mercoledì, 6 Dicembre 2023

PIANETA  SICILIA. SUGGESTIONI D’ORIENTE

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Mi trovo davanti alla  chiesa di S. Maria del Gesù, nella parte alta di Modica. Sono convinta che questo complesso architettonico sia il più affascinante di Modica, anche se forse il meno conosciuto e visitato .                                                                          Ricordo ancora quando, tanti anni fa, ero autorizzata ad entrare nel chiostro per motivi di studio. Allora era ancora un carcere, e i detenuti  vi gironzolavano per la loro ora d’aria, circondati da colonne sfarinate e sporche, da contrafforti umidi e scrostati. Poi, negli anni ’90, un restauro sapiente  ha restituito ai modicani questo scrigno di storia e di arte.

Mi pare di vederli i due sposi all’origine di questa vicenda artistica:  Federico Enriquez, cugino di Ferdinando il Cattolico, e Anna Cabrera, figlia di Giovanna Ximenes. Siamo nel 1481. Dopo  questo matrimonio diventeranno i Conti di Modica, e la dinastia si assicurerà il governo della Contea per circa tre secoli. Sfilano vestiti con abiti preziosi davanti a questa chiesa, acclamati dal popolo esultante. Hanno elargito ai loro vassalli grandi benefici e hanno fatto consistenti donazioni a monasteri, ospedali, opere pie. Anna, per esprimere al meglio il suo potere e il suo prestigio, ha finanziato, nell’imminenza delle nozze, la ristrutturazione di questa chiesa, nel sito attiguo al convento dei Frati Minori. Non può sapere che il  sisma del 1693 segnerà un doloroso spartiacque tra due epoche, inghiottendo quasi tutte le architetture medievali  e lasciando intatti solo pochissimi resti.

Maria del Gesù è uno di questi. Per l’occasione giungono maestranze colte intrise di influenze catalane. Attraverso il tramite spagnolo la Sicilia si riconcilia con il gotico, verso il quale aveva dimostrato delle resistenze ancora maggiori del continente. Erede della tradizione classica, l’Italia non si era mai arresa del tutto al nuovo stile d’Oltralpe, dove lo slancio delle linee verticali – pensiamo alle guglie, ai pinnacoli, agli archi ogivali – ben poco si conciliava con la concezione razionale e misurata dell’architettura romanica. Quello  proveniente dalla Spagna è ormai un gotico fiorito, il cosiddetto stile plateresco, da cui, più che la sintassi costruttiva, si ereditano ornati pittorici e vibranti, inghirlandando le ogive e le finestre di autentici ricami di pietra  derivati dalla presenza etnica e culturale  degli arabi nel levante spagnolo.  Il  portale riprende le cifre stilistiche catalane non soltanto per la strombatura dell’ogiva, ma anche per il cordone intarsiato che lo inquadra, per il rombo con lo scudo comitale, gli arabeschi e i trafori delle due monofore, diverse tra loro, di gusto moresco.  L’impaginazione e le decorazioni sono molto simili a quelle del portale di S. Giorgio vecchio a Ragusa. Non si può fare a meno di immaginare la fisionomia di Modica – e di tutto il territorio ibleo – prima del sisma, e  a  quante splendide architetture sono andate irrimediabilmente perdute. Opere  paradossalmente uniche e originali  proprio  per la presenza di molteplici  contaminazioni culturali e stilistiche .

E’ noto che già secoli prima della costruzione di questa chiesa gli Arabi avevano influenzato fortemente lo sviluppo della civiltà siciliana, frazionando le terre, promuovendo  colture razionali, favorendo le scienze e la matematica e influendo sul linguaggio in modo ancor oggi visibile. Anche il patrimonio artistico arabo dovette essere enorme. Esso purtroppo  fu quasi del tutto distrutto nella sistematica opera di ricristianizzazione condotta dai Normanni. D’altra parte essi, consapevoli che le il loro estro artistico non era certo pari alle capacità strategiche e militari, si appoggiarono tanto  nelle architetture civili che in quelle religiose alle cifre stilistiche preesistenti, quella latina,  quella bizantina e quella araba. Chi non ha ammirato a Palermo i preziosi rivestimenti musivi e i “ muqarnas” che rivestono il soffitto della Cappella Palatina, le vivaci cupole emisferiche di S. Giovanni degli Eremiti,  le tarsie marmoree  gremite di motivi geometrici, epigrafici e vegetali  stilizzati?  Persino i nordici  archi a sesto acuto, necessità strutturale prima che estetica e simbolo dell’architettura gotica, qui svelano la loro origine araba confermandone la funzione puramente decorativa. Nonostante la cacciata degli arabi da parte di Federico II, le cifre inconfondibili del loro stile continueranno ad affiorare ancora in Sicilia fino al XVI secolo. Il linguaggio islamico sarà leggibile, ad esempio, nel ‘300 in quello “stile chiaramontano“  che, prendendo l’avvio dallo Steri, residenza dei Chiaramonte, si esprimerà con infiorescenze, tralci, palmette, e con quel motivo “a denti di sega” che si diffonderà rapidamente a ragione della sua immediata leggibilità e capacità di animare pittoricamente le superfici.  Ne sono solo alcuni esempi il portale del Duomo di Erice, di S. Agostino ad Agrigento e anche a Modica, capitale della Contea, appaiono  nella ghiera centrale del Portale De leva. Col tempo questo motivo di base diventerà più vistoso e complesso, esaltando i valori plastici e chiaroscurali e moltiplicando le ghiere dentate con tecniche sempre più raffinate. Ritroviamo i motivi a zig zag  proprio qui, nelle  colonnine del chiostro di S. Maria del Gesù e nella Cappella Cabrera a S. Maria di Betlem, dove l’alternarsi di frastagli vegetali ribadisce la predilezione per le orientaleggianti superfici arabescate.                                                                                                                  E’ difficile  stabilire  in che misura l’apporto nordico si sia sovrapposto ad una cultura indigena già di per sé stratificata. Giungere a conclusioni categoriche significherebbe negare che fu proprio l’eclettismo la nota dominante della vicenda artistica siciliana. E’ innegabile comunque che  quella saracena  fu qualcosa di più di una semplice presenza fisica, e che lasciò nella compagine etnica siciliana dei segni indelebili. E comprendiamo perché, tra gli arabi che preferirono l’esilio alla soggezione agli infedeli, un mercante-poeta come Ibn Amdis, conservò una struggente nostalgia per quest’isola felice alla quale, forse per il clima, forse per gli umori della gente, egli si sentiva affine: “Ricordo la Sicilia, e il dolore che ne suscita“.

Claudia  Sudano

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