venerdì, 24 Marzo 2023

UCRAINA,  PUNTO  DI  NON  RITORNO?

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Un boato, una nube gigantesca, migliaia di uomini disintegrati, accecati o ustionati, intere città ridotte ad una landa arida e bruciacchiata. Le abbiamo viste nei libri di storia queste immagini, relegate in un passato prossimo che pensavamo non si ripetesse mai più. Fa ormai parte del nostro immaginario collettivo quel fungo bianco che cambiò la storia.

“Historia magistra vitae”? Affatto. Putin, al di là delle rivendicazioni territoriali, dei processi di denazificazione, degli interessi economici, non si è mai rassegnato  alla dissoluzione di un impero secolare costruito con gli zar e allo sgretolamento dell’U.R.S.S. dopo il crollo del muro di Berlino.

Ma la sua è anche una guerra ideologica contro l’Occidente. Nel caso avessimo dei dubbi, questo concetto è stato ampiamente ribadito nel suo discorso del 20 febbraio, in cui ha di fatto approfondito il solco tra Oriente e Occidente e ne ha sottolineato la distanza abissale, accusando i paesi occidentali di decadenza spirituale, di legittimazione dell’omosessualità e della pedofilia, della Russia come unico possibile baluardo della cristianità contro la catastrofe. La presenza in prima fila del patriarca Kirill non era certo frutto del caso. Mentre Papa Francesco supplica i potenti della terra di deporre le armi, il patriarca appoggia  un sistema accentratore e megalomane.

E’ passato un anno dall’inizio delle “operazioni speciali”. Il bilancio è di migliaia di vittime tra i militari da una parte e dell’altra (quanti non è dato sapere), di circa settemila civili uccisi tra cui cinquecento bambini, di milioni di profughi, di intere città sventrate e abbandonate, di una crisi energetica senza precedenti. Dal punto di vista strettamente militare, però, siamo in una fase di stallo. Dopo le sanzioni, le alterne vicende strategiche, la presunta guerra lampo si è trasformata in guerra di posizione e di logoramento, ed è sotto gli occhi di tutti che ad oggi non ci sono né vincitori né vinti.  L’illusione di Putin di una vittoria rapida e schiacciante si è scontrata contro la realtà di un nemico dotato di coraggio da vendere e per di più foraggiato dall’Occidente. Difficile tornare indietro: se l ‘Europa interrompesse gli aiuti all’Ucraina, questa verrebbe  fagocitata dalla Russia e i valori di libertà, di democrazia, di sovranità territoriale andrebbero in frantumi, la resistenza col suo carico di sofferenza e di morte, perderebbe ogni senso. L’Europa non se lo può permettere. D’altra parte, se Putin rinunciasse ai suoi obiettivi, se l’Ucraina si rifiutasse di diventare uno stato fantoccio destinato a fare da cuscinetto tra Oriente e Occidente e si avvicinasse alla N.A.T.O, sarebbe uno smacco imperdonabile per la parte del paese che ha creduto in lui e nella sua propaganda, sarebbe la sconfitta delle sue ambizioni, della sua smania di supremazia. Nemmeno la Russia se lo può permettere. E intanto da entrambe le parti si continua a morire, cominciano a scarseggiare le armi, in Russia vengono reclutati i i riservisti, i ragazzi e i detenuti. Oggi Putin è isolato e consapevole del suo isolamento: allora gioca al rialzo, si è passati dalla tradizionale guerra di trincea alle bombe a grappolo, dal lancio di missili a lunga gittata alla distruzione delle infrastrutture e al massacro di civili, con buona pace della Convenzione di Ginevra. Di contro anche la N.A.T.O., a torto o a ragione, ha elargito all’Ucraina un sostegno militare sempre più imponente, provocando divisioni e perplessità negli italiani. In questo mortifero braccio di ferro la minaccia del nucleare, prima latente, è diventata sempre più esplicita “Non saremo i primi a usare l’atomica, ma se dovesse essere necessario, lo faremo”. Farneticazioni di un uomo malato o minaccia reale? E qual è il  significato della sospensione da parte di Putin del suo consenso  al trattato START, firmato nel 2010 per limitare il numero di testate nucleari strategiche che Russia e U.S.A. possono schierare?

L’unica certezza è che si procede inevitabilmente verso l’escalation, che l’arsenale di Mosca conta circa 6000 bombe atomiche tattiche e strategiche e che Putin è pronto a usarle, se la posta in gioco è la supremazia territoriale ed economica e la fine della leadership degli U.S.A.

Non siamo mai stati tanto vicini all’allarme nucleare dall’epoca della guerra fredda. Eppure  noi, spettatori impotenti di questa tragedia, dopo mesi di servizi televisivi quotidiani sugli sviluppi della guerra, è come se ci fossimo assuefatti, come se tutto ci scivolasse addosso. Alziamo gli occhi, guardiamo distrattamente le immagini di distruzione e di morte e riprendiamo a consumare la nostra cena. E’ pur vero che non si può vivere sempre in emergenza, che da qualche anno  viviamo in un clima di insicurezza, e che la paura, più o meno inconsapevole, serpeggia ormai sulla nostra quotidianità: paura del Covid, paura dei vaccini, dei terremoti, della violenza dilagante, dei capricci climatici, della crisi energetica. Le notizie sono ormai oggetti di consumo, e le immagini  merci allineate nel ripiano di un supermercato. Guardiamo, consumiamo, dimentichiamo. L’andamento della guerra, e le infinite polemiche che suscita, viene dato in pasto ai talk show, ovviamente inframmezzati da spensierati spot pubblicitari. E perdiamo il senso delle priorità: si parla più del presunto invito di Zelensky a Sanremo che dell’effettiva portata dell’escalation, più dell’eredità di Gina Lollobrigida che di un’imminente catastrofe nucleare. E intanto i negoziati appaiono sempre più lontani, gli sforzi per la pace sembrano sopiti. La guerra è solo una paura in più, un male inevitabile. A noi basta coltivare il nostro orticello, trovarci al caldo nelle nostre case accoglienti, dove c’è acqua, cibo, dove il riscaldamento, seppur rincarato,  funziona ancora.

Che cosa c’è dietro questa sorta di rimozione collettiva? Se all’inizio ci eravamo prodigati con grande slancio in una gara di solidarietà verso le vittime e i profughi, in seguito abbiamo avuto occhi solo per il lievitare le bollette, il caro benzina, il prezzo del gas. Sono slittati In secondo piano il gelo e il fango, le case sventrate che mettono in mostra tavoli, letti, stoviglie, violate nell’intimità quotidiana. La vita va avanti, le emozioni sbiadiscono. Non è cinismo: è un meccanismo evolutivo di difesa. Teniamo  a distanza le verità scomode, la coscienza che quella giovane madre falciata coi figli mentre saliva nell’autobus della salvezza potremmo essere noi. Il cosiddetto homo sapiens ha ereditato quelle strategie che furono fondamentali per la sopravvivenza dei nostri antenati e che oggi vengono rafforzate dal bombardamento delle informazioni quotidiane. Ci è insopportabile immedesimarci, le vittime diventano numeri, statistiche, routine.

La guerra tuttavia non è insita nella natura umana come molti sostengono, è una costruzione culturale che proviene dall’atavica necessità di difendere i propri territori. Stavolta però la posta in gioco non è la proprietà di un pezzo di terra o di un capo di bestiame, ma l’ esistenza stessa di tutti gli uomini e di ciò che essi hanno costruito in millenni di storia. Pensiamoci, prima che l’apocalisse ci travolga.

Claudia Sudano

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