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La Modica di Enzo Belluardo




Le ricette della Strega (a cura di Adele Susino)

Fusilli peperoni e prosciutto

Ingredienti:

500 gr di fusilli, 500 gr di peperoni rossi, 250 gr di prosciutto di Praga tagliato a fette spesse, 1 cipolla di Tropea, q. b. di  olio evo, sale e pepe, 1/2 bicchiere di vino bianco, un ciuffo di basilico, 50 gr di parmigiano grattugiato (facoltativo)

Preparazione:

Fare appassire, in un largo tegame, la cipolla affettata con olio e sale, aggiungere il prosciutto tagliato a cubetti e i peperoni a pezzetti, far insaporire, sfumare con il vino, coprire e fare completare la cottura. Nel frattempo cuocere la pasta, scolarla e mantecarla nel tegame con il sugo di peperoni aggiungendo, se necessario, acqua di cottura, completare con un filo d’olio a crudo e con il basilico spezzettato. Se piace, unire il parmigiano. Mescolare bene e servire.




APPROVATE LE “SOFT SKILLS”. MAH!

La Camera dei deputati l’11 gennaio 2022 ha approvato con 340 voti a favore, 5 astenuti e nessun contrario, il Disegno di legge di iniziativa parlamentare “Introduzione dello sviluppo di competenze non cognitive nei percorsi delle istituzioni scolastiche”. Il testo adesso è al Senato, assegnato ad una Commissione permanente sull’Istruzione pubblica, in attesa del voto dell’Assemblea. Se sarà approvato dal Senato, il disegno di legge darà inizio alla sperimentazione nelle scuole per introdurre queste famose “non cognitive skills” o meglio conosciute come “soft skills”; in ogni istituto scolastico si potranno attivare dei progetti che degli studenti valorizzano l’efficienza fattuale, le capacità pratiche, l’empatia verso il prossimo: competenze che non richiedono conoscenza dei contenuti disciplinari, né dei saperi che ne conseguono. Le “Soft skill” sono nate da uno studio statunitense sul rapporto tra l’istruzione e le dinamiche di mercato, un aspetto che ha catturato l’interesse anche di enti italiani per lo sviluppo come OCSE e INVALSI. L’idea di fondo che viene avallata è che l’educazione è una sfida centrale anche per il mondo produttivo, concetto che viene rafforzato anche da questi anni di crisi che stiamo attraversando. Si pensa alla ripresa che parte dalle fondamenta educative ma si punta a sollevare il sistema economico senza valorizzare assolutamente l’originario scopo civile della scuola, cioè quello di formare onesti e liberi cittadini che pensano con la propria testa, da soggetti attivi della propria esistenza. Se questo disegno di legge andrà in porto, così come si pensa, si andrà incontro all’impoverimento generale di una nazione, poiché la conoscenza, il sapere, i contenuti disciplinari saranno sempre di più meno favoriti alle capacità fattive, l’empatia verso il prossimo e la propensione al fare pratico; la scuola formerà solo forza lavoro docile e inerte ad ogni cambiamento, ma d’altronde si è sempre saputo che è più semplice domare chi non sa, infatti vivendo nell’ignoranza più facilmente ci si può illudere che la libertà ci appartiene, ma in verità non comprendiamo che in quello stesso momento in cui pensiamo al nostro futuro, il sistema ha già deciso per noi.

Graziana Iurato




UNA REGINA SIMPATICA. L’ULTIMA REGINA

In Europa esistono sette paesi guidati da un re o una regina. Lo stesso tipo di governo hanno anche i principati (tre) e un granducato, sempre in Europa. Ma chi si è mai interessato dei loro sovrani? Solo al tempo del matrimonio con la deliziosa attrice Grace Kelly, e poi a quello della sua tragica morte, il mondo si accorse dell’esistenza del Principato di Monaco.

Certo, il Regno d’Inghilterra ha avuto un peso nel mondo moderno che nessun altro regno ha avuto: il suo lungo dominio sulle colonie, che ha oppresso, non lo fa amare particolarmente, tutt’altro. Elisabetta di questo regno aveva vissuto una parte lunga e difficile e, per ammissione comune, aveva saputo affrontare le situazioni difficili e complesse, spesso tragiche, che avevano martoriato il mondo nell’ultimo secolo. Le aveva affrontate con coraggio e persino, a volte, col sorriso. Forse era per questo che piaceva alla gente e in tal senso questa aveva ragione, perché significava apprezzarne le capacità politiche e l’intelligenza. Ma c’era anche il sorriso da “ragazza della porta accanto” e i cappellini e i completi dai colori vivaci, che facevano tenerezza. Tutto questo però non basta,

Proprio su Elisabetta era caduto persino il sospetto di una sua partecipazione come mandante (addirittura!) della morte della principessa Diana, eppure questo sospetto orribile non era riuscito a scalfire l’amore per lei degli inglesi e anche della gente di altri paesi. E ciò nonostante l’affetto per Diana sia stato grande e la gente abbia pianto davvero per la sua morte.

Cosa aveva dunque Elisabetta per essere riuscita a conquistare il cuore della gente e averlo trattenuto a sé attraverso vicende anche sgradevoli, a dir poco, al punto che, se alla sua morte la stampa ha ampiamente parlato dell’avvenimento e delle cerimonie ad esso collegate, ma anche di Elisabetta con la sua storia, se la notizia con i relativi commenti è andata in onda su tutti i canali, a tutte le ore, con tanti spettatori che seguivano, e con partecipazione, questo si è verificato perché si trattava di lei, la Regina, la Regina non solo per gli inglesi, ma per tutta la gente d’Europa.

Anche noi, da repubblicani convinti per nascita e per formazione, dobbiamo confessare di aver sempre avuto un certo trasporto per questa donna e ci chiediamo perché, ci chiediamo che cos’era che la rendeva tanto diversa dagli altri capi di stato, re o presidenti che fossero. Il fatto è che Elisabetta era simpatica, simpatica e familiare, nello sguardo nel sorriso, persino nei gesti. Le tante barzellette su di lei, barzellette argute e veramente spassose, senza volgarità e ricche di humour, si spiegano proprio col fatto che era simpatica, per questo ispirava il sorriso, la battuta, di conseguenza l’affetto. Sì, perché è proprio il sorriso che attira l’affetto.

Siamo pronti a scommettere che suo figlio, ora Re Carlo III, col suo aspetto cavallino e l’espressione scostante, barzellette non ne ispirerà, probabilmente nemmeno affetto persino nei sudditi più rigidamente monarchici.

No. Elisabetta è stata l’ultima Regina, un vera Regina. Una Regina simpatica.

 

 

 

 

 

 

 

 




IMMONDIZIA E TERMOVALORIZZATORE

Ogni cittadino italiano produce 488 chilogrammi di rifiuti all’anno. La produzione pro capite più elevata è quella dell’Emilia Romagna, con 640 chilogrammi per abitante per anno, pur se in calo del 3,5% rispetto al 2019.

Dai dati dell’ISPRA (istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), Modica, con 54000 abitanti, ha una media di 360 Kg all’anno di rifiuti per abitante, “produce” circa 20000 mila tonnellate di rifiuti in totale. Nel 2020, con una percentuale di differenziata che a Modica sfiorava il 60% (59,76) ha prodotto un totale di 360,46 Kg per abitante, di cui 215,42 di rifiuti differenziati. Queste percentuali sono passate dal 10% tra il 2010 al 2017, per poi passare al 25% nel 2018, raddoppiare nel 2019 (56,3%). Modica si piazza nella media nazionale (62%), considerando il Nord Italia intorno al 70%, 58% il centro Italia, 51% il sud. I rifiuti differenziati vengono separati per frazione merceologica, imballati ed avviati al recupero attraverso i vari Consorzi nazionali che si occupano di trasformare questi rifiuti in nuova materia, da cui nasceranno nuovi oggetti

Ma bisogna dare attenzione ai costi per abitanti del rifiuto non differenziato, ossia il secco che dovrebbe essere quello NON riciclabile. Costa al Comune, e quindi al modicano che paga la TARI (non tutti), circa 30 centesimi per Kg, per una media nazionale di 34, 70 centesimi di Euro, con la differenza che al Nord, con i termovalorizzatori ne pagano 30 e il sud, con pochi termovalorizzatori ne pagano il 30% in più, 41. Sul costo dello smaltimento pesa parecchio quello del trasporto per portare i rifiuti nelle discariche autorizzate.

Nell’ultimo periodo, con la chiusura delle discariche autorizzate, oramai strapiene, è scoppiato il pandemonio. Nel giro di pochi giorni si sono accumulate montagne di rifiuti, facendo venir fuori il peggio dei modicani. Una vergogna a cielo aperto, nessun rispetto per la città, nessun rispetto verso quei cittadini che hanno il solo difetto di abitare nei pressi dei cassonetti diventanti montagne di rifiuti maleodoranti. Peccato, la città ha perso tanto in dignità e civiltà. Di chi la colpa? Un po’ di tutti, cittadini, in gran parte, ma anche dell’amministrazione comunale, completamente assente, e dalla stessa ditta che si occupa della raccolta, l’IGM.

Colpa dei cittadini, differenziare è importante, è un dovere civico, ma costa fatica e impegno, non tutti hanno la voglia di differenziare e perdere tempo. Una buona differenziata produce il cosiddetto secco al massimo il 5% del totale circa 20 kg l’anno ad abitante. La città tutta ha perso l’appuntamento con la civiltà, ne usciamo tutti perdenti, i buoni e i pessimi cittadini. L’IGM ha predisposto il ritiro dei rifiuti ingombranti, potature e altro, a domicilio, previo accordo telefonico, gratuitamente, vero è che passano tre settimane dal ritiro, ma sono precisi e puntuali, e l’informazione è stata passata a tutti i cittadini, e non si dica “non lo sapevo”!

Colpa del Comune. Il Comune non ha utilizzato i sistemi di video-sorveglianza dislocandoli nei punti più “sensibili” e, dove esistenti, li ha lasciati spenti, per multare i tanti cittadini che hanno, colpevolmente, trasformato le strade in una porcilaia. Nelle strade c’è di tutto, mobili, sfalciature, copertoni, parti di carrozzeria di auto e batterie esauste di chiara origine da officine meccaniche, cassette di frutta marcia, vestiti, tappeti, oltre al puzzolentissimo organico. Bastavano poche multe per educare tanti cittadini al rispetto dell’ambiente. Colpire le tasche degli italiani è ottimo veicolo educativo. Come mai non vengono utilizzate quelle esistenti? E se si fa il porta a porta totale? Si farebbe pagare solo il secco dietro pesatura, come si fa nei centri di raccolta, facendo passare il messaggio con la raccolta gratis, ma fatta bene, di plastica, carta, vetro, eccetera, e facendo pagare solo il NON riciclabile. Idea strana?

Anche la IGM ha le sue colpe, una su tutte è che dove esistevano bidoni pieni non sono stati svuotati, su tutti quello della plastica. Quando sono pieni, al cittadino, che non ama la montagnola casalinga, non resta che lasciarla per terra accanto al bidone, aumentando di fatto la montagna di rifiuti tra le strade. Una raccolta più frequente dove era necessaria avrebbe diminuito questo macello. Invece in questi giorni, la ditta ha scelto di eliminare totalmente i cassonetti nelle zone rurali, quelle maggiormente interessate al caos dell’immondizia, in modo, inspiegabile, di far aumentare le montagnole.

TERMOVALORIZZATORE (la soluzione)

Un termovalorizzatore è un impianto che brucia i rifiuti per generare energia, producendo elettricità tramite apposite turbine a vapore e in alcuni casi anche acqua calda sanitaria. All’interno degli impianti vengono bruciate alcune tipologie di rifiuti, come gli imballaggi di piccole dimensioni, la plastica monouso e la carta sporca.

L’incenerimento avviene ad altissime temperature superiori a 850°C, per evitare la formazione di diossina che si sprigiona a temperature più basse. Se ciò succede i termovalorizzatori attivano degli appositi bruciatori a gas metano, i quali assicurano il mantenimento della temperatura ottimale per tenere sotto controllo i livelli di diossina.

Un impianto di incenerimento ben progettato e correttamente gestito di recente concezione, emette quantità relativamente modeste di inquinanti e contribuisce poco alle concentrazioni ambientali. Pertanto, non si ha evidenza che comporti un rischio reale e sostanziale per la salute. È scientificamente riconosciuto che le preoccupazioni sui potenziali effetti sulla salute degli inceneritori riconducibili a inquinanti potenzialmente presenti nelle emissioni, quali metalli pesanti, diossine e furani, sono da ricondurre a impianti di vecchia generazione e a tecniche di gestione utilizzate prima della seconda metà degli anni Novanta.

Studi recenti, pubblicati su interviste internazionali, nel 2019 e nel 2020, hanno riportato ricerche scientifiche che hanno analizzato la letteratura scientifica per indagare, appunto, cosa sappiamo finora sull’impatto dell’incenerimento dei rifiuti. Anche in questo caso, la conclusione è stata che inceneritori e termovalorizzatori non hanno un “impatto zero”, ma questi impatti sono rilevanti e dannosi soprattutto per quanto riguarda gli impianti più datati o dove non sono state rispettate le regole per limitare le emissioni, non tutti i materiali si possono riciclare, circa il 20% del materiale riciclato e, comunque, il riciclo produce sempre scarti.

In attesa di un moderno termovalorizzatore, la politica regionale ne aveva indicati tre, nel periodo pre elettorale, da costruire chissà quando in Sicilia, che abbatterebbe i costi, migliorerebbe l’ambiente e produrrebbe energia elettrica che di questi tempi ha costi elevatissimi, e, perché no?, darebbe anche posti di lavoro. Intanto, continuiamo, noi cittadini modello, ad ammorbare la città.

Giovanni Oddo




A tavola con gli Dei (a cura di Marisa Scopello)

“Stanotte ho fatto un sogno strano. – mi dice Cicerone cavalcando al mio fianco – Sentivo la voce di un uomo avvolto nella nebbia; distinguevo a stento il vestito di foggia etrusca, la testa allungata, gli occhi fiammeggianti…”
“Un tuo antenato?”

“Possibile. Ci sono stati anche etruschi ad Arpino. Mi parlava con tono famigliare e mi chiamava Marco. Diceva che la mia vita sarebbe stata ricca di successi e di sconfitte cocenti. Tu che conosci la mia storia, potresti anticiparmi qualcosa?”
Lo guardo con condiscendenza sapendo di non potergli rivelare niente se non piccoli particolari innocui.
“Sai che non posso… tuttavia ti dirò che avrai una figlia, Tulliola, che amerai molto; avrai anche a che fare con un certo Catilina… Se il tuo antenato etrusco ti ha parlato in sogno, un motivo ci sarà. Pare che essi fossero di origini aliene, cioè di altri mondi. Quindi sei alieno anche tu!”
“Non saprei… Però, se avrò una figlia, ne sarò felice. Già mi sono affezionato a Makaria e mi piace il modo riverente con cui mi guarda.”
Gheorgos e Victor si avvicinano per dirci che stiamo per arrivare nelle proprietà di Silviano, da lontano si vede il fumo che si alza dai bracieri e dal forno acceso. Si sentono i campanacci delle mucche al pascolo e immagino già che ci sarà la ricotta calda ad accoglierci.
Scendiamo da cavallo per andare incontro al padrone di casa sorridente, accompagnato da altri due decumani che abitano qui vicino, credo.
“Benvenuti nella mia umile dimora. Ho fatto preparare il calidarium per ristorarvi della cavalcata. Dopo pranzeremo e parleremo dei nostri affari.”
Makaria, ligia al suo incarico, chiede il permesso di andare in cucina a parlare con le donne di casa. Subito dopo, anche noi ci trasferiamo nel triclinio. Nelle due nicchie delle pareti, imbiancate a calce, ci sono statuine di bronzo di squisita fattura: un Eracle con la leontè e un gruppo che raffigura Artemide seguita da un bellissimo cane cirneco, tipico del culto autoctono del dio Adrano.
Intanto Cicerone studia dei rotoli di pergamena che Victor e Gheorgos illustrano sotto lo sguardo compiaciuto di Silviano. I vicini presenti, Crispo e Fanzio, si lamentano delle vessazioni di Verre che li hanno costretti a frodare Roma per poter sopravvivere.
“Abbiamo dovuto nascondere parte dei raccolti, altrimenti saremmo stati ridotti alla fame e la cosa ci dispiace, – dice Crispo.
Gaio e Sothirios, prendendo appunti sulla quantità di grano prodotto e consegnato, scuotono la testa costernati.
“Quali tipi di frumento coltivate? – chiede Gaio, il più aperto e loquace.
“Russellum e Saccumperforans”.
Li conosco e nel mio tempo si chiamano Russello e Perciasacchi, due dei grani antichi siciliani che sono coltivati con successo; hanno una resa limitata ma sono più ricchi di nutrienti rispetto alle colture canadesi che hanno causato allergie al glutine.
Delle serve portano i piatti del nostro pranzo, piatti contadini semplici e genuini.
“Ecco la ricotta appena affiorata nel calderone in cui viene scaldato il latte delle nostre mucche per fare il formaggio. La serviamo dentro le cavagne, contenitori di canne legate insieme.”

Silviano è orgoglioso di questa prelibatezza.
Subito dopo, Makaria ci informa sull’altra pietanza in arrivo: “Mi hanno detto in cucina che si chiama Caturrum. Le donne si ingegnano come possono, frantumano con due pietre triangolari il grano e lo fanno cuocere lentamente nel paiolo, poi lo condiscono con semi e steli di finocchio selvatico e olio d’oliva. Valorizzano quello che hanno a disposizione. Secondo me, sono degne di lode, signori miei.”
Assaggiamo questo rustico cibo modicano e osservo Gaio che ne divora con gusto un’altra porzione.
Ora è la volta del macco di fave private della pelle dura e dell’arrosto di agnello.
Sazi infine, iniziamo a parlare di come Cicerone abbia intenzione di usare le testimonianze dei decumani modicani nel processo a Verre.




Modica 120 anni fa




PIANETA  SICILIA. SUGGESTIONI D’ORIENTE

Mi trovo davanti alla  chiesa di S. Maria del Gesù, nella parte alta di Modica. Sono convinta che questo complesso architettonico sia il più affascinante di Modica, anche se forse il meno conosciuto e visitato .                                                                          Ricordo ancora quando, tanti anni fa, ero autorizzata ad entrare nel chiostro per motivi di studio. Allora era ancora un carcere, e i detenuti  vi gironzolavano per la loro ora d’aria, circondati da colonne sfarinate e sporche, da contrafforti umidi e scrostati. Poi, negli anni ’90, un restauro sapiente  ha restituito ai modicani questo scrigno di storia e di arte.

Mi pare di vederli i due sposi all’origine di questa vicenda artistica:  Federico Enriquez, cugino di Ferdinando il Cattolico, e Anna Cabrera, figlia di Giovanna Ximenes. Siamo nel 1481. Dopo  questo matrimonio diventeranno i Conti di Modica, e la dinastia si assicurerà il governo della Contea per circa tre secoli. Sfilano vestiti con abiti preziosi davanti a questa chiesa, acclamati dal popolo esultante. Hanno elargito ai loro vassalli grandi benefici e hanno fatto consistenti donazioni a monasteri, ospedali, opere pie. Anna, per esprimere al meglio il suo potere e il suo prestigio, ha finanziato, nell’imminenza delle nozze, la ristrutturazione di questa chiesa, nel sito attiguo al convento dei Frati Minori. Non può sapere che il  sisma del 1693 segnerà un doloroso spartiacque tra due epoche, inghiottendo quasi tutte le architetture medievali  e lasciando intatti solo pochissimi resti.

Maria del Gesù è uno di questi. Per l’occasione giungono maestranze colte intrise di influenze catalane. Attraverso il tramite spagnolo la Sicilia si riconcilia con il gotico, verso il quale aveva dimostrato delle resistenze ancora maggiori del continente. Erede della tradizione classica, l’Italia non si era mai arresa del tutto al nuovo stile d’Oltralpe, dove lo slancio delle linee verticali – pensiamo alle guglie, ai pinnacoli, agli archi ogivali – ben poco si conciliava con la concezione razionale e misurata dell’architettura romanica. Quello  proveniente dalla Spagna è ormai un gotico fiorito, il cosiddetto stile plateresco, da cui, più che la sintassi costruttiva, si ereditano ornati pittorici e vibranti, inghirlandando le ogive e le finestre di autentici ricami di pietra  derivati dalla presenza etnica e culturale  degli arabi nel levante spagnolo.  Il  portale riprende le cifre stilistiche catalane non soltanto per la strombatura dell’ogiva, ma anche per il cordone intarsiato che lo inquadra, per il rombo con lo scudo comitale, gli arabeschi e i trafori delle due monofore, diverse tra loro, di gusto moresco.  L’impaginazione e le decorazioni sono molto simili a quelle del portale di S. Giorgio vecchio a Ragusa. Non si può fare a meno di immaginare la fisionomia di Modica – e di tutto il territorio ibleo – prima del sisma, e  a  quante splendide architetture sono andate irrimediabilmente perdute. Opere  paradossalmente uniche e originali  proprio  per la presenza di molteplici  contaminazioni culturali e stilistiche .

E’ noto che già secoli prima della costruzione di questa chiesa gli Arabi avevano influenzato fortemente lo sviluppo della civiltà siciliana, frazionando le terre, promuovendo  colture razionali, favorendo le scienze e la matematica e influendo sul linguaggio in modo ancor oggi visibile. Anche il patrimonio artistico arabo dovette essere enorme. Esso purtroppo  fu quasi del tutto distrutto nella sistematica opera di ricristianizzazione condotta dai Normanni. D’altra parte essi, consapevoli che le il loro estro artistico non era certo pari alle capacità strategiche e militari, si appoggiarono tanto  nelle architetture civili che in quelle religiose alle cifre stilistiche preesistenti, quella latina,  quella bizantina e quella araba. Chi non ha ammirato a Palermo i preziosi rivestimenti musivi e i “ muqarnas” che rivestono il soffitto della Cappella Palatina, le vivaci cupole emisferiche di S. Giovanni degli Eremiti,  le tarsie marmoree  gremite di motivi geometrici, epigrafici e vegetali  stilizzati?  Persino i nordici  archi a sesto acuto, necessità strutturale prima che estetica e simbolo dell’architettura gotica, qui svelano la loro origine araba confermandone la funzione puramente decorativa. Nonostante la cacciata degli arabi da parte di Federico II, le cifre inconfondibili del loro stile continueranno ad affiorare ancora in Sicilia fino al XVI secolo. Il linguaggio islamico sarà leggibile, ad esempio, nel ‘300 in quello “stile chiaramontano“  che, prendendo l’avvio dallo Steri, residenza dei Chiaramonte, si esprimerà con infiorescenze, tralci, palmette, e con quel motivo “a denti di sega” che si diffonderà rapidamente a ragione della sua immediata leggibilità e capacità di animare pittoricamente le superfici.  Ne sono solo alcuni esempi il portale del Duomo di Erice, di S. Agostino ad Agrigento e anche a Modica, capitale della Contea, appaiono  nella ghiera centrale del Portale De leva. Col tempo questo motivo di base diventerà più vistoso e complesso, esaltando i valori plastici e chiaroscurali e moltiplicando le ghiere dentate con tecniche sempre più raffinate. Ritroviamo i motivi a zig zag  proprio qui, nelle  colonnine del chiostro di S. Maria del Gesù e nella Cappella Cabrera a S. Maria di Betlem, dove l’alternarsi di frastagli vegetali ribadisce la predilezione per le orientaleggianti superfici arabescate.                                                                                                                  E’ difficile  stabilire  in che misura l’apporto nordico si sia sovrapposto ad una cultura indigena già di per sé stratificata. Giungere a conclusioni categoriche significherebbe negare che fu proprio l’eclettismo la nota dominante della vicenda artistica siciliana. E’ innegabile comunque che  quella saracena  fu qualcosa di più di una semplice presenza fisica, e che lasciò nella compagine etnica siciliana dei segni indelebili. E comprendiamo perché, tra gli arabi che preferirono l’esilio alla soggezione agli infedeli, un mercante-poeta come Ibn Amdis, conservò una struggente nostalgia per quest’isola felice alla quale, forse per il clima, forse per gli umori della gente, egli si sentiva affine: “Ricordo la Sicilia, e il dolore che ne suscita“.

Claudia  Sudano




versi di versi per versi e detti male detti (di Sascia Coron)

Per un lugubre scherzo

Carlo fa il re per terzo.

              *****

La guerra in Ucraina

dalla sera alla mattina

rende noiosa

ogni più orrenda cosa.

              *****

Giro giro tondo

gira tutto il mondo

gira la Terra

e gira anche la guerra.

              *****

Il mondo che brucia e fuma

già di morte profuma.

              *****

Libertà va cercando ch’è sì cara

a chi già sta giacendo nella bara.

              *****

Vedere e non voler vedere

è lo specifico del potere.

              *****

La democrazia festeggia

del politico ogni scoreggia.

              *****

L’Italia s’è desta

stavolta senza testa.

              *****

Da sempre alle elezioni

tornan le stesse opzioni:

frutto di cocaina

è il ponte di Messina.

              *****

Dalle stelle alle stalle

girano le palle.

              *****

Voteremo alle elezioni

fottutissimi coglioni.

              *****

Rosso di sera,

e poi camicia nera.

              *****

Restò senza parole

il Grillo incantatore

che ormai sarà presente

con la voce di Conte solamente.

              *****

Si è capito che se ne frega Calenda

se quel che ora vuole

va alla greca calenda.

              *****

PCI, PSI, PRI sono spariti

e la DC trionfa sui detriti.

              *****

Se d’ogni erba si fa un fascio,

va il mondo a catafascio.

              *****

Visto com’è l’andazzo

di questo mondo pazzo,

o mi faccio sempre il mazzo

oppur non faccio un cazzo.




ANALFABETISMO SENTIMENTALE

Analfabetismo sentimentale, potrebbe essere la giusta definizione per questi tempi. Analfabetismo e cecità, benché viviamo nella società che fa dell’apparire e del mostrarsi il proprio mantra quotidiano: gli uomini guardano senza vedere e vagolano tra curve accentuate dal Photoshop, labbra, zigomi e seni rifatti con il felice volo di pinguini arrapati spinti da un solo impulso. Quello. Di sentimenti nemmeno l’ombra, e le donne lo accettano pur di piacere a loro, non a se stesse, svilendo il loro corredo genetico XX, portatore di una profondità che i maschi non possono nemmeno immaginare. Per questa carenza hanno dettato regole, un dominio sottile che le donne devono seguire per essere accettate, apprezzate. Da sempre i maschi stanno all’avventura come le femmine stavano e stanno alla cintura di castità, al fuso e al telaio, cioè alla cura dei figli e della casa. L’esempio di Ulisse e Penelope pare calzante: lui ha le ninfe, le maghe, i viaggi, lei il rustico palazzo di Itaca, la crescita di Telemaco, il focolare mentre è impegnata a rintuzzare l’assalto dei Proci assatanati, sempre casta e riservata.
Penelope, alias Irene Papas (identificazione automatica dopo l’Odissea televisiva di secoli fa), morta a novantasei anni da pochi giorni. La sua bellezza mediterranea di isole assolate e ventose, era priva di orpelli cosmetici, con rughe e occhiaie e ipertricosi senza essere sciatta e senza mai trasformarsi in una bambola di plastica degenerata. Ascoltare la sua voce nel pezzo proibito “Infinity” degli Aphrodite’s Child, il roco “I am to come” la dice lunga sull’erotismo femminile, quel piacere scandaloso che fa paura in tutte le società “avanzate” che lo pervertono in oggetto eccitato ed eccitante, come afferma Sarantis Thanopulos nel saggio “La solitudine delle donne”.
Anche Penelope aveva dei diritti oltre a tessere e disfare la tela per quella carogna di Ulisse, cieco ed egoista caprone di un gregge sterminato di narcisi. Sarebbe stato il caso di uscire dall’archetipo della fedeltà e non perdere dieci lunghissimi anni di attesa…
Una palinodia all’incontrario del personaggio omerico per rileggerlo nella sua essenza di vittima costretta a sostare nell’incertezza e vulnerabilità interiore della mancanza di comunicazione.
Oggi come ieri, Penelope soffre nel silenzio “sotto il giogo dell’agonizzante civiltà di genealogia maschile” (Annarosa Buttarelli), nonostante si sbandieri una parità solo millantata mentre in essa si annida la minaccia dell’indifferenziazione di donne competitive trasformate in uomini.
Una riflessione che vuole essere un appello alla comunicazione profonda così che Penelope, da oggetto, possa essere finalmente soggetto di desiderio. Lei insieme alle sue sorelle e figlie.

Marisa Scopello