la mia forza”; un pullulare di fate Morgane che, a suon di migliaia di euro, dovrebbero convincere gli elettori a votare a destra e a manca. Gli elettori dotati di cervello pensante (pochi, ahimè) sono diventati “elettrici” e credono sempre meno alle sirene ammaliatrici, sono diventati insofferenti, forse per il caldo di questo agosto siciliano punteggiato da improvvisi e fulminanti temporali. Ma molti stanno attuando un nomadismo compulsivo, spostano le loro tende da un “Polo” all’altro come le solite pecore intruppate dietro a chi promette prati grassi. Sarebbe il caso di svegliarsi dalla letargica condizione di supina sudditanza, coltivare il pensiero critico oltre l’ovvio che viene ammannito al popolo bue? Sarebbe il caso. Ma sembra utopistico ritenerlo ancora possibile. Meglio i castelli in aria cambiando padrone e sperando che il prossimo sia meno peggio del precedente.

Marisa Scopello




UN GIUSTO DA RICORDARE

“Lui ha fatto la sua parte per l’Italia e adesso sono pronto a farla anche io” queste sono le parole finali di Alberto Angela nell’orazione in Campidoglio per le esequie del padre Piero, discorso che ha commosso tutti i presenti e direi tutta la nazione già turbata per la dipartita di questo grande uomo che col suo esempio ha davvero fatto la differenza. Ma i semi dell’altruismo, dell’amore per il prossimo e per la scienza hanno radici profonde nella famiglia Angela, infatti c’è un’altra persona in famiglia che “ha fatto la sua parte”, prima del grande divulgatore appena scomparso: Carlo Angela, padre di Piero e nonno di Alberto. Era uno psichiatra torinese che durante la seconda guerra mondiale, nel periodo buio delle persecuzioni nazi-fasciste, nascose uomini e donne ebrei accogliendoli sotto falso nome nella clinica che dirigeva a San Maurizio Canavese e per questo, per non aver esitato a rischiare la sua vita, quando la storia è venuta alla luce dopo parecchi anni, nel 2001 è stato insignito dell’onorificenza di “Giusto tra le nazioni” dallo Yad Vashem di Gerusalemme. “Li istruiva su come fingersi falsi malati, facendoli passare per matti, e in questo modo li salvò”, aveva raccontato lo stesso Piero.

In quella clinica, Piero ci rimase per un bel po’ di tempo, facendo amicizia con gli ospiti, quelli che davvero soffrivano di disturbi psichiatrici e i matti finti, che un po’ come per il “morbo di K” la malattia inventata nel 1943 dal primario del Fatebenefratelli Giovanni Borromeo e dall’allora studente Adriano Ossicini per salvare alcuni ebrei italiani dalle persecuzioni nazifasciste a Roma, suo padre aveva ricoverato sotto falso nome e falsa diagnosi. Questa storia per anni non emerse, il patriarca Carlo non raccontò a nessuno quell’atto di generosità, anche se nel febbraio del ’44 se la vide brutta: sospettato e interrogato, rischiò di essere fucilato e si salvò a stento.

“Così si è saputo quello che mio padre aveva fatto in favore degli ebrei, quanti ne aveva salvati: alcuni li ho conosciuti e identificati, altri no. Ricordo bene Renzo Segre, che ho conosciuto allora, insieme alla moglie. Era una persona terrorizzata, che viveva in una continua attesa di qualcosa di tragico, di essere catturato da un momento all’altro: grazie a mio padre si è salvato”, raccontò Angela che soltanto quando la storia è diventata pubblica e dopo che suo padre è diventato un “Giusto tra le nazioni” ha raccontato a sua volta questa storia familiare nel suo libro “Il mio lungo viaggio”, che ha scritto per i suoi 90 anni.

La storia di Carlo Angela viene ricordata anche dall’ambasciata di Israele a Roma, che affida a un tweet il cordoglio per la scomparsa di Piero.  “Unendoci al cordoglio per la dipartita di Piero Angela, giornalista e divulgatore scientifico entrato nel cuore degli italiani, teniamo viva la memoria anche di suo padre Carlo, Giusto tra le Nazioni per aver salvato numerosi ebrei dalle persecuzioni razziali”.

Graziana Iurato




LETTERA AL DIRETTORE

Visto che è già iniziata la campagna elettorale, sia per il centro destra, con il trio delle tre Grazie,(Berlusconi, Meloni e Salvini), e il centro sinistra che ancora si trova in  alto mare, in cerca di alleanze e con il PD frantumato in tanti piccoli partiti. Ma, io dico, questi signori vogliono veramente essere sconfitti dalla destra, che  poi noi italiani li dobbiamo sopportare per i prossimi 5 anni?  Visto che non hanno saputo impedire la caduta del governo Draghi  hanno iniziato la campagna elettorale buttando delle frottole al vento e promesse faraoniche pur sapendo che non si possono mai attuare, ma una parte di cittadini ingenuamente abbocca dandogli il consenso con il voto.

Ridicolo quello che sta succedendo in casa PD con le alleanze: iniziando con il grosso errore di escludere i pentastellati che potevano portagli circa il 10 % di consensi, e con il gioco che hanno fatto con Calenda, prima uniti facendosi vedere in TV con abbracci e baci, dopo pochi giorni divisi. Ma in questo modo vogliono far ridere, per non dire piangere, gli elettori che erano intenzionati di dargli il voto? E lo stesso farsi criticare dal trio avversario, e degli altri partiti di destra? Se fosse ancora vivo il principe De Curtis (Totò) direbbe la classica frase: “siamo uomini o caporali?”, come i siciliani direbbero:  “Siamo uominicieddi o quaquaraquà?”, visto che molti politici on si comportano come uomini di parola e non mantengono le promesse fatte.

Hanno formato il governo di unità nazionale non per l’Italia e per il bene degli italiani, non per rappresentarci e far valere i nostri diritti, ma solo per ingrossare e difendere i propri interessi.

Ora siamo costretti a subire fino il 25 settembre l’ascolto di tutte le fandonie che ci raccontano i nostri politici, vecchi e nuovi, che continuano a prenderci in giro come sempre hanno fatto.

Distinti saluti

Giovanni Amore




DI MITI E DI VIAGGI

Onde di una risacca millenaria… Onda su onda, la sera del 30 luglio, l’ultima di “Scenari” Mondadori di Piera Ficili, abbiamo navigato con gli Dei intorno alla Sicilia, ultimo di una fortunata serie di libri scritti da Giulio Guidorizzi e Silvia Romani che ha come perno l’isola al centro del Mediterraneo, osservata e descritta nel suo essere stata scelta da popoli ed eroi mitici. Proprio come in una Guida del Touring Club, gli autori si sono mossi da un luogo all’altro, tra monumenti e musei, sculture e templi, testimonianze incise nelle pietre, ma con lo spirito creativo e scientifico dell’archeologo innamorato della luce corrusca del mito degli antichi ulissidi nocchieri che, lungo le coste dell’isola, hanno parlato con le ninfe, nelle fonti celate tra papiri e Ciclopi e tiranni sanguinari.
“L’isola chiama a raggiungerla, come una sirena plasmata nella terra, nella pietra, nel mare… e una volta lì giunti, in molti hanno deciso di restare”, sono le parole di Guidorizzi, grande grecista milanese che ha incantato gli spettatori leggendo i musicali esametri dell’Odissea come un antico aedo venuto a concederci la voce degli Dei.
Tra la Grande Madre, la Venere erycina, l’Anadiomene siracusana, gli Efebi, tutti i tesori rubati da Verre e quelli ancora da scoprire, i pieni e i vuoti di una grande cultura in bilico fra passato remoto e tempi recenti, fra “l’immobilità e il viaggio” (Anna Maria Ortese), senza soluzione di continuità.
Quella sera l’ incanto evocativo della narrazione ha fatto brillare gli occhi dei siciliani presenti che non si arrendono a vedere la Trinacria deturpata dall’accumularsi di brutture mafiose e voti di scambio di politici altrettanto turpi e rancidi.
Anche il tempo non è scorso via al pari della sabbia nella clessidra, inesorabile gocciolare di minuti tirannici assumendo invece la cadenza lenta e circolare che solo agli Dei era concesso sperimentare.
Così si è concluso l’entusiasmante mese di “Scenari”, tra pagine fruscianti di varia umanità, umori e narrazioni dedaliche come un labirinto dal quale scegliere di non voler uscire per naufragare dolcemente in questo nostos dell’anima.

Marisa Scopello




L’ERA DEGLI ALLUCINATI

I ladri, gli assassini, i violenti, i mafiosi, gli imbroglioni, i truffatori ci sono sempre stati, adesso però a questi si è aggiunta una nuova categoria: gli allucinati.

Sono quelli che decidono di superare la macchina che li precede senza se e senza ma andando regolarmente a sbattere contro un’auto che procede in senso contrario. Sono quelli che corrono all’impazzata per vecchie strade che di correre proprio non lo permettono e regolarmente si vanno a schiantare contro un muro o un albero o il cancello di una casa. Sono quelli che, mentre guidano (o credono di guidare…) scrivono messaggi sul cellulare. Sono quelli che parcheggiano a casaccio, persino davanti a un cancello, così addossati che nemmeno una persona anoressica riuscirebbe a passare, e quando vengono rintracciati dalla polizia chiamata dai proprietari della casa che loro hanno bloccato, anziché affrettarsi a spostare la macchina, dicono: “Mi scusi” e restano lì con aria beota senza rendersi conto del disturbo procurato. E non hanno assunto alcool o droghe! E sono quelli, troppi, persino bambini, che hanno bisogno dello psicanalista al punto che è stato disposto dall’INPS un bonus psicologo, riconoscendo la necessità di un sostegno psicologico così come a seguito di un incidente d’auto può essere necessario un sostegno fisioterapico.

Tutto questo prima del Covid non succedeva. Minori che avevano bisogno dello psicanalista? Di qualche ripetizione di latino o matematica, se mai! Davvero, sentir parlare di bonus psicologo sconcerta, ci porta a riflettere su noi stessi e soprattutto sulle persone che incontriamo lungo la nostra strada, persone che soffrono, evidentemente, persone che hanno perso il senso della vita. Ma perché? E’ stata dunque la malattia a causare scompensi nella personalità della gente? E’ stato il vaccino? Eppure questi comportamenti allucinati non sempre si manifestano in persone che hanno avuto il Covid e nemmeno sempre in chi si è vaccinato, quindi, evidentemente, la causa va cercata altrove.

Che sia stato l’isolamento? Quel lockdown che costringeva e costringe ancora le persone a chiudersi in casa fino al punto da sentirsi isolate anche da se stesse?

E’ come vivere in una bolla, in un mondo che non esiste, un po’ Alice dietro lo specchio, un mondo che Alice dovrà salvare, ma Alice non sei tu.

E si aspetta. Sprofondando in un mare di apatica tristezza che porta a una trasgressione inconsapevole… perché forse ormai della vita non importa più niente. E allora si corre per una strada sconnessa fino a sbandare, a ribaltarsi, ad abbattere un muretto, perché là in fondo c’è la morte, ma, alla resa dei conti, cos’è la morte se non un altro lockdown?

E’ urgente porre termine a tutto questo, restituire alla gente la consapevolezza di far parte di una comunità, una consapevolezza che probabilmente il lungo isolamento ha cancellato. E non saranno certo i concerti o le feste in piazza che ci riusciranno. Bisognerà ricostruire un mondo, il nostro mondo, che non siamo riusciti a far sopravvivere dentro di noi.

Non crediamo che possa essere lo psicologo a ricrearlo. Servirà una normalità della vita tale da cancellare le paure, tale da restituire alla società il suo significato, quel significato perso nel buio del lockdown. O è troppo tardi ormai?

 

 




PIANETA  SICILIA. LA FORTEZZA DI PANTALICA

Un immenso alveare, più di cinquemila cavità buie incastonate in un paesaggio selvatico e primordiale. Ho l’inquietante  sensazione di essere osservata, come se volessero dirmi qualcosa. Le pietre parlano una lingua muta, cariche della storia degli uomini che le abitarono fin dall’antichità. Ho percorso un  sentiero accidentato, attraversato da balze rocciose, cespugli spontanei e laghetti, avvolta dal profumo della macchia e dal grido delle cicale, ho risalito il crinale di un altopiano a strapiombo su due stretti canyons percorsi  dai fiumi Anapo e Calcinara, che abbracciano l’altura rendendola un’inespugnabile fortezza naturale. Mi trovo di fronte alla testimonianza  più scenografica giunta fino a noi dalla civiltà di Pantalica (dall’arabo Buntarigah o dal greco Pantalithon?), fiorita secondo gli storici  dal XIII all’VIII secolo a. c. dall’età media del bronzo alla prima età del ferro. Osservo stupita le tombe, situate per lo più lungo pareti scoscese ad un’altezza vertiginosa. E’ difficilmente comprensibile ai miei occhi la fatica immane a cui questi uomini si sottoponevano per scavare le sepolture e deporvi i loro defunti, preservandole dai saccheggi e dalle profanazioni. Ma che cosa – o chi – temevano questi nostri progenitori?

In quell’epoca, secondo Tucidide, la Sicilia orientale subisce una violenta invasione da parte di popolazioni  venute dal nord, gli Ausoni, i Morgeti e soprattutto i Siculi, presumibilmente in cerca di territori più sicuri. Che ne è stato dei piccoli insediamenti costieri di Castelluccio e Thapsos, probabilmente di indole pacifica e privi di adeguati strumenti di difesa? Nella storia vige sempre la legge del più forte. Queste popolazioni, incalzate da un nemico inaspettato e feroce, furono costrette ad abbandonare le zone costiere e ad approntare le prime strategie difensive: l’aggregazione – insieme si è più forti -, la ricerca di una posizione inaccessibile, l’organizzazione della comunità secondo una rigida impostazione gerarchica. Pantalica era il luogo ideale, protetto a trecentosessanta gradi se si esclude l’unico accesso alla sella di Eliporto. E’ opinione comune che nel corso di cinque secoli, fino alla colonizzazione greca,  gli insediamenti dell’isola si siano stabilizzati con i principali gruppi etnici degli Elimi e dei Sicani ad ovest, dei Siculi ad est. Opinione però troppo schematica, che non tiene conto della complessità dei movimenti migratori e della possibilità che, dopo lo scontro, ci sia stata una mescolanza tra Siculi e Sicani.                                                                              A giudicare dal numero di scheletri ritrovati nelle tombe, alcune a forno sulla falsariga di quelle castellucciane, molte a pianta quadrata e multiple, la popolazione di Pantalica doveva essere numerosa. Questo dato è interessante perché  ci testimonia la nascita di uno dei più antichi fenomeni proto urbani, una sorta di metropoli multietnica dell’antichità.

L’assetto sociale prevede una gerarchia che culmina con la figura del re (anax). Oltre che attraverso le fonti storiche, è possibile confermarlo dall’unica testimonianza  non destinata ai defunti giunta fino a noi, il palazzo del re (anactoron), che costituisce il primo esempio di architettura organizzata e funzionale in Sicilia.                                                   Lo raggiungo. Sono visibili le fondamenta di otto stanze di cui un disimpegno e un megaron, realizzato in un secondo tempo con enormi massi megalitici riconducibili alle coeve fortificazioni micenee. Immagino la fortezza come doveva apparire tremila anni fa, imponente e superba con la sua mole affacciata sullo strapiombo, simbolo di potenza militare ma anche cuore pulsante di una grossa comunità dotata di diversificazioni sociali e di un’organizzazione complessa.                                                 Nell’interno del megaron sono stati trovati frammenti di bronzo e forme di arenaria idonee alla sua fusione. In un’epoca in cui il bronzo era merce rara, la presenza di questi reperti ci conferma il particolare privilegio di cui godeva il re, che riservava a sé e a pochi artigiani i segreti della fusione. Oltre a ciò, cogliamo il senso estetico di questo popolo osservando il lascito di raffinatissime ceramiche  a ”translucido rosso“, lavorate al tornio, già influenzate dalla produzione greca ma singolari sia per forma che per dimensioni (Museo P. Orsi).

Tirando le somme, sembra ormai appurato che i Siculi, al loro arrivo in Sicilia, non avessero ancora un’identità culturale, spirituale e linguistica. Forse questa identità nacque lentamente, in parte in seguito alla fusione tra l’elemento italico  e la componente indigena, in parte in seguito all’incontro/scontro con i Greci, la cui civiltà fu destinata a predominare. Non dobbiamo immaginare uno scontro titanico e risolutivo. L’atteggiamento degli indigeni verso i Greci sarà duplice: da un lato essi avvertiranno la suggestione dei nuovi venuti e ne apprezzeranno la cultura, dall’altro cercheranno di resistervi. Il più significativo tentativo di opposizione sarà quello di Ducezio, forse consapevole di combattere una guerra senza speranza, che fonderà una confederazione di Siculi e affronterà, con qualche successo, i Greci. La sua morte segna la fine dello sforzo di creare uno “Stato” siculo. I Siculi  in seguito si alleeranno prima in un processo di fusione che porterà le città sicule a dotarsi di strutture edilizie greche e che farà dire a Diodoro  Siculo: “Le popolazioni si mescolarono a causa del gran numero di Greci sbarcati in Sicilia, gli indigeni ne impararono la lingua. Educati secondo i costumi greci, essi alla fine rinunciarono alla lingua barbarica e al nome originario e furono chiamati Sicelioti “ .

Claudia Sudano

 

 

                                                                




TEMPI BALORDI

L’estate sta finendo e chissà come ne uscirà fuori il popolo italiano e cosa ha imparato dal caldo torrido che come il Covid pare abbia inquinato ancora di più le menti.

Apparentemente tutti padroni della propria vita ma effettivamente più servi che padroni per la vita altrui.

Un popolo che si illude di comandare, di decidere con la propria mente ogni passo, ogni attimo, ogni singolo gesto o parola che fa e dice.

Un popolo illuso che si nasconde all’ombra se c’è il sole o sotto l’ombrello se piove.

Un popolo che non sa bruciare le sue energie per vivere meglio, un popolo che non sa ballare sotto la tempesta.

Un popolo che a testa bassa subisce e per questo diventa prepotente e cattivo nei riguardi di tutti.

Un popolo che vuole andare in ferie ma pretende che tutti gli altri lavorino per lui.

Già, un popolo che va in ferie anche solo per pochi giorni, fra questi la domenica e il ferragosto e pretende che tutti lavorino per lui. Fra quei tutti, negozi e supermercati, perché il popolo vacanziero deve acquistare e mangiare, a qualsiasi ora del giorno, in qualsiasi momento che lui decide ma, e qui il MA deve essere scritto grande, nei negozi, supermercati, in ogni struttura pubblica e sociale, ci lavora l’altra metà del popolo, quella che per vivere non può rinunciare al lavoro ma, scontenta, deve rinunciare alla famiglia che se ne sta o vuole andare in vacanza.

Un popolo scontento e in avaria insomma, sia che esso lavori, sia che stia in vacanza, e qui subentra l’intolleranza.

L’intolleranza che è entrata in ogni testa, tutti vogliono tutto e in fretta, corrono senza prevedere una caduta, un incidente, anzi, accelerano con incoscienza, urlano a chi è lento, si prendono diritti che non spettano, rinunciano al dovere e al rispetto.

Un popolo maleducato che nasce dalla perdita dell’educazione, dalla fine dei valori più importanti, fra questi la famiglia, anche quella di tutti i generi umani.

Così nascono le incomprensioni, così si perdono gli amici, i parenti, le mogli, i mariti, i figli. Diventando padroni e servi l’uno dell’altro.

Arriverà l’autunno e non sarà migliore e questo popolo si sta scavando la fossa con le sue stesse mani. Se non ne uscirà fuori, la colpa sarà solo sua, perché, dal caldo torrido dell’estate  e dal freddo  Covid dell’inverno, non ha imparato ad essere gentile e a stimare neppure se stesso.

Sofia Ruta




c’era una volta modica…