venerdì, 24 Marzo 2023

 IL RITORNO DEL CETO MEDIO

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Era il 1951 quando Charles Wright Mills pubblicava  “Colletti bianchi” e apriva le menti sulla nuova società.

Trascorreva ancora un decennio e anche in Europa cresceva, nel suo seno – e specialmente in Italia la CETOMEDIAZIONE,  fenomeno studiato dal grade sociologo Giuseppe De Rita  (oggi uno dei massimi studiosi della materia): dove non si tratta solo di colletti bianchi ma anche di tute blu, mezzadri che si trasformano in artigiani e contadini che si inurbano e riescono persino ad aprire negozi e attività  in varie in città.

Insomma tale fenomeno possiamo definirlo, senza tema di essere smentiti, sotto l’aspetto socio-economico “il ritorno del ceto medio”.

Quindi l’intero Novecento, con i suoi trionfi e  i suoi pesanti errori, può essere considerato come il secolo della classe media.

Con l’aprirsi del secondo millennio – per molti –  è cominciata la decadenza.

Ma è davvero così?

A nostro avviso, il ceto medio non scompare ma si trasforma e torna al centro del gioco sociale, economico e politico.

Dopo questa breve premessa torniamo ai nostri giorni dove il ceto medio viene scambiato, dalle forze governative di sinistra e di destra (da Monti in poi), come un semplice bancomat.

Infatti per essere conseguenziali con la nostra disamina e far sì che i tanti che non sono addentro alla fenomenologia economica e fiscale possano con più facilità addentrarsi in questo ginepraio della tassazione, qui di seguito apriamo una finestra.

Iniziamo col dire che i cittadini che vantano un reddito medio superiore a 35 mila euro lordi, compresi i pensionati, in tutto circa 5 milioni, pagano all’incirca il 60% delle tasse. E sono altresì esclusi da qualunque bonus.

Quindi possiamo ben dire  che allo stato delle cose questo ceto mantiene tutta l’Italia

Aggiungiamo che negli ultimi 12-13 anni le rendite e i salari più alti hanno perso intorno al 20% del loro potere d’acquisto.

Ricordiamo, a questo punto, che un Paese senza  una classe media rappresentata politicamente non ha futuro.

Quindi, possiamo dire che questa è la classe che ha consentito all’Italia  di diventare la seconda manifattura d’Europa.

Questa è la parte sana che, purtroppo, in questi ultimi 20 anni si è molto ridotta mentre si ingigantito il numero dei poveri e sono principalmente spariti due valori fondanti della middle class: cioè il “dovere” e il “merito”.

Al loro posto si è tracciata una barriera di demarcazione  utilizzata da tutti i governi che si sono succeduti in questo periodo, fissata in 35 mila lordi di reddito all’anno.

Oltre questo livello di guadagni si è esclusi da tutto: in primis dalla rappresentanza sindacale e politica in quanto questa parte di italiani, ormai ridottasi, non interessa a nessuno: sono solo cittadini da spremere quando serve.

La prova provata?

La dimostrazione la si ricava dall’indicizzazione delle pensioni all’inflazione che ancora una volta ha massacrato gli assegni della classe media.

E veniamo ancora al bancomat di cui abbiamo detto in precedenza; secondo recenti studi (di Itinerari previdenziali) la classe media, quella appunto dei 35 mila euro in su, compresi i pensionati con una rendita da 5 volte in su del minimo (2.580 euro lordi al mese, pari a 36.500 euro annui), sono poco più di 5 milioni i quali pagano il 60% di tutte le imposte.

Questi pensionati che rappresentano l’11% del totale  dei 16 milioni, ma pagano 42 miliardi di Irpef  (70% del totale) si sono visti tagliare la rivalutazione del trattamento  previdenziale all’inflazione, anziché vedersi, invece, rivalutare l’assegno si dovranno accontentare di un aumento tra il 3,86% e il 2,23%, dopo avere già perso negli ultimi 12-13 anni quasi il 20% di potere d’acquisto.

Lo stesso capita ai salari alti con una perdita del 20% del potere d’acquisto. esattamente come le pensioni, penalizzando così la sola classe media e con essa lo sviluppo e l’intera economia del Paese.

Salvatore G. Blasco

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