venerdì, 24 Marzo 2023

PIANETA  SICILIA. STORIA  DI  UN  TESORO  NASCOSTO    

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Chi non conosce Modica e si avventura nei vicoli di Via Grimaldi e lungo la scalinata laterale di S. Pietro, certo non immagina che in fondo a un piccolo slargo, mimetizzato da una modesta facciata dimessa, si trovi uno scrigno di storia e di arte rimasto per secoli nascosto all’ombra del Duomo. Si tratta della chiesetta rupestre di S. Niccolò  Inferiore, venuta alla luce nel 1987, come accade per certe grandi scoperte, per puro caso.  Alcuni ragazzi giocano a pallone in un dammuso  adibito a locale di sgombero. Qualcuno si accorge di alcune tracce di  pittura sulla parete e ne parla con lo studioso Duccio Belgiorno, che intuisce di trovarsi di fronte a qualcosa di inedito e di prezioso. Ma bisogna scavare, ripulire, eliminare lo scialbo. Il locale, di proprietà della famiglia Mazza, viene acquistato grazie ad una sottoscrizione dal Centro Studi della Contea e nel 1992 iniziano i primi lavori, che porteranno alla luce l’esistenza di una chiesetta scavata nella roccia, forse la più antica architettura rupestre bizantina nel territorio, nata come luogo di culto di una comunità grecofona. Giunta contestualmente al processo di ricristianizzazione attuato dai normanni, qui essa aveva trovato accoglienza e la possibilità di mantenere la propria fede e la propria lingua. Un “vivere in grotta” che si aggiunge alle altre strutture create “per via di levare” che costellano il territorio pugliese e siciliano, molte delle quali ad uso abitativo.

Ma c’è di più: siamo si fronte a un palinsesto di stratificazioni che documentano il passaggio dal rito ortodosso a quello latino. La prima chiesa infatti, che secondo il Carrafa risale allo scorcio del secolo XI, viene latinizzata dopo circa tre secoli, nel 1557 è aggregata alla Parrocchia di S. Pietro e dopo il 1693 trasformata in una chiesetta in muratura chiamata S. Nicolella. A questo punto l’originario scavo rupestre viene adibito a sagrestia, fino alla completa obliterazione.

La  struttura consiste in un ambiente rettangolare di 45 mq., delimitato da un arco a sesto ribassato e da un’abside semicircolare provvista di “subselliuml” ( seduta) e di cattedra. La presenza di un tramezzo litico – poi demolito – all’imboccatura dell’emiciclo, è già sufficiente a collocare la chiesa nell’ambito del culto greco. Si tratta infatti di quel “templon”, forse trasformato in iconostasi, presente in altre chiese rupestri della Puglia e della Sicilia e tipico delle chiese bizantine, che, concepito per differenziare la parte destinata al clero da quella occupata dai fedeli, riflette la tendenza  aristocratica della tradizione liturgica ortodossa.

La parte più affascinante della chiesetta è però costituita dagli affreschi, che, pur rivelando molte somiglianze con le figure della Grotta dei Santi a Cava d’Ispica, rappresentano un unicum nelle pitture rupestri siciliane, e in ogni caso, il primo esempio di un progetto pittorico unitario. Se si eccettuano alcune porzioni di affreschi risalenti al periodo più antico, la maggior parte dei dipinti è seguente alla ricristianizzazione, come si può dedurre dalle iscrizioni in latino. Una teoria di figure  ieratiche e spiritualizzate ci guardano dall’alto della loro irraggiungibile sacralità, frontali, prive di volume, isolate tra loro. Il fulcro visivo è costituito dal catino absidale, dove campeggia un intenso Cristo Pantocratore dai grandi occhi, racchiuso in una mandorla sorretta da quattro angeli, una mano benedicente e l’altra con il Vangelo aperto e la scritta: “EGO SUM LUX MUNDI”, un soggetto caro alle pitture rupestri siciliane che troverà la sua più alta espressione nei mosaici delle chiese arabo normanne. Il Cristo è fiancheggiato sulla destra dall’Arcangelo Michele, sulla sinistra da una “Mater Domini” con il bambino in grembo. Tra le svariate iconografie della Madonna questa è la “Basilissa”, una regina in trono col bambino, che è benedicente e viene visto come Dio da adorare. A sinistra si individuano la figura di un santo monaco, di un giovane S. Vito e di S. Pietro. A destra si vede un vescovo, forse lo stesso S. Nicolò, di origine greca e venerato sia dalla chiesa cattolica che da quella ortodossa. L’ultimo pannello, più basso rispetto agli altri,  rappresenta infine S. Giacomo “interciso”. Il santo  ha il corpo segnato dal martirio ed è fiancheggiato da due angeli sullo sfondo di un paesaggio appena abbozzato. La figura è riferibile verosimilmente ad un terzo,  più tardo intervento pittorico. Infatti,  nonostante si tratti di un prodotto popolare, rivela un intento descrittivo e una  più accentuata espressività.

I lavori del restauro, di tipo conservativo, sono stati finanziati dal FAI nel quadro del progetto “I LUOGHI DEL CUORE”, grazie alla guida del Centro Studi della Contea, dell’Associazione culturale VIA e all’entusiasmo delle  oltre 30000 persone tra cittadini, scuole e istituzioni che si sono mobilitati per votare S. Nicolò come Luogo del Cuore. La chiesetta si è piazzata al sesto posto nel 10° censimento del F.A.I. ed ha potuto partecipare ad un bando per il recupero degli affreschi, ottenendo un finanziamento di 19.000 euro. Il 21 gennaio la storia di questo lavoro certosino è stata raccontata a Palazzo Grimaldi dalla presidente degli Studi della Contea Prof.ssa Eugenia Calvaruso, dal prof. Giovanni Di Stefano e dalle protagoniste  del restauro, Valeria Mallia della ditta Methodos e  Gaetana Ascenzo, che si sono lanciate in questa avventura con tenacia e determinazione. Gli obiettivi più urgenti erano la disinfezione e la pulitura dalle incrostazioni, l’eliminazione delle escrescenze di sale e il consolidamento degli strati pittorici che, esposti ormai da decenni all’aria e all’umidità, rischiavano di staccarsi. In più è stata data la possibilità a chiunque lo volesse di assistere “in diretta” alle operazioni.

La chiesetta rupestre, straordinaria testimonianza della Sicilia medievale e punto d’incontro tra la civiltà orientale e quella occidentale, è stata salvata. Essa ha vissuto per secoli all’ombra del colosso del Duomo: una coesistenza curiosa e affascinante che ci racconta due epoche segnate da una diversa concezione della spiritualità: da un lato il fasto e l’imponenza di un’architettura eretta per mostrare il prestigio della Chiesa e per incidere sull’immaginario del popolo, dall’altro l’aspra essenzialità di un incavo nella roccia dove raccogliersi in preghiera nel silenzio e nella contemplazione.

Claudia  Sudano

l clamore

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