A due mesi dal naufragio, la tragedia di Cutro è servita a ridare fiato alla lotta di Salvini contro la presunta invasione di immigrati clandestini, spingendo financo lo sconsiderato ministro Lollobrigida a parlare di programmata sostituzione etnica.
Tre giorni fa il decreto legge nato durante il consiglio dei ministri, tenuto proprio a Cutro il 9 marzo e che ha visto finalmente scendere da Roma tra i superstiti la madre cristiana, ha ottenuto il via libera dal Senato e dovrà essere approvato dalla Camera entro il 9 maggio.
Il dibattito è stato seguito da pochi e distratti senatori, intenti a smanettare sullo smartphone o a scambiarsi battute probabilmente spiritose visti gli sghignazzamenti continui. L’imminenza dell’inizio delle partite di coppa ha inoltre favorito la frettolosità con cui il dl è stato liquidato: il potere del pallone sulle italiche menti non si discute!
Anche se non sono state ripristinate in toto le condizioni dettate da Salvini durante l’esperienza di governo giallo-verde, lo xenofobo leghista canta vittoria per la quasi totale cancellazione delle norme umanitarie presenti nel decreto Cartabia, modifiche alle quali solo opportuni emendamenti hanno evitando di misura il rischio di incostituzionalità.
L’orrore di quella spiaggia costellata di relitti che sembravano passati al tritacarne tra resti di vestiti, scarpe spaiate e pupazzi di peluche resterà vivo nella nostra memoria così come il colpevole ritardo della gestione governativa del post naufragio, cosa che ha confermato il livello di ipocrisia che circonda ogni aspetto del problema migratorio, e non solo in Italia.
La Meloni, con lo stesso tono guerresco e ultimativo che usava per propugnare il blocco navale, adesso si dice pronta alla lotta senza quartiere contro gli scafisti, che intende perseguire nella totalità dell’orbe terracqueo!
Ci piacerebbe sapere con quali armi, terminologia antiquata e roboante a parte, la signora conta di sterminare i micidiali scafisti che, com’è risaputo, sono l’ultima ruota del carro, poveracci che rischiano anch’essi la pelle per un tozzo di pane, spesso costretti al comando di barconi fatiscenti o di gommoni sgonfi da infami trafficanti che se ne restano sulla terraferma col culo al caldo.
Questa gentaglia è troppo spesso identificabile con i soggetti foraggiati da noi europei per arginare l’ondata migratoria africana ed orientale.
Paghiamo i libici, che trattengono in spaventosi campi di concentramento gente che scappa da guerre e fame, perlopiù causate dagli strascichi del colonialismo europeo, torturando e violentando uomini donne e bambini prima di buttarli letteralmente a mare.
Paghiamo il sultano turco, che sequestra e sfrutta i profughi come forza lavoro in regime di schiavitù, e che usa la liberazione di questa gente come arma di ricatto nei confronti della pavida Europa.
Vista la gran quantità di tunisini che a migliaia scappano dalla crisi economica che strangola il loro paese, adesso ci accingiamo a foraggiare anche i trafficanti tunisini.
Per lavarsene pilatescamente le mani, la proposta risolutiva per bloccare l’immigrazione clandestina è quella dell’istituzione di canali umanitari attraverso i quali far passare in sicurezza le persone, in numero determinato dalla capacità di accoglimento dei singoli paesi europei.
Seguendo tardivamente quanto fatto dalla Germania anni fa quando accolse a braccia aperte i profughi siriani laureati appartenenti all’elitedella società mediorientale, l’Italia chiede che siano persone professionalmente formate e che conoscano almeno i rudimenti della nostra lingua.
Vorremmo vedere come si pensa di far passare la frontiera di Herat o di imbarcare su un aereo a Kabul gli afghani che vogliono fuggire legalmente da un paese in mano ai talebani. Dove e come queste persone possono apprendere l’italico idioma? Dove e come possono frequentare corsi di formazione professionale? Corsi organizzati da chi? Dall’ambasciata italiana o dalla Società Dante Alighieri? Siamo penosamente con la testa nella sabbia, ovvero oscenamente ipocriti, se davvero crediamo che si possa lasciare impunemente e coi documenti in ordine l’Afghanistan col beneplacito di un regime teocratico persecutorio e crudele.
Il nostro paese, letteralmente a mollo al centro del Mediterraneo, è l’ovvia meta di chiunque voglia scappare dai pasi rivieraschi: abbiamo dimenticato le navi incredibilmente gremite dagli albanesi che nei primi anni ’90 traversavano l’Adriatico per sbarcare in Puglia? La crociera era corta e il viaggio abbastanza sicuro, e il fenomeno fu tutto sommato di breve durata. Trent’anni dopo la situazione è tremendamente peggiorata e africani, asiatici e mediorientali oppressi da regimi teocratici o tirannici, da crisi economiche spaventose e da fame, sete e malattie credono di poter trovare un futuro in una Europa ritenuta ricca e ospitale.
In realtà l’Europa, immagine da cartolina a parte, è un coacervo di nazioni incapace di comprendere il messaggio salvifico dei padri fondatori dell’unione, mutato in un costante braccio di ferro tra paesi “virtuosi” del nord e “spreconi” del sud gestito col solo scopo di ingrassare il sistema bancario parassitario, oramai il solo vero padrone del continente. Questa Europa si rifiuta costantemente di collaborare per un’equa e corretta soluzione del problema delle migrazioni.
Resa impossibile la revisione della Convenzione di Dublino – accettata irresponsabilmente dal sesto governo Andreotti nel 1990 -, che accolla al paese di primo contatto l’onere dell’accoglienza, la Francia si barrica a Ventimiglia e a Calais, la Spagna non fa avvicinare nessuno, Malta ignora ogni richiesta di soccorso, la Grecia presa anch’essa d’assalto è al collasso, la Polonia blinda la frontiera e lascia morire nel gelo centinaia di profughi.
E l’Italia? Volente o no è costretta ad accogliere e a gestire praticamente da sola il problema, impegnando uomini e mezzi della marineria nei salvataggi ed enti benefici o Onlus nell’accoglienza a terra.
Se da un lato c’è Salvini che fa la faccia cattiva, dall’altra c’è il gran cuore degli italiani… ma siamo sicuri che non ci sia altro? La domanda che nasce spontanea è quella di voler sapere chi ci guadagna. C’è un giro miliardario che ruota attorno al fenomeno migratorio, che dev’essere indagato a fondo in ogni suo aspetto, dalle condizioni dei paesi di partenza a quelle dei paesi di transito e agli interessi che girano attorno alle operazioni di salvamento, di prima accoglienza e di trasferimento/rimpatrio.
Il sospetto che il non riuscire a trovare un modo accettabile per far sì che la gente non sia costretta a fuggire dalla patria e comunque a voler gestire gli arrivi con equità continentale nasconda turpi interessi è forte.
Da qualche tempo si sta affermando che in realtà l’Europa, e segnatamente anche l’Italia, ha bisogno di gente che venga a svolgere lavori che non trovano manodopera locale. Il forte calo demografico che colpisce il nostro paese si spiega col fatto che fare figli costa, e costa assai! In primis alle donne, che ancora sono costrette a scegliere tra lavoro e maternità, poi alle famiglie che devono affrontare la cronica mancanza o la cattiva gestione dei servizi dedicati all’infanzia, dagli asili nido, scarsi e comunque costosi anche se pubblici, alla scuola dell’obbligo che prevede ogni anno centinaia di euro buttati per l’acquisto di libri di testo non riciclabili in famiglia quando addirittura lasciati intonsi dai docenti. Scuole che troppo spesso per il ritardo o la mancanza dei finanziamenti statali lasciano al freddo gli alunni e che sono costrette a chiedere alle famiglie i soldi per comprare la carta igienica! Le famiglie si svenano per consentire ai figli di frequentare l’università, tra tasse salate e spese esorbitanti per i fuori sede: case per gli studenti o posti letto in mano ad un mercato privo di regole e controlli a prezzi inauditi.
Dopo tanta fatica e tanto impegno economico, con il serto d’alloro in testa e la tesi di laurea rilegata in pelle blu sotto il braccio, il novello dottore, se è fortunato, potrà fare il rider per Glovo o il disturbatore telefonico per gestori di elettricità, oppure andare a raccogliere pomodori o a lavare piatti. Sempre in nero o con contratti a tempo determinato con monte ore dichiarato sideralmente inferiore a quelle effettivamente lavorate e con paghe da fame. Se i pochi giovani che abbiamo scelgono di andare a cercare fortuna all’estero, i posti da schiavo restano liberi e vengono occupati dai migranti.
Così il cerchio si chiude, tra l’infelicità e la sofferenza dei tanti che non hanno santi in paradiso e i sonni tranquilli dei santi che si credono con la coscienza a posto.
Lavinia de Naro Papa